Dagli inizi di marzo stiamo osservando gli sviluppi della clamorosa decisione dell’Arabia Saudita di tagliare il prezzo del petrolio a un livello che danneggia il maggiore esportatore al mondo: gli Stati Uniti.

Mentre nel nostro primo articolo del 3 marzo ci eravamo limitati a registrare l’avvenimento, nel nostro articolo successivo del 27 siamo stati fra i pochissimi media italiani a mettere in connessione questa crisi con una probabile decisione statunitense di risolvere la questione con le armi.

Purtroppo gli sviluppi allarmanti di questa crisi sono andati avanti e si stanno svolgendo sotto i nostri occhi nell’assordante silenzio dei media.

Dopo la vittoria della insolita coalizione tra Iran e Emirati sponsorizzata dagli USA nello Yemen, il Regno Saudita, in situazione di vulnerabilità grazie al Covid-19 che ha ridotto all’impotenza 150 membri della famiglia reale, ha dovuto proclamare una tregua dei combattimenti, ufficialmente per “motivi umanitari”.

Nello stesso tempo, Trump ha minacciato di prendere possesso dell’Aramco, l’azienda petrolifera di stato saudita e ha anche ridotto la produzione di scisto per cercare di far riprendere le quotazioni.

Arriviamo cosi’ al compromesso raggiunto il 9 aprile, nel quale, su esortazione americana, Russia e Opec hanno concordato di ridurre la produzione di 10 milioni di barili al giorno a maggio e giugno, di otto milioni al giorno nel secondo semestre 2020 e di sei milioni al giorno per i successivi 16 mesi.

Questa decisione, per quanto drastica, compensa solo per un terzo il crollo del consumo mondiale provocato dall’epidemia.

Inoltre, non è detto che tutti i produttori rispetteranno il patto. Ad esempio, il Messico è disponibile a una riduzione di soli 100 mila barili al giorno, invece dei 400 mila stabiliti; il che costringerebbe Trump a ridurre la produzione USA di ulteriori 250 mila barili a compensazione di quelli mancanti del Messico, senza peraltro raggiungere il calo totale concordato.

Ulteriori misure potrebbero portare vantaggi e svantaggi insieme.

Ad esempio, Trump potrebbe aumentare i diritti di dogana sulle importazioni di petrolio a buon mercato, in modo da salvare l’industria del petrolio di scisto, ma penalizzando i consumatori americani, mentre il Congresso potrebbe approvare una proposta di legge risalente al 2007, che condanna gli Stati membri dell’OPEC per pratiche che non rispettano la concorrenza.

Ma l’unica soluzione davvero risolutiva sarebbe – anzi è – ancora una volta quella militare.

Ecco perché il presidente Trump ha ritenuto che, per far fronte al crollo del prezzo del petrolio, non c’è altra scelta che impossessarsi con la forza delle più importanti riserve mondiali, cioè quelle del Venezuela.

Per portare avanti questo ardito programma, Gli Stati Uniti hanno convinto l’Unione Europea ad associarsi a un’operazione che prevede il sequestro del presidente Maduro e dell’uomo forte del Paese, Diosdado Cabello, mentre Regno Unito, Francia, Spagna, Portogallo e Olanda – ossia le ex potenze coloniali dell’America Latina – si sono fatte avanti come volontarie sul campo.

Dopo che il 26 marzo il Dipartimento della Giustizia USA aveva emesso un ordine di cattura nei confronti del presidente Maduro e della sua squadra, accusati di traffico di droga, agli inizi di aprile una nave-spia portoghese, RCGS Resolute, è riuscita ad affondare una nave guardacoste venezuelana, che stava fermandola per un’ispezione, fuggendo poi nel protettorato olandese di Curaçao.

Intanto Francia e Regno Unito inviavano in zona due navi da combattimento: il porta-elicotteri anfibio Dixmunde e il portacontainer RFA Argus, assieme a un cacciatorpediniere e diverse navi della marina statunitense poste sotto il comando della Drug Enforcement Agency.

Questa operazione pero’ è stata interrotta da un evento inaspettato…

Negli Stati Uniti infatti una parte degli ufficiali del Pentagono che già avevano tentato di rovesciare il presidente Trump con il Russiagate e l’Ukraintegate, hanno preso in considerazione l’ipotesi d’instaurare una legge marziale per poter “combattere l’epidemia” a livello federale e intanto si sono rifiutati d’impegnare truppe in Venezuela.

Nei media la vicenda è passata come un rifiuto, da parte di alcuni comandanti, di far imbarcare uomini in nave col pericolo di contrarre l’infezione virale, ma intanto la prova di forza tra Stati federati e Stato federale da un lato e militari dall’altro sta proseguendo. E se a un certo punto fosse davvero proclamata la legge marziale, gli ufficiali ribelli potrebbero creare un governo provvisorio di emergenza con la scusa di proteggere la salute degli Americani.

Intanto l’America non puo’ permettersi di perdere il suo fiore all’occhiello: il settore produttivo di scisto. E la discesa delle quotazioni potrebbe aggravarsi, rischiando di portare tutti i nodi al pettine in queste gravissime escalations interne e esterne agli Stati Uniti.

Certo, è del tutto inspiegabile il silenzio dei media su queste vicende, ma da parte nostra sentiamo il dovere di informare il maggior numero di persone possibile. Quindi continueremo a monitorare questa gravissima crisi, come facciamo già da inizio marzo.

Il team di Strategie Economiche