Con questo articolo Strategie Economiche desidera mettere un punto fermo fra le troppe discussioni superficiali sull’andamento del prezzo del greggio, chiarendo una volta per tutte le cause geopolitiche che lo governano.

Anzitutto, non si puo’ capire il motivo dell’attuale frizione tra OPEC e Stati Uniti, responsabile in parte dell’aumento delle quotazioni di greggio, se non si chiarisce bene l’attuale strategia energetica americana.

Iniziamo dunque a descrivere questo aspetto importante della questione.

I principi della nuova strategia energetica americana

Il Presidente Trump, designando a capo della CIA Mike Pompeo, dal 2006 al 2010 a capo della fabbrica di componenti per idrocarburi Sentry International, e nominando a Segretario di Stato Rex Tillerson, amministratore delegato di una delle principali società di idrocarburi, Exxon-Mobil, ci aveva fatto capire fin da subito che l’energia sarebbe stata il fondamento della sua politica internazionale.

Lo schema di questa strategia non è affatto “segreta” (non piu’, almeno), perché a marzo è stata rivelata in dettaglio da Pompeo nel corso del piu’ importante evento annuale sul petrolio, Ceraweek, tenutosi a Houston (qui il video del discorso di Pompeo sul sito dell’evento).

Nella sostanza, i punti fermi della strategia delineata dal capo della CIA sono:

  • creazione di un Ufficio per la Gestione delle Risorse Energetiche presso il Dipartimento di Stato. Ufficio a cui d’ora in poi dovranno fare capo tutte le aziende produttrici di scisto americano (che di fatto diventano aziende di stato).
  • Tale Ufficio relizzerà gli obiettivi comuni tra le “aziende di stato” americane e la politica del governo, che consistono nel:
  • Favorire il piu’ possibile la produzione e la vendita dello scisto americano, e
  • Ostacolare il piu’ possibile la produzione e la vendita del petrolio prodotto dalle altre nazioni.

L’altro punto importante della questione discende direttamente dagli elementi appena elencati sopra.

Infatti, per favorire la diffusione dello scisto americano a discapito del greggio prodotto dagli altri paesi, gli USA hanno bisogno di imporre un definitivo cambiamento al meccanismo con cui finora sono stati regolati i prezzi.

Come gli USA intendono regolare i prezzi del greggio

Ci avviciniamo al principale punto di frizione tra USA e OPEC, quindi segui attentamente il discorso…

Finora, i prezzi del greggio sono stati appannaggio di un cartello di Stati, l’OPEC, che si accordava sulle quote di produzione che ciascuno stato membro dovrebbe rispettare.

Il meccanismo di controllo dei prezzi che invece vorrebbero imporre gli USA consiste nel

  1. mettere al bando i cartelli come l’OPEC, impedendo cosi’ gli accordi sulle quote di produzione, e
  2. impedire ad alcuni stati di produrre e vendere il loro petrolio.

Iran, Venezuela e Siria (che ha dei giacimenti scoperti di recente e che non potrà mai sfruttare) sono stati i primi a sperimentare questa nuova, drastica e poco umanitaria strategia di controllo dei prezzi.

Le pressioni USA sulla Germania per impedire l’allaccio di questo Paese al gasdotto russo North Stream e piu’ in generale per ridurre la “dipendenza energetica europea dalla Russia”, sono un altro tassello di questa strategia.

Prima o poi pero’ gli USA dovranno mettere in pratica anche il punto 1 della loro risoluzione…

Perché OPEC e Russia iniziano a ribellarsi

Finora l’OPEC e la Russia sono state a guardare, mentre la Casa Bianca attuava il punto 2 della sua strategia (la Russia addirittura, pur avendo acquisito il monopolio dei grandi giacimenti scoperti in Siria, si era impegnata a non sfruttarli senza il “permesso” degli USA).

Ultimamente pero’ le cose stanno cambiando.

C’è il rischio infatti che negli USA venga rispolverato il progetto del NOPEC (No Oil Producing and Exporting Cartels Act), cioè una proposta di legge che vieterebbe a livello internazionale i cartelli di paesi produttori come l’OPEC.

In due decenni sono state depositate al Congresso molte varianti di questa proposta, che mira a sopprimere l’immunità sovrana che i Paesi dell’OPEC reclamano per costituirsi in cartello, nonostante le leggi antitrust USA.

Se la legge venisse approvata, si potrebbero perseguire nei tribunali statunitensi tutte le società degli Stati membri dell’OPEC per aver approfittato della posizione dominante e per aver concorso così al rialzo dei prezzi.

Il rischio che gli USA arrivino ad approvare una legge del genere sta portando sempre di piu’ Stati Uniti e OPEC verso una “resa dei conti” in cui la posta in gioco è l’esistenza stessa del cartello dei produttori.

Ma questa resa dei conti sempre piu’ vicina si dispiega in uno scenario molto piu’ complesso, in cui il prezzo del greggio è l’unico ago della bilancia.

Il braccio di ferro USA-OPEC sul prezzo del greggio

Facciamo quindi chiarezza anche su questo aspetto: il prezzo del greggio.

La produzione dello scisto negli USA è piu’ costosa di quella del petrolio tradizionale arabo, russo o sudamericano.

In sostanza, il petrolio americano costa molto piu’ ed è meno pregiato di quello degli altri.

Nella presidenza Obama il flusso e la vendita di petrolio da parte delle nazioni “concorrenti” erano tollerati, in quanto l’obiettivo della Casa Bianca non era (ancora) rendere competitivo lo scisto americano rispetto al petrolio altrui, ma si limitava al raggiungimento dell’indipendenza energetica degli Stati Uniti.

In quello scenario, la pressione dell’OPEC sugli Stati Uniti è stata realizzata per anni aumentando la produzione per ridurre il costo del petrolio a discapito del costoso scisto americano.

Per questo, durante tutta la presidenza Obama, le aziende americane sono state costrette a ridurre di molto le nuove trivellazioni, non avendo piu’ guadagni sufficienti per potersele permettere.

Tuttavia, la natura inerziale della produzione di scisto ha creato il paradosso per cui, anche se non venivano aperti nuovi giacimenti, la produzione di quelli esistenti è aumentata a dismisura, in modo da compensare le perdite di redditività con una maggiore quantità di prodotto venduto (i giacimenti di scisto infatti riescono a raggiungere un meccanismo “inerziale” con cui possono produrre di piu’ senza aumentare i costi).

Questo equilibrio geopolitico fra USA e OPEC ci ha abituati per alcuni anni a un prezzo del greggio a 40-50 dollari, facendoci dimenticare che si trattava di una situazione decisa a tavolino e quindi del tutto modificabile, qualora le condizioni fossero mutate.

Ora infatti, la situazione è del tutto diversa.

Agli USA conviene di piu’ un aumento o una riduzione del prezzo del greggio?

Come abbiamo detto, l’obiettivo attuale della Casa Bianca non è piu’ l’autosufficienza energetica (ormai pienamente raggiunta), bensi’ rendere competitivo lo scisto americano per la sua vendita all’estero.

E in vista di questo obiettivo, considerando che i giacimenti di scisto continuano a produrre elevate quantità in modo “inerziale” (per quanto di recente si è avuta una prima contrazione della produzione anche in questi giacimenti), un aumento delle quotazioni di greggio farebbe finalmente incrementare i guadagni delle aziende americane tenute “a stecchetto” da anni di prezzi bassi.

Quindi sarebbe una buona notizia per la sopravvivenza dei produttori di scisto americani.

D’altra parte, pero’, un aumento incontrollato delle quotazioni, entrerebbe in conflitto con l’altra grande politica della Casa Bianca nei riguardi della bilancia commerciale interna.

Dopo aver ridotto le tasse alle aziende e aver favorito la produzione interna a discapito delle multinazionali, un aumento dei costi di produzione causato da un petrolio troppo costoso renderebbe vane queste misure che costituiscono il fiore all’occhiello di Trump.

Quindi, cerchiamo di chiarire meglio…

Un aumento del prezzo del petrolio non è affatto male per i produttori di scisto americano, purché non diventi eccessivo.

Trump quindi non è contrario a un moderato aumento delle quotazioni.

Del resto, l’attuale aumento del prezzo del petrolio è prodotto in parte dalla stessa Casa Bianca, quando:

  • impedisce al Venezuela di esportare petrolio in Occidente, tramite il blocco dei suoi conti esteri, che potranno essere sbloccati solo dall’autoproclamato presidente Juan Guaidó.
  • Rende difficile alla PDVSA (la compagnia petrolifera statale venezuelana) di acquistare i diluenti indispensabili per lavorare il petrolio grezzo.
  • Non rinnoverà le esenzioni concesse dal presidente Trump per il commercio con l’Iran.
  • Ha permesso le battaglie intorno al campo di Sahrara, in Libia, provocando una caduta della produzione nazionale di 50 mila barili al giorno (e ora la Francia, forse in modo imprevisto da Washington, sta facendo dilagare la battaglia a tutto il paese).

D’altro canto, una parte di responsabilità per l’aumento del greggio puo’ certamente essere attribuita anche alla decisione dell’OPEC (piu’ di recente sostituito dall’OPEP+, cioè i paesi esportatori , fra cui la Russia, piu’ altri invitati volta per volta) di ridurre la produzione nei paesi membri.

Ma come abbiamo detto, non si tratta finora di una decisione cosi’ penalizzante per gli USA, almeno finchè il greggio resta sotto gli 80 dollari…

Ed è qui infatti che il prezzo fa tutta la differenza…

L’OPEP si contrappone agli USA, ma con cautela

Come abbiamo detto in un paragrafo precedente, i Paesi dell’OPEP+ sono terrorizzati dalla prospettiva di una legge americana (NOPEC) che metta al bando i cartelli petroliferi e addirittura dia la possibilità ai tribunali americani di perseguire le loro aziende.

Per quanto sia vero che le decisioni dell’OPEC o quelle dell’OPEP+ sono sempre molto controverse (nel senso che la Russia ad esempio non rispetta mai davvero i tagli di produzione concordati e di fatto l’ultimo spettacolare taglio di produzione se lo sta accollando quasi tutto il Regno Saudita, mentre gli altri Stati fanno solo finta), è comunque indiscutibile che la prospettiva di una messa al bando internazionale dei cartelli sia un atto estremo che mina le basi della sopravvivenza dei paesi esportatori.

Dunque la conflittualità tra OPEP e USA è destinata ad aumentare in futuro, a causa di questa minaccia.

Sta di fatto pero’ che al momento questa conflittualità è piu’ apparente che reale.

Finchè il prezzo del greggio non supera gli 80 dollari a barile, la contrapposizione dell’OPEP, cioè dei paesi esportatori, per ora non danneggia veramente la controparte.

Gli USA non subiscono alcun contraccolpo da questo aumento di prezzi, che anzi sono una boccata d’ossigeno per i produttori di scisto.

Il discorso invece sarebbe molto diverso se il petrolio arrivasse a 100 dollari a barile, perché in tal caso il prezzo troppo alto della benzina si rifletterebbe sulla bilancia commerciale interna americana e provocherebbe il malcontento fra gli elettori costretti a pagare di piu’ non solo il pieno dell’auto, ma anche altri beni di consumo influenzati da questa materia prima.

E’ quindi in questa fascia di prezzo, tra 70 e 100 dollari a barile, che deve destreggiarsi il Regno Saudita nella sua attuale contrapposizione agli USA attraverso le decisioni dell’OPEP.

Il dilemma dell’OPEP

In sostanza, l’unico motivo per cui l’OPEP e la Russia dovrebbero pensarci due volte ad arrivare a 100 dollari a barile è che un simile prezzo sarebbe una sfida frontale e senza mezze misure nei confronti degli USA.

Raggiungere (e quindi inevitabilmente superare, perché i prezzi non li comandi con un bottone) i 100 dollari vuol dire eliminare ogni ambiguità e affermare apertamente una sfida agli USA, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Sull’altro piatto della bilancia, pero’, la Casa Saudita deve arrivare oltre gli 80 dollari per due seri motivi:

  • Il bilancio dello Stato resta in attivo solo a un prezzo che oscilla tra 80-85 dollari
  • Il progetto di lanciare in borsa la Saudi Aramco, la maggiore azienda petrolifera del paese, sembra tornato in auge. E affinché l’IPO della Aramco abbia il massimo successo possibile, il petrolio dovrebbe costare piu’ di 80 dollari (il prezzo ideale sarebbe almeno 100 dollari).

Al momento, i Paesi coinvolti in questa vicenda sono in stallo e si studiano fra loro.

Trump, per calmierare l’eccessiva esuberanza saudita nel ridurre la produzione, ha temporaneamente autorizzato ai paesi importatori l’acquisto del petrolio iraniano. Ma questa autorizzazione sta per scadere e non si sa se verrà prolungata o meno.

L’OPEP+ ha da parte sua tenuto il 17 marzo a Baku una riunione in cui è stata riconosciuta la difficoltà di anticipare l’evoluzione del mercato, proprio nell’incertezza sulle autorizzazioni americane sul petrolio iraniano e in attesa di vedere l’effetto delle sanzioni contro il Venezuela, entrate poi in vigore in aprile.

Di conseguenza il cartello aveva annullato la riunione di aprile, preferendo aspettare fino alla riunione già fissata a giugno per prendere decisioni (si ipotizza che il rinvio sia anche dovuto a una divergenza di vedute fra Russia e Arabia Saudita).

Intanto, la crisi libica e quella venezuelana vanno avanti, dimostrando che gli Stati Uniti sono focalizzati su altre priorità al momento e non sono preoccupati piu’ di tanto da un aumento di prezzo del greggio.

Quali scelte per l’investitore?

Naturalmente, in questo articolo non abbiamo descritto tutti i fattori che stanno causando l’aumento del prezzo del petrolio.

Alcune cause sono del tutto estranee al braccio di ferro politico tra OPEP e USA, come ad esempio l’invecchiamento delle strutture petrolifere dell’Angola, che dovrebbe causare un abbassamento della produzione di 75 mila barili al giorno.

Ma non c’è dubbio che i fattori geopolitici qui sono predominanti.

Personalmente, quando una materia prima o un settore economico sono al centro di troppe contese politiche, sono sempre molto diffidente e preferisco non investirci.

Chi segue Strategie Economiche sa bene che ad esempio siamo sempre stati scettici (e lo siamo ancora) sul prezzo dell’oro, che è un altro tipico bene o settore estremamente sensibile per governi e banche centrali, che percio’ ne hanno assunto il completo controllo e ne impediscono una eccessiva rivalutazione.

Se dunque qualcuno volesse stranamente mettere da parte tanti altri settori molto meno rischiosi e investire proprio sul petrolio, dovrebbe cercare di farsi guidare dalla politica.

Ad esempio, sapendo che la strategia di lungo termine americana è quella di aumentare l’esportazione cancellando il piu’ possibile la concorrenza dalla faccia del pianeta, si potrebbe investire nei settori degli armamenti e delle società di trasporto petrolifere americane.

Inoltre, finché la Segreteria di Stato resta una succursale della Exxon Mobil (o viceversa), un ingresso nel titolo di borsa corrispondente, sfruttando eventuali discese di prezzo, è quasi lapalissiano.

Ma alla base di tutto, come dicevo prima, c’è la questione del prezzo del greggio.

Puoi investire nel miglior titolo al mondo, ma questo scenderà di brutto a fronte di una discesa del prezzo del greggio.

E considerando il fatto che nessun paese dell’OPEP sta veramente spingendo gli USA  verso una sfida all’ultimo sangue, ma siamo in presenza di semplici scaramucce, dubito che il petrolio brent salirà oltre gli 85 dollari.

Questo implica che resta poco spazio a rialzo per tutto il settore (diverso era il discorso se avevi investito quando il prezzo era ancora a 60 dollari)…

Infine, ripeto, la borsa americana è tanto varia e ricca di opportunità da rendere del tutto inutile entrare in questo settore complicato quando siamo ormai già a metà del rialzo.

Nella newsletter “Segnali di Borsa” monitoriamo continuamente nuovi settori molto interessanti e certamente meno intricati per gli investitori.

Ti conviene percio’ lasciar perdere le complicazioni inutili e attendere i nostri prossimi articoli che certamente ti forniranno idee di investimento molto piu’ vantaggiose.

Naturalmente, nessuno di noi ha la sfera di cristallo e domani l’Arabia Saudita e gli USA potrebbero davvero arrivare ai ferri corti, facendo salire le quotazioni oltre 100 dollari. Tuttavia è lo scenario meno probabile (in ogni caso, monitoreremo la situazione…).

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Buon trading!

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