Ieri è stato uno di quei rari momenti in cui i dati economici hanno iniziato a mostrare un punto di inversione totale nell’economia… completamente ignorato dai media.

Per l’investitore, poter anticipare un trend prima che la massa se ne accorga è vitale, perché in tal modo è possibile entrare negli asset ai prezzi piu’ bassi possibili, in una prospettiva di rialzo fenomenale.

Percio’, quando si manifesta un punto di inversione importante, come quello di ieri, ma i media non se ne accorgono, si produce appunto uno di questi “momenti magici” per l’investitore.

Quando poi il giro di boa riguarda non un solo trend, ma un intero assetto economico, in particolare quello americano, allora le possibilità di sfruttare il ritardo dei mercati nel prezzare i nuovi trend si moltiplicano, producendo un numero elevato di opportunità che raramente si ha occasione di vedere.

Di cosa si tratta nello specifico?

La tanto attesa uscita dei dati del CPI (prezzi al consumo) ha rivelato ieri una serie di numeri che, messi insieme, compongono la ricetta perfetta per un vero rovesciamento di fronte nell’economia americana.

Stranamente pero’ i media hanno liquidato la questione dicendo che i dati erano del tutto in linea con le attese, quindi non c’era nulla di interessante da vedere.

Se pero’ analizziamo bene i dati, capiamo perché nelle settimane precedenti Wall Street aveva iniziato a “sfidare” la Federal Reserve, ignorando la sua narrativa pessimista sull’inflazione e scommettendo su un ammorbidimento delle restrizioni monetarie già a partire da giugno (lo abbiamo accennato su Telegram l’11 gennaio).

Wall Street infatti aveva iniziato a capire che qualcosa nell’economia sta cambiando.

E i dati di ieri lo confermano.

Vediamo come…

Il Dipartimento del lavoro americano ha rilasciato ieri i dati CPI per dicembre 2022. E come previsto, i numeri hanno mostrato che l’inflazione continua a raffreddarsi.

Il CPI è aumentato del 6,5% a dicembre, anno su anno, in linea con le aspettative e in calo rispetto al 7,1% di novembre. Si tratta del dato più basso da ottobre 2021 ed il sesto calo consecutivo degli ultimi sei mesi.

Il core CPI, che esclude i prezzi dell’energia e dei generi alimentari, è a sua volta aumentato del 5,7%, anch’esso in linea con le aspettative degli economisti.

Ma cio’ che davvero conta è il ritmo di questa discesa. I tassi del CPI infatti sono calati di 60 punti base a novembre, per poi scendere di 70 punti base a dicembre. Cio’ vuol dire che il tasso di disinflazione sta accelerando.

Ed ecco perché Wall Street si è “fissata” con giugno. Il motivo è che al tasso attuale di 70 punti base al mese, entro giugno potremo forse arrivare al famoso obiettivo della Fed di un ridimensionamento al 2% dell’inflazione. Molto prima di quanto ci si poteva aspettare qualche settimana fa:

Fin qui abbiamo parlato della discesa annuale del CPI. Ma il dato davvero sorprendente è la discesa mensile.

Secondo il rapporto di ieri, infatti, i prezzi al consumo sono scesi dello 0,1% da novembre a dicembre.
Perché è importante? Perché i cali mensili del CPI sono molto rari; e ogni volta che avvengono (cerchi nel grafico sotto), l’inflazione intraprende un forte trend discendente nei mesi successivi:

Un altro dato interessante di ieri è la voce “Owners’ Equivalent Rent” (OER), che rappresenta le spese per la manutenzione degli alloggi e gli affitti e rappresenta oltre la metà dell’intero ammontare del core CPI.

A dicembre 2022, le OER sono aumentate del 7,5% su base annua, rispetto all’aumento del 7,1% di novembre. L’aumento è dovuto principalmente al costo degli affitti, salito dello 0,8% a dicembre, dallo 0,6% di novembre.

Ora, questo dato è completamente falsato, perché viene ottenuto in modo indiretto (attraverso dei sondaggi sottoposti ai proprietari di case) e non tiene conto della discesa reale degli affitti avvenuta proprio il mese scorso.

Secondo l’ultimo rapporto “Rental Market Tracker” di Redfin ad esempio, gli affitti in America, diminuiti dell’1,4% a dicembre 2022, sono in costante calo già da agosto. E molti analisti del settore si aspettano che la deflazione degli affitti continui nel 2023; il che è un dato insolito, perché gli affitti sono notoriamente la componente più lenta dell’inflazione e scendono molto raramente:

A questo dobbiamo aggiungere il fatto che le vendite di case negli USA sono diminuite del 37,8% negli ultimi 12 mesi, scendendo cosi’ al livello più basso, dopo il crollo che vi fu all’inizio della pandemia. E purtroppo, come abbiamo detto altre volte, il crollo delle vendite (e quindi il crollo dei prezzi) delle abitazioni, pur essendo un fattore importante dell’inflazione non viene incluso nel CPI, falsando di fatto qualsiasi analisi realistica sui prezzi al consumo.

Infine, sempre restando nel settore immobiliare americano, i dati mostrano che l’aumento dei tassi dei mutui, provocati dall’aumento dei tassi da parte della Fed, ha provocato certamente una flessione nella richiesta di nuovi mutui, come mostrato nel grafico sotto:

Ma (finora) non ha provocato la tanto temuta ondata di insolvenze sui mutui esistenti, mostrando cosi’ un ritratto molto piu’ salutare dell’economia americana di quanto paventato dai media:

Riassumendo quindi: i dati CPI di dicembre pubblicati ieri hanno confermato che l’inflazione sta crollando più velocemente che mai, mentre i dati settimanali sulle richieste di disoccupazione (pubblicati la settimana scorsa) hanno mostrato che l’economia è ancora in buone condizioni. E la conferma di cio’ ci viene anche dal fatto che i consumatori non stanno soffrendo, per ora, dell’aumento dei tassi sui mutui.

L’attuale ritmo di disinflazione implica che un ritorno al 2% di inflazione entro giugno è possibile.

Percio’, se da qui a giugno la Federal Reserve non tenterà di rovinare il delicato equilibrio su cui per ora l’economia americana si sta bilanciando per restare ancora in salute, è estremamente improbabile che cadremo in una profonda recessione nel 2023.

Alla fine dunque, queste due componenti: inflazione in discesa ed economia resiliente, innescherebbero nel 2023 una quantità di trend per ora “dormienti” nella borsa USA, risvegliando diversi settori, da quello immobiliare ai veicoli elettrici, dall’energia pulita ai semiconduttori, dalle materie prime all’energia fossile, per non parlare dei settori piu’ spinti, come quello tecnologico e le criptovalute.