Dopo gli attacchi coordinati che hanno fatto fuori quasi 5,7 milioni di barili al giorno di produzione di petrolio saudita, il greggio Brent – il punto di riferimento internazionale per i prezzi – è balzato di quasi il 20% a $ 71,95 al barile, chiudendo la giornata con un aumento del 14,6% … a poco più di $ 69 al barile.

Negli Stati Uniti, il greggio West Texas Intermediate (“WTI”) è aumentato del 15% (a $ 63,34 al barile) – il suo più grande salto intraday da dicembre 2008 – prima di chiudere la giornata a $ 62,90.

I primi rapporti suggeriscono che potrebbero volerci diverse settimane – o addirittura mesi – affinché l’Arabia Saudita riattivi la produzione. Secondo gli analisti di Goldman Sachs, se l’interruzione durerà per più di sei settimane, l’inasprimento delle forniture globali potrebbe spingere il greggio Brent a $ 75 al barile, ovvero circa il 9% in più rispetto a quanto chiuso oggi.

Per fare pero’ delle ipotesi sensate su quanto sia realistico un trend a rialzo di lungo termine, bisogna vedere le cose in prospettiva.

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Come puoi vedere nel grafico del greggio WTI qui sotto, i prezzi si sono spostati tra $ 50 e $ 65 al barile per la maggior parte dell’anno. Quindi il rialzo che c’è stato dopo l’attacco yemenita, per quanto molto piu rapido del solito, resta all’interno del normale range di prezzo del 2019:

A $62 a barile, il WTI è ancora il 9% sotto la quotazione che aveva l’anno scorso nello stesso periodo e il 43% sotto il livello di luglio 2014.

L’infinita e (per gli investitori) estenuante lateralità delle quotazioni del petrolio è determinata da due forze che si equilibrano.

Da un lato, i continui tagli della produzione dell’OPEC, i cui membri hanno aderito alle quote di produzione concordate molto più a lungo di quanto non abbiano fatto in passato, spingono i prezzi verso l’alto.

Dall’altro lato, il continuo aumento della produzione di scisto negli Stati Uniti – che ha superato i 12 milioni di barili al giorno, rendendo l’America il principale produttore mondiale – unito a un’economia globale in rallentamento, spinge i prezzi verso il basso.

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Gli Stati Uniti hanno già detto che proveranno a supplire la carenza di offerta mettendo in commercio le loro scorte.

In effetti, con la loro produzione arrivata a 17 milioni di barili al giorno, sarebbero capaci di porre un forte calmiere all’aumento delle quotazioni, anche in una situazione critica come questa.

L’unico fattore che con certezza potrebbe sbloccare davvero la lateralità del trend è una escalation internazionale, che alcuni paventano a causa dei tweet di Trump contro l’Iran, accusato di essere il vero mandante dell’attacco contro l’Arabia Saudita.

Non dobbiamo dimenticare pero’ che Trump ha recentemente licenziato il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, che aveva la posizione più dura nei confronti dell’Iran. Inoltre, le ultimissime dichiarazioni di Trump alla CNBC non sembrano favorevoli a una immediata risposta di tipo militare verso l’Iran.

Per rispondere poi a chi ipotizza un aumento dell’inflazione come conseguenza della salita dei carburanti e dell’energia che si riflettono nei prezzi di molti altri beni, è bene ricordare che ogni dollaro in piu’ speso per la benzina aumenta il PIL americano (essendo l’America appunto un produttore di questo bene), quindi l’effetto sull’economia resterebbe positivo.

Non credo percio’ che la Federal Reserve possa essere stimolata da questa vicenda ad accellerare la decisione di abbassare i tassi d’interesse (lo vedremo domani, comunque…).

Ma poi, anche se dovesse davvero esserci un aumento costante del prezzo del petrolio a oltre $ 70 (per il WTI), cio’ scatenerà un boom della produzione che trasformerà ancora piu’ rapidamente gli Stati Uniti in un esportatore netto di petrolio greggio e prodotti petroliferi, con un netto risultato positivo per l’economia americana e un nuovo collasso, in una fase successiva, del prezzo del petrolio.

In conclusione: la presenza degli Stati Uniti fra i maggiori produttori di petrolio cambia del tutto il modo in cui siamo abituati a considerare questo genere di crisi. Non siamo piu’ negli anni ’70, e nemmeno nel 2007. Oggi c’è troppo petrolio in giro per rompere facilmente il trend laterale del greggio.

L’unico vero fattore che potrebbe fare la differenza, come ho detto, sarebbe una escalation politica internazionale.

Il team di Segnali di Borsa

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