Il 14 settembre scorso dei droni yemeniti hanno attaccato uno dei maggiori giacimenti petroliferi dell’Arabia Saudita e la maggiore raffineria al mondo ad Abqaiq, tagliando fuori dalla produzione più di 5,7 milioni di barili al giorno, che rappresentano più del 5% della produzione mondiale.

Per dare l’idea delle dimensioni dell’attacco, basta pensare al fatto che negli ultimi anni il petrolio non è mai più salito sopra i 100 dollari al barile da quando gli Stati Uniti hanno iniziato a inondare il mondo con 5,9 milioni di barili al giorno del loro petrolio da scisto. Il che vuol dire che la quantità di petrolio fatta fuori dall’attacco yemenita equivale grosso modo a tutta la produzione di scisto americano.

Segnali di borsa aveva recentemente affermato che, sulla base dei fondamentali economici, il trend delle quotazioni petrolifere sarebbe stato piatto ancora per diverso tempo. Ma ovviamente un evento del genere, del tutto imprevedibile, potrebbe cambiare le carte in tavola, almeno nel breve o medio termine.

L’impatto di questo nuovo fattore sulle quotazioni del greggio dipenderà molto da quanto l’Arabia Saudita riuscirà a persuadere i mercati sulla sua capacità di restaurare in tempi brevi questo enorme ammanco di produzione (e in quanto tempo riuscirà a farlo nella realtà).

C’è infatti una differenza tra l’Arabia Saudita e gli altri due maggiori produttori petroliferi al mondo, ossia Russia e Stati Uniti.

Mentre gli altri due Paesi hanno una produzione dissemintata in una vastissima estensione di territori, l’Arabia Saudita ha solo pochi enormi giacimenti, gestiti da una sola compagnia: la Saudi Aramco; il che rende questo paese molto più vulnerabile a eventi di carattere bellico.

Le prime ipotesi degli analisti assumono, per un ammanco di produzione della durata di 3 settimane, un aumento di 10 dollari al barile.

Ma se al contrario l’Arabia Saudita non riuscirà a riprendere la produzione per un tempo prolungato, il ritorno delle quotazioni ai famosi 100 dollari di una volta è praticamente inevitabile.

Di sicuro, questo incidente ha riportato gli investitori con i piedi per terra, rimettendo il petrolio nella categoria delle materie prime vulnerabili, come lo era un tempo – prima che gli Stati Uniti dessero la falsa impressione di averne calmierato per sempre la produzione e quindi le quotazioni.

Al momento, in attesa di vedere quanto a lungo durerà l’ammanco di produzione, consiglio di investire solo sul breve-medio termine, con dei futures o con Etf a leva.

Il team di Segnali di Borsa.