La IHS Markit, uno dei principali istituti di ricerca economica nel mondo, ha pubblicato il suo rapporto periodico sull’indice dei responsabili degli acquisti (PMI).

Il rapporto segnala un aumento dei prezzi alla produzione in America:

  • “Le pressioni inflazionistiche si sono intensificate poiché i ritardi e le carenze dei fornitori hanno spinto al rialzo i prezzi alla produzione”.
  • “Il tasso di inflazione dei costi di produzione a gennaio è stato il più veloce mai registrato (da quando la raccolta dei dati è iniziata nell’ottobre 2009), poiché è stato notato anche l’aumento vertiginoso dei costi di trasporto e DPI”.
  • Tra una maggiore espansione della produzione e nuovi ordini, i produttori hanno sperimentato “significativi ritardi nella catena di approvvigionamento, carenza di materie prime e accumulo di scorte presso i produttori” che “hanno spinto verso l’alto i prezzi”.

E tali aumenti stanno trasmettendosi anche ai prezzi alla vendita:

  • I produttori hanno aumentato i prezzi di vendita “al ritmo più rapido dal luglio 2008 nel tentativo di trasferire parzialmente gli oneri dei costi più elevati ai clienti”.
  • “Un certo numero di aziende è stato in grado di trasferire in parte maggiori oneri sui costi … poiché il ritmo dell’inflazione si è accelerato a un ritmo elevato”.
  • “L’impatto è stato meno marcato nel settore dei servizi poiché le aziende hanno cercato di aumentare le vendite”.

Queste pressioni sui prezzi si sono risvegliate a giugno, dopo il crollo della domanda nei mesi precedenti, e da allora sono aumentate soprattutto nei prodotti alimentari, acciaio e materiali da costruzione.

I prezzi di grano, mais e soia sono aumentati a livelli che non si vedevano da oltre sei anni a causa della forte domanda dalla Cina e delle scorte basse degli Stati Uniti. Tali aumenti stanno già trasferendosi ai prezzi al dettaglio.

Secondo l’indice delle costruzioni commerciali della Camera di commercio degli Stati Uniti, nel quarto trimestre 2020 il 71% dei costruttori ha segnalato una carenza del 54% di prodotti e materiali, in particolare acciaio, prodotti elettrici diversi dal filo di rame e prodotti per l’illuminazione.

I prezzi del legname (legato a doppio filo al settore delle costruzioni) hanno iniziato a salire lo scorso giugno e hanno raggiunto i record di tutti i tempi fra agosto e settembre. Sebbene i prezzi si siano leggermente ritirati a gennaio, essi superano ancora tutti i record precedenti, mentre il 31% dei costruttori segnala una carenza di legname dell’11% nell’ultimo trimestre”.

Le pressioni sui prezzi vengono ora segnalate anche nel settore dei servizi – principalmente finanza, assicurazioni, sanità, servizi di informazione e servizi professionali (qui una disamina nel distretto di New York).

È interessante notare che queste pressioni sui prezzi negli USA si stanno verificando anche se l’economia non è certo in espansione, con il PIL in calo del 2,8% nel terzo trimestre rispetto a un anno prima e la sparizione di 10 milioni di posti di lavoro.

Quando l’economia migliora, la salita dei prezzi è conseguenza di un aumento delle attività produttive e della capacità individuale di procacciarsi delle entrate.

Nel nostro caso invece la salita dei prezzi è dovuta a una scarsità di offerta e distribuzione di prodotti, unito a una perdita di potere d’acquisto del dollaro rispetto alle valute dei paesi dove vengono prodotte le materie prime.

In Europa vi sono diversi meccanismi che mascherano ancora l’inflazione. Ma l’eccezione non resterà tale a lungo.

Quando l’Europa dovrà necessariamente riaprirsi al mercato e alla produzione, i prezzi (aumentati) delle materie prime e dei prodotti produrranno uno shock socio-economico.

Per questo dalle nostre parti si cerca di allungare i tempi del “contagio” a tempo indefinito.

Meglio restare ancora un po’ nella campana di vetro della pandemia e dei ristori economici, piuttosto che dover nuovamente affrontare il mondo reale li’ fuori…