Mercoledì, la Fed ha annunciato ufficialmente la fine del suo programma di acquisto di asset da 120 miliardi di dollari al mese che era in vigore da giugno 2020.

Il tapering inizierà riducendo gli acquisti di soli $ 15 miliardi al mese, un’opzione meno aggressiva di quella che i trader temevano, ossia quella di $ 30 miliardi al mese.

Il motivo di questa scelta “morbida” è a mio avviso di grande buon senso. La Fed infatti ritiene che il rischio di rallentare l’economia adottando un tapering troppo rapido sia maggiore del rischio che l’inflazione continui a salire nel 2022.

Anche chi ritiene che l’inflazione non sia così transitoria (o per niente transitoria), deve ammettere che un amministratore prudente non avrebbe avuto altra scelta se non prendere la stessa decisone.

Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha poi sottolineato che la fine del programma di acquisto di obbligazioni non segna l’inizio di un nuovo ciclo di rialzo dei tassi.

Il successo di questo programma dipende quindi tutto dalle probabilità che l’inflazione inizi a diminuire il prossimo anno.

Se infatti l’inflazione al contrario continuerà a salire, la Fed dovrà invertire il proprio piano e iniziare a far salire i tassi di interesse molto rapidamente per arginare una spirale inflazionistica.

Questa eventualità farebbe inevitabilmente scendere le borse, se non altro per una questione di semplice matematica.

Infatti, per supportare un determinato prezzo delle azioni in borsa, una società deve mantenere un certo livello di guadagni. E tale livello aumenta all’aumentare dei tassi di interesse.

Di conseguenza, valori di P/E (prezzo di un’azione rispetto agli utili prodotti dall’azienda) che sembrano ragionevoli in un mondo a tasso zero diventano impraticabili quando i tassi aumentano.

Ma la reazione positiva delle borse dopo la conferenza stampa rivela che questa eventualità oggi sembra piu’ remota.

Essenzialmente per due “buone notizie” ricevute dai media.

La prima buona notizia per le borse: l’allentamento dei “colli di bottiglia”

Una delle cause principali dell’inflazione “transitoria”, ossia i blocchi nell’approvvigionamento delle merci, sta mostrando segni di indebolimento.

Questa settimana, l’amministratore delegato della più grande società di logistica delle spedizioni, GXO Logistics, ha affermato che potremmo aver già raggiunto il “picco” di questo problema.

I costi di trasporto stanno diminuendo; il che indica che i “colli di bottiglia” dei porti e degli aereoporti si stanno allentando. A dimostrazione di cio’, il tasso di riferimento del WCI Composite Freight Benchmark mostra che il costo di un container da 40 piedi è sceso di circa il 9,5%, mentre il Baltic Dry Index, un punto di riferimento per il costo della spedizione di materie prime via mare, è sceso di quasi il 40% dall’inizio di ottobre.

La seconda buona notizia per le borse: le pubblicazioni degli utili

Un altro fattore che sta incoraggiando le borse è l’eccezionale performance nei bilanci dell’ultimo trimestre pubblicati dalle società quotate in borsa.

Infatti, tornando al discorso del rapporto P/E rispetto all’inflazione, nell’eventualità di una inflazione non piu’ transitoria, se il denominatore “E” (ossia, gli utili di un’azienda) riuscisse a salire piu’ in fretta dell’inflazione (o meglio, piu’ in fretta del rialzo dei tassi eventualmente adottato dalla Fed di fronte a un’inflazione non piu’ transitoria), allora il numeratore “P” (il prezzo delle azioni in borsa) non sarebbe costretto a scendere per riequilibrare il risultato finale del rapporto.

Di conseguenza, aziende con utili strepitosi non dovrebbero temere l’inflazione e il rialzo dei tassi.

Ora, sta di fatto che gli utili presentati finora dalle società quotate in borsa fanno sperare proprio in una possibilità del genere.

Lo dicono i numeri…

Per il terzo trimestre del 2021 (con il 56% delle società S&P 500 che hanno riportato risultati effettivi), l’82% delle società dello S&P 500 ha riportato una sorpresa positiva per l’EPS e il 75% delle società dello S&P 500 ha riportato una sorpresa positiva per i ricavi.

Il tasso di crescita degli utili combinati per l’S&P 500 è del 36,6%. Se questa percentuale rimarrà grosso modo invariata dopo che tutte le società avranno pubblicato i bilanci, essa segnerà il terzo più alto tasso di crescita degli utili dal 2010.

E se qualche complottista dirà che questi numeri sembrano cosi’ positivi solo perché l’anno precedente gli utili sono stati prossimi allo zero, ditegli che se confrontiamo gli utili di quest’anno con il 2019 (saltando quindi i numeri senza senso nel 2020), il tasso di crescita degli utili composto per tutte le società è ancora del 16,4% all’anno; il che è un risultato eccezionale, perché non vedevamo tassi di crescita del genere dal 2012

Riassumendo quindi, da una parte le cause dell’inflazione “temporanea” sembrano in ritirata, dall’altra, gli utili eccezionali di quest’anno sarebbero in grado di fare fronte anche a un eventuale rialzo dei tassi deciso dalla Fed a fronte di un’inflazione non piu’ temporanea.

Da qualunque parte la si guardi, dunque, la situazione per ora è molto favorevole ai mercati. Per questo le borse non faranno che salire, almeno fino alla fine dell’anno.

Naturalmente è sempre prudente avere una visione a breve-medio termine su queste questioni.

L’inflazione temporanea o la pubblicazione dei bilanci sono solo una parte dei fattori che influenzano l’economia e quindi le borse.

Godiamoci quindi gli eventuali rendimenti di fine anno e manteniamo una condotta prudente per l’anno successivo.