Questo articolo è, come sempre, di natura economica. Tuttavia la complessità dell’argomento non puo’ impedirci di fare delle premesse di analisi politica, imprescindibili per capire gli sviluppi economici che vorremmo descrivere.

Il 22 settembre scorso Biden ha tenuto un summit internazionale (virtuale) contro il Covid 19 a margine della 76 esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Il summit doveva destinare aiuti ai paesi non occidentali che non possono affrontare la spesa di acquisto delle dosi necessarie per le loro campagne vaccinali.

Tuttavia, per la prima volta nella storia, un summit organizzato dagli USA è stato disertato dai paesi beneficiari.

A fronte di almeno un centinaio di stati che avrebbero dovuto partecipare, erano infatti presenti solo i paesi occidentali alleati degli USA e alcune organizzazioni internazionali

La sfiducia nei confronti degli USA deriva dal fatto che Washington, nel precedente programma di aiuti, non aveva mantenuto la promessa di distribuire a livello globale 160 milioni di dosi di vaccino. Non si comprende quindi come sarebbe stata mantenuta la promessa legata a questo summit, cioè di distribuire 500 milioni di dosi, ora che i prezzi dei vaccini sono anche aumentati.

L’impostazione americana della lotta al Covid 19, basata esclusivamente sui vaccini, sta perdendo vigore non solo presso i paesi non occidentali, ma anche nei salotti buoni delle élites mondiali.

L’impostazione americana ricalca quella di Bill Gates, che contrariamente a quanto si crede è un outsider rispetto alla “armoniosa” compagine delle aziende iscritte al World Economic Forum.

Sia Gates che Biden vorrebbero estendere anche ai paesi non occidentali i programmi di vendita in massa dei vaccini anti covid.

Tuttavia questo obiettivo si scontra sia con le evidenti carenze di mezzi che abbiamo citato a proposito della mancata “promessa” americana di distribuzione di vaccini ai paesi terzi, sia con l’opposizione di Cina e Russia, che considerano una ingerenza questa pretesa di “curare” in massa il mondo intero.

La Cina è un attore imprescindibile per il WEF, come dimostrano le lodi sperticate che Klaus Schwab ha dedicato a questa nazione in occasione del cinquantennale del suo ingresso nelle Nazioni Unite.

Ecco perché il Grande Reset, nella sua accezione piu’ “pura”, è definitivamente multilaterale ed equidistante nel conflitto tra USA e Cina.

Di conseguenza, come dicevamo prima, il “totalitarismo” vaccinale del duo Biden-Gates inizia a non trovare piu’ molti sostenitori a livello globale.

Tutto sembra aver avuto inizio il 15 settembre, quando il World Economic Forum (il laboratorio di progetti e idee del “Grande Reset”) pubblica un articolo dal titolo emblematico: “Quando finirà la pandemia Covid19?”.

In questo articolo per la prima volta si prospettano le linee guida per un ritorno alla normalità post pandemia.

Secondo il WEF, i vaccini, a causa delle varianti virali, non riusciranno mai a creare una “immunità di gregge”. Per tale ragione non ha senso continuare a tamburo battente sui programmi vaccinali, ma al contrario si dovrà adottare il “modello inglese”, che prevede di declassare il Covid 19 a virus endemico da trattare con le stesse strategie usate contro l’influenza (quindi abolendo le restrizioni economiche e civili e usando i vaccini con periodicità annuale-semestrale).

Leggendola fra le righe, questa soluzione in buona sostanza afferma che in occidente c’è ormai una copertura vaccinale sufficiente ad assicurare alle case farmaceutiche i profitti a lungo termine che deriveranno dal coinvolgere la parte di popolazione “favorevole” ai richiami periodici annuali.

Al contrario, prolungare le costose e politicamente impegnative campagne su vasta scala nel tentativo di vaccinare anche il resto della popolazione refrattaria, non produrrà profitti sufficienti a coprire eventuali rischi imprevedibili di natura politica o economica.

Molto istruttivo a questo punto è osservare come i paesi occidentali, gli unici al mondo ad aver adottato piani vaccinali su larga scala, stanno rispondendo a questa importante parola d’ordine.

È evidente infatti che non tutti si stanno allineando alle nuove linee guida del WEF.

A grandi linee, possiamo notare due categorie di paesi:

1. Da una parte, quelli che, come UK, Danimarca, Norvegia, Svezia, Spagna e alcuni paesi dell’est Europa non avranno problemi a seguire queste linee guida, in quanto l’abolizione delle restrizioni civili ed economiche non comporta un pericolo per la loro stabilità politica.

2. Dall’altra, quelli per cui al contrario è difficile un ritorno alla normalità secondo le linee guida del Grande Reset, per una delle seguenti ragioni, o entrambe:

  • Il ritorno alla normalità comporta un rischio di “resa dei conti” sociale, politica o giudiziaria per i governi in carica, oppure
  • Il ritorno alla normalità comporta la rescissione di alleanze politiche internazionali o contratti economici privati che avevano come clausola vincolante proprio l’adozione di campagne vaccinali su vasta scala.

Alcuni stati appartenenti a questa categoria hanno messo in standby i loro programmi di lotta al Covid, in attesa di trovare una via di uscita il piu’ possibile priva di conseguenze per la classe politica coinvolta (in Germania, ad esempio, le elezioni non potevano tenersi nel momento piu’ opportuno).

Altri invece, come Italia, Slovenia e Australia, stanno adottando la strategia opposta: irrigidire ulteriormente le restrizioni economiche e civili nella folle speranza di instaurare un regime autoritario che possa garantire alla classe politica una impunità a vita.

Quali sono le conseguenze economiche di tutto questo?

La sospensione delle campagne vaccinali su vasta scala e il ritorno alla pace civile sono le condizioni necessarie per passare ai piani successivi, post pandemici, del Grande Reset, che sono, ad esempio:

  • Digitalizzazione delle identità e delle principali funzioni sociali, incluso l’uso della moneta.
  • Abolizione del diritto al lavoro.
  • Sostituzione della figura del “consumatore” con quella del “fruitore di prodotti e servizi”
  • Sottomissione di aziende e multinazionali a obiettivi politici sovraordinati
  • Imposizione di tassazioni sovranazionali

E cosi via…

Tralasciando gli obiettivi politici di queste misure, il loro scopo economico è quello di preparare i paesi occidentali ad affrontare l’inflazione, la recessione economica e la perdita di potere d’acquisto delle valute, causate dai lockdown globali del 2020.

Quando tutti i passaggi del Grande Reset verranno completati, i paesi che piu’ velocemente vi si saranno conformati potranno continuare la loro marcia verso l’indebitamento senza subire troppo i contraccolpi di questi “effetti avversi” dei primi lockdown.

Infatti tali paesi potranno velocemente rimodulare i consumi e la capacità di produzione al variare delle condizioni economiche esterne.

Al contrario, i paesi indebitati che non avranno adottato i passaggi elencati sopra, non potranno variare velocemente i loro fondamentali economici e quindi si troveranno piu’ esposti ai venti esterni.

È ovvio quindi che in futuro le differenze di adozione dei pani del Grande Reset si tradurranno in profonde differenze economiche tra i paesi.

Particolarmente preoccupante è il destino dei paesi che avranno scelto la deriva autoritaria, che spesso non permette l’adozione di profonde modifiche socio-economiche, ma solo aggiustamenti di facciata.

Italia e Australia sono consapevoli della loro importanza per gli equilibri geopolitici. Per questo possono permettersi di aggirare le norme del Grande Reset ed eventualmente mantenere arretrate le loro economie.

Questa scelta tuttavia le spinge a stabilire alleanze sempre piu’ vincolanti con i paesi “forti”.

Inoltre le impostazioni autoritarie, una volta instaurate, obbligano necessariamente a una escalation delle restrizioni e delle imposizioni. Nessuna deriva autoritaria è mai “tornata indietro” alla tolleranza e alla democrazia, ma si è sempre conclusa per l’esaurimento dell’efficacia dei mezzi coercitivi utilizzati.

In sostanza, a un certo punto lo stato finisce per esercitare un controllo cosi’ totale da autodistruggersi.

Come abbiamo detto in articoli precedenti, gli architetti del Grande Reset non hanno il potere di superare i conflitti internazionali e le differenze tra un paese e l’altro. Pertanto le loro indicazioni generali saranno adottate in modo diverso nei vari stati.

All’inizio della pandemia e agli albori delle prime applicazioni pratiche dei piani del World Economic Forum avevamo ipotizzato queste inevitabili differenze tra i paesi, che ora, alla vigilia di un importante punto di svolta, cioè la cosiddetta “fine della pandemia”, inizieranno ad essere sempre piu’ vistose.

Quello che è certamente piu’ allarmante, non solo in termini economici, è che il Grande Reset è un piano in cui ogni passaggio ha effetti esponenziali sui passaggi successivi. Percio’, i paesi che “saltano” un passaggio difficilmente potranno tornare indietro e riprendere il percorso come nel gioco dell’oca.

Col tempo quindi, assisteremo a un irrigidimento delle differenze politiche, sociali ed economiche tra paesi che avranno “interpretato” in modo diverso il piano del Reset. E questo porterà all’effetto opposto rispetto agli ideali del Reset.

Andremo verso una maggiore conflittualità tra paesi, governi e istituzioni, non certo alla sperata pace universale.