Nel panico creato dai default bancari di questi giorni, si tende ad accomunare il crack di Crédit Suisse e quello delle banche americane in una stessa narrativa, ossia quella di una possibile riedizione della grande crisi finanziaria del 2008.
Se pero’ ci si ferma a riflettere, risulta evidente che i default americani e quello svizzero sono del tutto diversi.
Ad esempio:
US: Gli istituti di credito americani falliti, o fatti fallire, sono di medie dimensioni e appartengono alla categoria delle banche commerciali.
CH: Crédit Suisse è invece una grande banca sistemica globale.
US: Il fattore principale che ha permesso i default americani è stata la crisi dei buoni del tesoro USA, innescata dai rialzi dei tassi della Federal Reserve.
CH: Crédit Suisse non aveva una particolare esposizione a questa classe di titoli.
US: I bank run che hanno fatto precipitare le cose sono avvenuti nell’arco di pochi giorni e sono stati in buona parte pilotati dall’esterno con la complicità di banche rivali (come spiegato qui).
CH: I bank run in Crédit Suisse erano già in corso da settimane e sono tuttora “misteriosi”, nel senso che nessuno ne ha mai fatto una analisi specifica.
Ma al di là di queste differenze puntuali, anche il principio di fondo su cui si basa questa lettura superficiale dei fatti non è sostenibile dal punto di vista logico…
Spiego meglio…
La “crisi di fiducia” nel sistema bancario è davvero un problema anche svizzero?
E’ opinione comunemente accettata che il quadro generale in cui stanno avvenendo questi default bancari si basi sui seguenti fattori:
1 crisi di fiducia in un sistema bancario dominato dal sistema fiat (denaro come credito)
2 crisi di fiducia nella gestione della liquidità delle banche centrali,
Ma cosa c’entra la Svizzera in tutto questo?
Perché dei bank run sarebbero dovuti avvenire proprio in uno dei pochi paesi occidentali in cui i due fattori sopra citati hanno sempre avuto un impatto minimo sul suo sistema finanziario?
Infatti, guarda questi due grafici di seguito…
In un arco di tempo pluriennale, il franco svizzero funziona ancora come un’ottima riserva di valore nei confronti del dollaro e dell’euro.
Dopo l’oro e bitcoin, il franco è la terza riserva di valore piu’ usata, ed è anche molto meno volatile delle prime due.
I due grafici qui sopra non sarebbero possibili se vi fosse una crisi di fiducia nel franco e nella banca centrale svizzera.
Guardando poi la parte piu’ recente dei due grafici, vediamo che il franco negli ultimi mesi, si è apprezzato sia sul dollaro che sull’euro. E questo vuol dire una cosa sola: in questi mesi c’è stato un afflusso di capitali in Svizzera; altro che bank run..!
Ma allora, cosa ha provocato l’uscita di capitali fuori da Crédit Suisse? Perché è di questo che dobbiamo parlare, se vogliamo capire la ragione del default di questa grande banca. Il “punto cieco” della crisi bancaria svizzera è sempre quello che abbiamo detto all’inizio: i bank run.
Nessuno si è mai preoccupato di analizzare le ragioni del bank run di Crédit Suisse. Come se in questo periodo i bank run fossero un fenomeno naturale, che puo’ succedere ovunque, tipo la pioggia in autunno o la neve in inverno.
Al contrario, l’uscita di capitali da questa banca è dovuta a una causa ben precisa, completamente differente da quella che ha provocato i bank run in America.
Per capire di cosa si tratta, arriviamoci per gradi…
Parliamo anzitutto delle riserve straniere depositate nelle banche svizzere.
La Svizzera come rifugio dei capitali cinesi
La Svizzera è ancora il centro numero uno per la raccolta di capitali provenienti da tutto il mondo ed è responsabile di un quarto del totale globale dei capitali offshore.
Qui pero’ ci focalizziamo su uno specifico paese di provenienza di questi capitali: la Cina.
Pochi sanno che la borsa svizzera sta quotando un numero crescente di società cinesi che non vogliono piu’ sottostare alle “regole di ingaggio” della borsa americana.
Pochi sanno che questo non è un fenomeno passeggero, ma un processo di integrazione a lungo termine che ha implicato la determinazione di uno standard comune di auditing e supervisione da parte dei regolatori svizzeri e cinesi, con cui i capitali delle società possono essere riconosciuti e fatti transitare tra le borse di entrambi i paesi.
La Svizzera è uno dei pochi paesi occidentali che sta incamerando a piene mani capitali cinesi, e continua a farlo anche nel clima di diffidenza tra oriente e occidente instauratosi tra il 2022 e il 2023.
Ma a quanto ammontano i capitali cinesi depositati nelle banche svizzere?
E’ uno dei misteri di questo secolo su cui pochi media, come il Financial Times, hanno tentato di fare luce.
In questo articolo, il FT dice cose davvero interessanti, come ad esempio:
- I beni russi domiciliati in Svizzera ammontano a un valore di 46,1 miliardi di franchi
- Nell’ultimo decennio, tuttavia, la Cina è diventata una fonte di entrate molto più importante della Russia.
- Possiamo dunque indovinare che i beni cinesi in Svizzera superino i 50, forse i 100 miliardi di franchi… o forse sono molto di piu’, se consideriamo il punto seguente…
- Infatti, secondo Anke Reingen, analista della RBC Royal Bank intervistata dal FT, la Cina è ormai al centro della redditività delle maggiori banche svizzere, al punto che (cito): “Se guardi ai prezzi delle banche svizzere in borsa, ti accorgi che sono strettamente correlati agli indici asiatici, perché una parte ampia degli utili di queste banche proviene da quella regione”.
Quindi, da tutto questo e dal paragrafo precedente possiamo desumere che…
…se vi è una crisi di fiducia nel sistema finanziario occidentale, la Svizzera viene vista dal continente piu’ popoloso al mondo: l’Asia, come una fortunata eccezione, anzi come un’opportunità in questa crisi, non come parte del problema. Non ti pare?
Ora, stablito questo concetto di base, passiamo al lato meno piacevole dell’articolo…
…se infatti lo abbiamo intitolato: “un delitto in pieno giorno”, dobbiamo a un certo punto spiegare di quale delitto parliamo…
La Svizzera presa al laccio delle sanzioni
Le notizie che riporto qui di seguito sono ormai note a tutti.
Le riassumo solo per mettere tutti i lettori sullo stesso binario…
Sappiamo tutti che l’ambasciatore Usa a Berna, Scott Miller, si è detto poco soddisfatto della Segreteria di Stato dell’economia svizzera, deputata a sorvegliare l’applicazione delle sanzioni alla Russia e si è anche irritato per alcuni commenti della direttrice Helene Budliger Artieda, che “rimettono in discussione l’utilità delle sanzioni”.
Secondo Miller, a fronte dei 7,75 miliardi di franchi di beni russi congelati in Svizzera, ci sono altri 50-100 miliardi che non sono stati congelati.
L’ambasciatore Usa a Berna ha inoltre esortato la Confederazione elvetica a prendere parte alla task force “Russian Elites, Proxies and Oligarchs” e a partecipare alla discussione su come confiscare questi fondi nel quadro del diritto internazionale e nazionale degli Stati.
La Svizzera non ha mostrato finora alcuna disponibilità in tal senso. E per l’ambasciatore Usa (questo passo è molto importante), i paesi che non si impegnano nella confisca dei fondi russi devono aspettarsi delle conseguenze.
Questo duro braccio di ferro non ha tranquillizzato i Cinesi.
Gli Americani possono parlare apertamente di confisca dei beni russi, per la ben nota situazione in atto, ma non possono certo dichiarare apertamente che anche la progressiva integrazione delle finanze cinesi e svizzere sia un incubo per loro; anzi, probabilmente è il loro incubo peggiore…
I Cinesi questo lo sanno bene e percio’, da quando le relazioni USA-Svizzera hanno iniziato a peggiorare, stanno riportando in patria una parte dei capitali che, come abbiamo visto, formano il core business di molte banche svizzere.
A quanto ammontano i capitali in fuga, rispetto al capitale totale cinese che si trova in Svizzera? Quali banche stanno subendo questi bank run? Nessuno lo sa, data la completa impenetrabilità del governo e degli enti regolatori svizzeri su questi argomenti.
Possiamo pero’ iniziare a tirare le fila del discorso e ipotizzare che la causa dei bank run di Crédit Suisse sia fortemente correlata alla fuga dei capitali cinesi o asiatici in generale dalla Svizzera…
…E che percio’ questa tendenza al bank run non ha nulla a che fare con la crisi di fiducia nelle valute fiat o nelle politiche monetarie delle banche centrali occidentali, ma piuttosto con la possibilità che la Svizzera prima o poi venga obbligata ad allinearsi con il resto dell’occidente nel mandare all’aria l’affidabilità della custodia dei depositi nelle sue banche.
Conclusione: ancora una volta, non siamo nel 2008
Il quadro che abbiamo delineato finora rende piuttosto evidente la diversità incommensurabile tra le crisi bancarie americane e quella svizzera.
In America abbiamo un sistema finanziario sempre piu’ difficile da gestire e una banca centrale che sembra impegnata a distruggere, piu’ che a trovare soluzioni, lasciando campo libero alla legge della jungla nella quale le banche piu’ grandi iniziano a divorare le piu’ piccole.
In Svizzera abbiamo una realtà immune dalla deriva finanziaria occidentale, che pero’ proprio per questo è caduta sotto il mirino degli Stati Uniti e rischia di soccombere.
Dal punto di vista dell’investitore, la conclusione piu’ importante che possiamo trarre è che questa diversità di scenari esclude la possibilità di poter inserire sotto lo stesso calderone (crisi del 2008) le banche americane e Crédit Suisse.
I fautori dell’ipotesi di una “riedizione del 2008” avevano bisogno del crollo di una grande banca sistemica, in modo da far dimenticare le specificità delle banche americane in default, lontane anni luce dalla situazione del 2008.
Ma Crédit Suisse non puo’ assumere questo ruolo, perché le condizioni che hanno portato al suo default non sono legate ad alcun fattore finanziario tipicamente occidentale, come il denaro fiat, la svalutazione, l’inflazione, le banche centrali e chi piu’ ne ha piu’ ne metta.
Crédit Suisse è caduta a causa della guerra, non dell’economia corrotta occidentale. Dopo questo articolo, ci sono pochi dubbi su questo, spero…