Anche se i tassi d’interesse a breve termine verranno abbassati dalla Federal Reserve, come tutti si aspettano, non è detto che i tassi dei titoli di stato a lungo termine si abbassino a loro volta in conseguenza di questa misura.

Spieghiamo questo apparente paradosso.

La regola generale di tutti i prodotti obbligazionari, inclusi i titoli di stato, è che i prezzi delle obbligazioni si muovono inversamente rispetto ai loro rendimenti, cioè al tasso d’interesse.

In virtù di questo meccanismo, visto che Jeremy Powell, direttore della Federal Reserve, sembra ormai deciso questo mese ad abbassare nuovamente i tassi d’interesse dei titoli di stato, tutti si aspettano che di conseguenza il prezzo di questi titoli aumenti.

Infatti, come mostra il grafico sotto, le posizioni rialziste nel mercato dei futures legati alle obbligazioni hanno raggiunto un livello massimo pluriennale:

Storicamente però, questo livello estremo precede sempre un abbassamento dei prezzi obbligazionari, non una continuazione verso l’alto.

Abbiamo visto casi simili nel 2013, 2016 e 2017: ogni volta che le posizioni rialziste nei futures sono arrivate a un livello estremo, ci sono state forti perdite nei prezzi delle obbligazioni.

Stesso discorso vale per gli acquisti negli Etf legati ai titoli di stato.

Il più scambiato di questi Etf: l’iShares Barclays 20+ Year Treasury Bond Fund (TLT), che detiene un paniere di buoni del Tesoro a lungo termine, ha raggiunto massimi storici.

Il fatto che tutti gli investitori abbiano comprato quote di TLT ha spinto il suo RSI (Relative Strenght Indicator, l’indicatore della forza rialzista di un titolo) a livelli di ipercomprato che non si vedevano dal dicembre 2008:

Ci sono stati solo altri due casi in cui l’RSI di TLT ha raggiunto questi livelli: nel 2003 e alla fine del 2008. E entrambe le volte l’Etf ha subìto perdite a due cifre nel corso dell’anno successivo.

Ma questi estremi non sono gli unici segni di una probabile inversione del mercato dei buoni del tesoro.

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Un altro indicatore affidabile – il Daily Sentiment Index (“DSI”), che tiene traccia del sentimento tra gli operatori a breve termine – ha recentemente registrato un livello estremo del 98%.

Si tratta del secondo estremo più rialzista mai registrato da questo indice. Infatti, il DSI per i buoni del tesoro è stato così elevato solo un’altra volta: il 15 dicembre 2008, prima che i prezzi di queste obbligazioni crollassero di oltre il 20% nei sei mesi successivi, facendo salire i rendimenti  dei buoni a 30 anni da circa il 2,5% a circa il 4,8% a metà giugno.

Anche il fondo globale della Bank of America Merrill Lynch ha dichiarato che, secondo un sondaggio fatto dalla banca, oggi le scommesse degli investitori istituzionali (cioè dei gestori dei grandi fondi di investimento) su un rialzo sui prezzi dei titoli del Tesoro sono le più alte rispetto a qualsiasi altro periodo dal 2008 in poi.

Sulla base di tutti questi indicatori, possiamo prevedere che i prezzi dei titoli del Tesoro a lungo termine potrebbero facilmente scendere del 20% o più nei prossimi mesi.

Di conseguenza, poiché i prezzi e i rendimenti delle obbligazioni si muovono inversamente, potremmo vedere i tassi a lungo termine passare da meno del 2% oggi al 4% o più.

Ora, questa previsione potrebbe sembrare in contraddizione con la quasi certa riduzione dei tassi d’interesse che Powell dovrebbe decidere questo mese.

Dopotutto, se Powell abbassa d’autorità questi benedetti tassi, come può accadere che poi aumentino di nuovo?

Per rispondere a questo legittimo dubbio, bisogna anzitutto considerare che la Federal Reserve è in grado di influenzare solo i tassi dei titoli di stato a breve termine.

Le decisioni della Federal Reserve di alzare o abbassare i tassi riguardano sempre e solo i buoni del tesoro a breve termine.

Al contrario, i tassi dei titoli di stato a lungo termine, dai 10 anni in poi, sono totalmente decisi dal mercato e non possono essere influenzati da alcuna misura “automatica” decisa dalla Fed.

Quindi quando diciamo che in futuro i tassi dei buoni del tesoro si alzeranno (con relativa riduzione dei prezzi di questi titoli), ci riferiamo sempre e solo ai titoli a lungo termine.

I livelli estremi di ipercomprato in questo mercato indicano che non c’è molto spazio per ulteriori rialzi in questa classe di titoli. Cioè, detto in parole povere: i grandi fondi hanno già investito tutto quello che potevano e non c’è altra liquidità da riversare su questi titoli.

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La prevedibile liquidità in eccesso che inonderà i mercati questo mese, come accade ogni volta che la Fed abbassa i tassi d’interesse, stavolta non si dirigerà nel settore obbligazionario, ma in quello azionario.

E visto che i tassi dei titoli di stato a lungo termine sono influenzati dalle scelte del mercato, è prevedibile che il mancato aumento di acquisti in questa classe di titoli dopo la decisione della Fed, farà alzare nuovamente i tassi a lungo termine, spingendo Powell a decidere ulteriori riduzioni dei tassi a breve termine per contrastare questa tendenza spontanea del mercato.

Del resto, tutti si aspettano che Powel non si limiti ad abbassare i tassi solo questo mese, ma anche a dicembre e l’anno prossimo. E le spinte in senso contrario del mercato renderanno più impellente tale corsa.

Quindi i due scenari: riduzione “seriale” dei tassi a breve da parte della Fed e aumento dei tassi a lungo termine, non sono affatto in contraddizione, ma anzi potrebbero sostenersi a vicenda.

Chi vuole investire sulla base di queste indicazioni suggerite dagli indicatori che abbiamo citato, dovrebbe scommettere su un ulteriore rialzo della borsa azionaria americana a discapito di quella obbligazionaria.

Ma il modo più semplice per approfittarne è investire in un Etf che shorta i titoli di stato USA a lungo termine e aspettare con pazienza che il vento giri dalla parte giusta…

Il team di Segnali di Borsa

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