Nell’ultima conferenza stampa del 1 maggio, Powell è riuscito ancora una volta a focalizzare l’attenzione dei media sul (falso) problema dell’inflazione.

Il solito teatrino è andato in onda: l’inflazione non è ancora abbattuta del tutto, i tassi non possono ancora scendere, le borse sono preoccupate, e cosi’ via…

In questo scenario già visto c’è stata però una nota che sembrava non combaciare con tutto il resto: Powell a un certo punto ha annunciato che a partire da giugno la riduzione dei titoli di stato dal bilancio della Fed subirà un forte rallentamento. I titoli scaricati dal bilancio non saranno piu’ pari a 60 miliardi, ma a soli 25!

Ma come? I posti di lavoro e i salari sono in aumento, minacciando un ritorno dell’inflazione. Anche l’economia va a gonfie vele e quindi deve essere raffreddata con una stretta monetaria per evitare l’inflazione. E Powell cosa fa? La cosa esattamente opposta, riducendo fortemente il QT, cioè riducendo la stretta monetaria che lui stesso sostiene essere cosi’ importante per combattere l’inflazione…

La cosa non ha senso, a meno che non guardiamo un pò oltre il ristretto quadro dipinto dai media, cercando di capire cosa sta davvero preoccupando Powell al di là dell’inflazione…

Nel nostro canale Telegram avevamo fatto notare, in un post del 25 marzo, che mentre la Fed era riuscita a ridurre la liquidità dal sistema togliendo di mezzo circa 1 trilione di dollari, il Tesoro degli Stati Uniti ha dovuto spendere, nello stesso lasso di tempo, il doppio di quella cifra (due trilioni), praticamente azzerando gli sforzi della Fed.

Si deve considerare che il Tesoro ha speso il secondo di questi due trilioni in un solo anno. E che ha preso questi soldi da un deposito solitamente destinato al mercato repo (il mercato in cui le banche riallineano i loro bilanci a fine giornata), nel quale, dopo il “saccheggio” del Tesoro, restano soltanto 500 miliardi, che, vista la velocità di spesa del governo, certamente finiranno prima della fine del 2024.

A parte questo tesoretto del mercato repo, che si trovava depositato li’ dai tempi del covid, non ci sono soldi liquidi nascosti da qualche altra parte su cui il Tesoro possa mettere le mani.

E’ ovvio quindi che, per saziare la fame di soldi del governo, bisogna prima o poi riprendere alla grandissima la stampa di dollari che era stata interrotta da Powell nel 2022. In pratica, bisogna smetterla con questa storia dell’inflazione e della riduzione della liquidità attraverso la riduzione del bilancio Fed e l’aumento dei tassi.

Il Tesoro degli Stati Uniti deve poter continuare a emettere montagne di obbligazioni di stato per finanziare le guerre e le altre spese folli del governo. E non è diposto piu’ a pagare montagne di interessi su questi titoli a causa dei tassi alti decisi da Powell. Inoltre, deve esserci la certezza che qualcuno si accolli queste obbligazioni. Quindi Powell deve fare la sua parte rimettendo questi titoli nel bilancio della Fed.

Tutto ciò in forma graduale, certo. Facendo in modo che la Fed non sia costretta da un giorno all’altro a dire che le sue politiche restrittive erano solo uno scherzo.

E infatti Powell ieri ha nascosto la prima mossa del suo voltafaccia (la riduzione del suo QT da 60 a 25 milioni) nei soliti discorsi sull’inflazione tanto cari ai media e a Wall Street.

Nessuno quindi ha badato al fatto che la situazione debitoria del Tesoro, legata alle spese fuori controllo del governo, sono talmente esorbitanti da superare di molto tutti gli aspetti legati all’inflazione.

Vediamo alcune cifre di questo scenario che per ora i media stanno trascurando…

Da quando le politiche dei tassi alti della Fed hanno iniziato ad avere effetti nell’ottobre 2022, il Tesoro ha dovuto pagare in un anno e mezzo più di 1.300 miliardi di dollari di spese per interessi, mentre altri 1.000 miliardi sono da spendere per il prossimo anno.

Il tutto ammonta a oltre 2,3 trilioni di spese per interessi sul debito entro aprile 2025, (assumendo che il tasso medio il prossimo anno rimanga superiore al 4,75%).

Ma abbiamo detto che la spesa del governo è fuori controllo. Di conseguenza, sono fuori controllo anche le emissioni di nuovi titoli di stato che finanziano tali spese, sui quali ovviamente saranno fuori controllo anche gli interessi da pagare…

Secondo alcune stime, infatti, queste spese per interessi sono destinate a peggiorare di circa 3-4 miliardi di dollari al giorno….

Pensate ancora che Powell non sarà costretto prima o poi a ridurre la velocità di questa corsa verso il baratro, allentando il peso che i tassi elevati esercitano su questa accelerazione?

E finora ci siamo limitati solo al debito governativo.

Se ci mettiamo dentro anche il debito di imprese e consumatori, vediamo che la Fed si trova ad affrontare una massiccia struttura debitoria di circa 86 trilioni di dollari in debiti di mercato (50mila miliardi di dollari in obbligazioni di emittenti nazionali e altri 36mila miliardi di dollari in prestiti al settore non finanziario). Escludendo il doppio conteggio dei debiti ipotecari (prestiti più obbligazioni cartolarizzate in MBS per un totale di 9,1 trilioni di dollari), il debito netto non governativo supera i 76 trilioni di dollari.

Non tutto questo debito è destinato a essere rifinanziato ogni anno.

Si stima quindi che i debiti complessivi, pubblici e privati, che necessitano di rifinanziamento il prossimo anno sono compresi tra 13,5 e 14,5 trilioni di dollari, dei quali 9,5 trilioni di dollari sono in titoli di stato, cioè debito governativo.

Si tratta pur sempre di una cifra enorme, su cui i tassi al 5% pesano come un macigno.

Tutto questo in una situazione economica che per ora sta reggendo, ma che inizia a mostrare delle crepe che la narrativa mediatica dell’inflazione impedisce di vedere.

Prendiamo ad esempio i dati del mercato del lavoro, di cui nel nostro canale Telegram abbiamo spesso dimostrato la falsificabilità.

Nei media tutti dicono che il mercato del lavoro è troppo in salute per sperare in una riduzione dell’inflazione.

Ma i dati reali dicono tutt’altro.

Il vero indicatore delle tendenze del lavoro sono i lavori temporanei.

Da quando ha raggiunto il massimo storico di 3,2 milioni di lavoratori nel marzo 2022, questo indice è costantemente diminuito, raggiungendo i 2,8 milioni nel marzo 2024.

Il calo del 13,3% dell’occupazione temporanea negli ultimi due anni significa che circa 400.000 posti di lavoro di questo tipo sono evaporati.

Intanto, i dati della scorsa settimana hanno segnalato che il PIL americano è cresciuto a un tasso inferiore al previsto per il primo trimestre del 2024.

Se la crescita economica continuerà a rallentare, i datori di lavoro non si limiteranno a ridurre i lavoratori temporanei, ma inizieranno a tagliare anche i dipendenti a tempo pieno.

Se la Fed non invertirà in tempo questa politica monetaria restrittiva, il tasso di disoccupazione aumenterà e ben presto si avrà un’evidente recessione.

Ma per molti investitori, le questioni legate all’inflazione sono diventate una preoccupazione talmente grande da occupare tutto il campo visivo, impedendo di scorgere tutto il resto.

La verità è che l’inflazione non dipende dalla Fed, ma è causata dalle politiche del governo, come ad esempio gli incentivi governativi a certi settori produttivi, le sanzioni, le tariffe protezionistiche, ecc…in pratica, tutti gli sforzi economici senza precedenti che gli USA sono costretti a mettere in campo per resistere alla competizione sempre piu’ forte con una parte di mondo che gli sta sfuggendo di mano.

I tassi al 5% o al 3% non cambiano questa situazione, ma contribuiscono a peggiorare gli effetti collaterali di questi sforzi del governo.

Credo che Powell sia perfettamente conscio di questo.

Per tale ragione, è praticamente garantito che i tassi scenderanno e il bilancio della Fed riprenderà a rimpinguarsi di obbligazioni del Tesoro.

Bisogna sperare che ciò accadrà fintanto che l’economia USA è ancora in buono stato e che queste misure non vengano prese troppo tardi.