lunedì, Luglio 14, 2025

Perché uno tsunami di denaro si riverserà a luglio nella borsa USA

In questo articolo parliamo di un possibile aumento anomalo di prezzi nelle azioni USA dal mese di luglio in poi, generato dagli algoritmi che governano vendite e acquisti nei cosiddetti “fondi di controllo della volatilità”.

Un fondo di controllo della volatilità è un tipo di fondo di investimento che mira a mantenere la volatilità dei titoli in portafoglio entro un range costante. E per fare questo, il fondo adegua l’esposizione agli asset rischiosi in base alla volatilità del mercato.

In pratica, il fondo riduce l’esposizione agli asset rischiosi quando la volatilità è elevata e l’aumenta quando la volatilità è bassa.

Questa categoria di fondi gestisce oltre 350 miliardi di dollari di asset. Di conseguenza, i ribilanciamenti dei portafogli di tali fondi, con rapidi vendite o acquisti ingenti di titoli, possono avere un impatto sulla liquidità del mercato e ampliare i trend a rialzo o a ribasso che sono in corso in quel momento.

Il principale parametro su cui si basano questi fondi per monitorare la volatilità e prendere le loro decisioni di ribilanciamento è la “volatilità realizzata a tre mesi”, cioè la volatilità registrata negli ultimi tre mesi.

Ed è proprio questa finestra temporale trimestrale che potrebbe generare una importante anomali dei prezzi nelle prossime settimane o mesi.

Se ricordate, nel mese di aprile (mese incluso nell’ultimo calcolo trimestrale) il caos nei media provocato dall’annuncio di dazi fuori misura da parte di Trump fece aumentare la volatilità in modo estremo, con un rapido e forte crollo delle borse.

Nel prossimo calcolo della volatilità trimestrale, invece, il dato anomalo di aprile non sarà piu’ incluso, ovviamente. E nel frattempo, da maggio a oggi la volatilità è diminuita drasticamente.

Ecco perché avremo a breve una eccezionale differenza tra la penultima volatilità trimestrale che includeva aprile e il prossimo dato trimestrale, che registrerà una volatilità molto inferiore (freccia verde nel grafico):

A causa di questa drastica riduzione della volatilità trimestrale, i fondi di cui abbiamo detto inizieranno a riacquistare titoli azionari in modo massiccio. E ricordiamo che in genere questi acquisti sono automatici, cioè si attivano in base ad algoritmi, quindi si incrementano grandemente in presenza di forti differenze di volatilità registrata.

In effetti, mentre scrivo, gli acquisti sono già iniziati e l’S&P 500 è già aumentato del 2%.

Ma possiamo tentare di prevedere fin dove si spingeranno questi incrementi di portafoglio.

Infatti, diverse società di analisi monitorano il comportamento di questi fondi e cercano di prevedere l’entità di questi acquisti.

Nomura ad esempio prevede 114 miliardi di dollari di acquisti azionari in questo mese di luglio, che corrispondono al maggiore flusso di acquisti mensili mai previsti finora.

UBS invece prevede a luglio un flusso di acquisti per un controvalore di 90-110 miliardi di dollari.

In passato, previsioni simili fatte da Nomura hanno preceduto rendimenti azionari elevati nei successivi uno-tre mesi.

Qui sotto la tabella riassume tutti i casi simili registrati:

Tre di questi casi, verificatisi nel 2019, sono stati seguiti da una forte variazione dei prezzi nel breve termine (frecce verdi):

Due di questi casi si sono verificati nel 2017, durante un periodo eccezionalmente positivo per le azioni.

Un caso poi si è verificato a giugno 2018, seguito da un leggero calo di due settimane dell’S&P 500 e una ripresa successiva che ha portato l’indice a un rialzo di +5% dopo tre mesi:

Nel 2012 avvenne un incremento del +4% in due mesi, mentre nel 2014 avvenne un incremento del +5% in tre mesi.

Infine, nel 2006 ci fu un guadagno dell’11% in cinque mesi.

Ciò significa che molto probabilmente anche questa volta assisteremo a un implacabile e sistematico flusso acquisto di azioni da parte di questi fondi, forse già iniziato in questo mese.

Tenendo conto della stagionalità, per cui agosto e settembre non sono mesi rialzisti, è possibile che i primi effetti sui prezzi saranno visibili a luglio, ma poi si amplieranno in autunno.

Naturalmente, la condizione necessaria affinché questa previsione si avveri è l’assenza di un altro periodo di folle volatilità a breve termine in questro trimestre, che annullerebbe l’anomala differenza di volatilità rispetto al trimestre precedente.

Se quindi in America riusciranno a stare tranquilli almeno per un paio di mesi, direi che il rialzo delle borse, in base a questo meccanismo, è quasi certo…

L’accordo segreto USA-Cina che farà ripartire bitcoin

Di recente, la Banca Popolare Cinese (PBoC) ha nuovamente immesso circa 1.000 miliardi di yuan di liquidità (circa 140 miliardi di dollari) nell’economia cinese e ha tagliato i tassi di interesse, stanziando decine di miliardi di dollari di aiuti… il tutto finalizzato a sostenere la domanda interna.

Le precedenti iniezioni di liquidità cinesi, sia dell’anno scorso che del passato, erano avvenute mentre lo yuan era debole.

Questa volta invece l’iniezione di mille miliardi di yuan ha coinciso con un rafforzamento della valuta; e questo è un segnale molto promettente per la continuazione del trend di lungo termine di bitcoin.

Spiego perché…

Stampare nuovi yuan mentre questa valuta è forte rispetto al dollaro, consente a Pechino di fare questo allentamento monetario senza rischiare un crollo paralizzante sui mercati valutari mondiali.

Ora, è da notare che sia bitcoin che lo yuan cinese hanno iniziato un rialzo rispetto al dollaro il 5 maggio, proprio poco prima del nuovo stimolo della PBoC.

Questa tempistica, a mio avviso non è casuale.

Guardiamo il grafico qui sotto:

Come si vede, sia bitcoin (in rosso) che lo yuan (in blu) hanno iniziato insieme la salita contro il dollaro già dal 9 aprile. Appena due giorni dopo il 7 aprile, giorno in cui il ciclo di 320 giorni di bitcoin aveva toccato il suo minimo, come avevo avvisato il 28 aprile sul nostro canale Telegram (si veda quel post per capire cos’è il ciclo di 320 giorni).

Quindi, in sostanza, btc abbandona la fase finale ribassista del suo ultimo ciclo di 320 giorni e inizia la nuova fase ascendente di medio-lungo termine in tandem con lo yuan.

Questo mi fa pensare che Washington e Pechino abbiano raggiunto silenziosamente un consenso informale per consentire allo yuan di rafforzarsi rispetto al dollaro.

Uno yuan più forte infatti non solo conviene alla Cina, perché come abbiamo detto compensa la massiccia stampa di moneta di cui Pechino ha bisogno ed evita una deflazione catastrofica, ma conviene anche a Washington, perché, rendendo i prodotti cinesi più costosi, contribuisce a riequilibrare gli scambi commerciali tra i due Paesi a favore degli Stati Uniti.

A giudicare dall’andamento dei prezzi, questi colloqui “segreti” potrebbero essere iniziati all’inizio di aprile, pochi giorni dopo l’annuncio del Presidente Trump del “Giorno della Liberazione”.

Se lo yuan continua a guadagnare terreno sul dollaro, è probabile che l’attuale rally delle criptovalute acceleri. Questo non tanto per la forza dello yuan in sé, ma perché una situazione di questo tipo consente a Pechino di continuare senza rischi la stampa di denaro, che, come sappiamo, storicamente ha sempre portato a un bull trend esplosivo su bitcoin, come ad esempio nel 2017.

Non sorprende, quindi, che Bitcoin abbia riconquistato i 100.000 dollari.

Il prossimo livello chiave da tenere d’occhio è il massimo storico di chiusura di Bitcoin, vicino ai 106.000 dollari. Quando avverrà una rottura decisa sopra di questo livello, il rally potrebbe continuare verso i 150.000 dollari.

Quel fattore poco noto che poteva rovinare il bull market appena iniziato

In questo articolo vediamo cosa succede dietro le quinte del sistema finanziario americano ogni volta che il Congresso vota un aumento del tetto del debito e come ciò influenza le borse.

Una volta capito questo meccanismo, potremo aggiungere un nuovo motivo a quelli già spiegati in altri articoli per cui Trump ha iniziato il balletto dei dazi.

Inoltre, capiremo perché potremmo arrivare al punto in cui il debito pubblico americano potrà influire sulle borse e le cripto non piu’ solo in modo indiretto, tramite le politiche della Fed, ma in modo diretto, come vedremo piu’ avanti.

Anzitutto, chiariamo il meccanismo con cui il Tesoro USA è costretto a superare periodicamente il tetto del debito precedentemente fissato dal Congresso.

Il saldo del Tesoro è determinato dalla differenza tra:

– le entrate derivanti dall’emissione di nuovo debito (titoli del Tesoro) e dalle riscossioni di imposte, tasse e dazi,

– meno le uscite necessarie per pagare le spese giornaliere e per rimborsare i tassi d’interesse sui titoli del Tesoro in scadenza.

Il Tesoro cerca sempre di mantenere il saldo a circa 800 miliardi di dollari per far fronte a questi ingenti flussi giornalieri.

Quindi, ogni volta che il governo aumenta le spese e costringe il Tesoro ad avere piu’ uscite che entrate, il saldo inizia a scendere dal livello ottimale di 800 miliardi, fino ad avvicinarsi a un livello di guardia prossimo allo zero.

Possiamo vedere questo meccanismo in azione guardando il grafico qui sotto:

Il rettangolo nero evidenzia l’ultima volta in cui, nel 2023, il bilancio del Tesoro è sceso alla soglia di guardia indicata dalla retta rossa in basso (Out of Money Line) ed è stato poi riempito di nuovo, grazie all’approvazione, da parte del Congresso, di un aumento del tetto del debito.

Ora, per capire come tutto questo può influire sulle borse, dobbiamo tenere presente che nel 2023 il riempimento delle casse del Tesoro avvenne in un modo che oggi non potrebbe piu’ ripetersi.

Nel 2023 infatti la liquidità riversatasi nelle casse del Tesoro proveniva da un’unica fonte, cioè dalla liquidità che i fondi del mercato monetario avevano depositato presso la Fed tramite operazioni di pronti contro termine overnight (ON RRP).

Nel 2023 questi depositi ON RRP ammontavano a 2.200 miliardi di dollari. Una cifra ben superiore a quella necessaria per riportare il saldo del Tesoro ai famosi 800 miliardi.

Ora invece, se si dovesse rifare un’operazione del genere, quei 2.200 miliardi di dollari non ci sono piu’, in quanto i depositi ON RRP si sono ridotti a soli 142 miliardi: una cifra insufficiente per riportare le casse del Tesoro a 800 miliardi.

La prossima volta quindi, il resto della liquidità da donare al Tesoro dovrebbe essere recuperata da:

– le borse e

– le riserve delle banche depositate presso la Fed.

Si capisce quindi come a questo giro il rifinanziamento del debito del Tesoro influirebbe molto piu’ sui mercati, rispetto al 2023, in quanto sottrarrebe liquidità al sistema (e noi diciamo sempre che la liquidità è il fattore piu’ importante per i cicli rialzisti, sia delle borse che delle criptovalute…).

Ora, se torniamo al grafico sopra, notiamo che all’inizio di quest’anno le casse del Tesoro si stavano avviando verso una nuova riduzione del saldo, pericolosamente tendente a quel livello di guardia rappresentato dalla retta rossa.

Se il livello di guardia fosse stato raggiunto, qualsiasi trend positivo nei mercati sarebbe stato subito fatto fuori dal meccanismo che abbiamo appena spiegato.

Per fortuna, però, questa eventualità è stata per ora scongiurata.

Infatti, tra aprile e maggio qualcosa ha bloccato la discesa.

Cosa ha determinato questa interruzione?

I nuovi flussi di cassa positivi nelle casse del Tesoro sono arrivati da:

– aumento delle tasse, in parte trainato da ingenti imposte sulle plusvalenze, che quest’anno sono state anticipate al 15 aprile.

imposte sui salari, trainate da un’occupazione record e da salari record. E infine…

– i 17 miliardi di dollari arrivati ad aprile, grazie ai nuovi dazi trumpiani (in aumento dell’81% rispetto al mese precedente).

Questo grafico ci fa capire meglio che, tutto sommato, i dazi trumpiani, oltre agli scopi che già sappiamo, sono serviti anche a tamponare le spese del Tesoro invertendo la rotta discendente del suo bilancio.
E da quel grafico capiamo anche il motivo per cui il Congresso aspetta sempre l’ultimo momento per decidere un nuovo tetto del debito (le dispute tra repubblicani e democratici sono solo un balletto che serve a ritardare e quindi preparare meglio il momento in cui verrà drenata la liquidità a favore del Tesoro).

Morale della favola: la prossima volta che il Congresso dovrà negoziare un nuovo aumento del tetto del debito, sappiate che, a questo giro, l’operazione provocherà una riduzione della liquidità e quindi interromperà qualsiasi trend rialzista fosse in corso in qualsiasi mercato.

Attualmente, grazie all’iniezione di liquidità che abbiamo spiegato nei tre punti qui sopra, il Tesoro non è piu’ sull’orlo del deficit; quindi il trend positivo appena iniziato nelle borse e nelle criptovalute ha la possibilità di svilupparsi normalmente.

Vi suggerisco però di consultare regolarmente il nostro canale Telegram per essere avvisati con largo anticipo se qualcosa di importante dovesse nuovamente verificarsi sul versante delle casse del Tesoro.

E se il ciclo di bitcoin non fosse ancora iniziato?

Il valore di bitcoin, come quello di tutti gli asset da investimento, è influenzato dal ciclo economico globale, che però, dal 2022 in poi, si trova in una fase di stallo.

Un confronto approfondito tra bitcoin e questo ciclo ci porta perciò alla sorprendente ipotesi che in realtà il famoso ciclo quadriennale di bitcoin, legato alle sue fasi di dimezzamento dell’halving, potrebbe in realtà non essere ancora partito, oppure essersi sviluppato con un ritardo molto piu’ esteso di quanto immaginiamo.

Vediamo in dettaglio di cosa si tratta.

Cos’è il ciclo economico globale

Il ciclo economico globale è formato dall’alternanza delle fasi di espansione e di contrazione dell’economia mondiale.

L’espansione e la contrazione del ciclo sono dovute alle dinamiche di crescita economica e inflazione e al modo in cui le banche centrali reagiscono a queste dinamiche, modificando i tassi di interesse e le condizioni di liquidità.

Contrazione

Una crescita eccessiva e troppo rapida dell’economia porta a un aumento dell’inflazione.

Se l’inflazione inizia a preoccupare, le banche centrali decidono di incrementare i tassi di interesse e inasprire la politica monetaria per cercare di rallentare la crescita.

Man mano che  l’economia rallenta e l’offerta di beni e servizi inizia ad eguagliare e poi a superare gradualmente la domanda, i prezzi scendono o aumentano molto meno.

In questa fase, le aziende iniziano a licenziare il personale (ovvero aumenta la disoccupazione) e le persone fanno fatica a pagare il mutuo, a mettere il cibo in tavola, ecc.

Espansione

A questo punto, le banche centrali riprendono ad abbassare i tassi e ad allentare la politica monetaria per stimolare la crescita.

Quando l’economia globale torna ad espandersi, la domanda tende di nuovo a superare l’offerta, i prezzi dei beni e servizi tornano ad aumentare e anche il valore degli asset da investimento si incrementa.

Questo è in breve lo schema del ciclo economico globale.

Fattori che guidano il ciclo economico

Come si misura l’andamento di questo ciclo?

In pratica, basta tenere presente questo schema:

Liquidità -> Condizioni finanziarie -> ISM

ISM

L’ISM è un indice determinato in America dall’Institute for Supply Management attraverso indagini sulla propensione agli acquisti e agli investimenti delle aziende.

In pratica, un ISM in aumento indica che le imprese tendono a investire e a espandere le loro attività, mentre quando ISM decresce, è vero il contrario.

In altre parole, possiamo considerare l’ISM come una misura dell’espansione e della contrazione di un ciclo economico.

In base allo schema riportato sopra, l’ISM, quindi il ciclo economico stesso, è determinato principalmente da due fattori: liquidità e condizioni finanziarie.

Specificamente, le condizioni finanziarie guidano la liquidità e le condizioni di liquidità guidano l’ISM.

Condizioni finanziarie

Le condizioni finanziarie sono generalmente considerate l’insieme di questi elementi:

Dollaro statunitense: la valuta di riserva globale

Tassi di interesse: il costo del denaro in prestito

Petrolio: la principale fonte energetica utilizzata per produrre/trasportare tutto a livello globale

Materie prime: i materiali utilizzati per costruire e produrre beni a livello globale

Liquidità

Nell’economia moderna, la liquidità è in gran parte creata dalle banche attraverso la creazione di credito.

Le banche centrali, aumentando o abbassando i tassi d’interesse, facilitano o reprimono la creazione di questo credito, aumentando o riducendo quindi la liquidità del sistema.

Ora, tenendo presente tutto questo, vediamo in concreto cosa sta succedendo al ciclo economico attuale.

Lo strano andamento del ciclo economico attuale

Il grafico qui sotto mostra chiaramente un paio di fasi di espansione e contrazione (salite e discese della curva) dell’ISM del passato (tra il 2016 e il 2022).

Quando però arriviamo al 2023, vediamo che la fase di risalita, che dovrebbe seguire all’ultima discesa della fase precedente avvenuta nel 2022, non è ancora iniziata.

Dal 2023 infatti l’ISM è rimasto bloccato in una fase di oscillazione laterale che dura ormai da 29 mesi, quindi da ben prima dell’inizio della guerra commerciale iniziata da Trump (la fase di stallo è compresa nelle due linee verdi verticali):

Lo stallo dell’ISM parte quindi da quando:

  • la Federal Reserve ha iniziato ad aumentare i tassi d’interesse, e
  • la guerra in Ucraina ha iniziato a minare le basi della globalizzazione, creando due poli opposti valutari e commerciali in oriente e in occidente.

Nel 2025, il cambio di amministrazione negli Stati Uniti, ha fatto pensare a molti che la nuova presidenza avrebbe modificato le condizioni che avevano creato la fase di stallo dell’ISM.

Per tale ragione, alcuni elementi che guidano l’ISM: l’indice del dollaro statunitense e il tasso d’interesse USA a 10 anni (guarda lo schema precedente) erano iniziati a decrescere.

Nel frattempo la BCE e la Banca centrale cinese avevano iniziato un nuovo grande ciclo di allentamento monetario (riduzione dei tassi d’interesse), tuttora in corso, che ha contribuito a far aumentare l’altro fattore che influenza l’ISM, cioè la liquidità globale (ora già ai massimi storici, come attesta il grafico):

A un certo punto, però, l’inizio della guerra commerciale di Trump con il duello sui dazi con la Cina ha frenato, almeno temporaneamente, la possibile ripresa di un trend a rialzo dell’ISM generato dai tre fattori citati.

Se la guerra commerciale in corso tra USA e Cina non dovesse risolversi, l’aumento dei prezzi dei beni a causa dei dazi e un rallentamento della crescita economica dovuto all’incertezza nei costi commerciali/produttivi potrebbero tradursi in una minore liquidità globale nel breve termine.

E questo ci riporterebbe nella stessa situazione in cui siamo stati negli ultimi due anni: quella cioè di un ISM intrappolato in un range ristretto di stagnazione.

Come comportarsi in un mercato “congelato”

La correlazione tra bitcoin (curva bianca) e l’economia globale rappresentata dall’indice ISM (curva blu) è fin troppo ovvia:

Il motivo per cui bitcoin non sta ancora seguendo l’ultima parte in rialzo della curva blu, è che gli investitori ritengono che quel pezzo di curva potrebbe essere annullato rapidamente dal deteriorarsi delle condizioni economiche dovute alla guerra commerciale.

Basti pensare al fatto che, ad esempio, nel momento in cui scrivo, il 60% delle merci che la Cina si apprestava ad esportare in questo mese è fermo nei porti.

Una situazione molto simile al blocco delle merci durante i lockdown del Covid.

Se tale blocco non dovesse risolversi presto, potremmo arrivare rapidamente a un congelamento economico simile a quello creato dal Covid, con conseguente congelamento dei cicli, non solo di bitcoin, ma di tutti gli altri asset di borsa.

Ci troviamo quindi in una situazione mai accaduta prima, che per la prima volta nella storia è riuscita a fermare (almeno nel medio termine) l’andamento ciclico quadriennale di bitcoin, che pure è legato a un fattore economico fondamentale (l’halving).

Prima di poter vedere la ripresa del ciclo economico globale, è possibile che bitcoin e gli altri asset di borsa instaurino cicli a rialzo di medio-breve termine, generati però da fattori temporanei non legati al ciclo generale.

In ciascuna di queste fasi di rialzo è consigliabile ridurre i portafogli e attendere la ripartenza del ciclo vero e proprio.

La ripresa del ciclo economico e dei cicli a lungo termine di bitcoin e degli altri asset potrà essere valutata con l’aiuto dei numerosissimi indicatori che seguiamo e che dovranno riprendere gradualmente il loro assetto “normale”.

Solo la ripresa del ciclo economico globale potrà darci il segnale per riprendere le nostre abituali strategie di investimento.

In questo blog, nel nostro canale Telegram e nella nostra newsletter gratuita vi terremo costantemente aggiornati in modo da fornirvi il nuovo segnale di avvio prima degli altri media (e chi ci segue da tempo, sa che lo abbiamo sempre fatto in passato…).

Il Canada e gli altri paradisi offshore all’attacco del dollaro

Il tentativo di Trump di riprendere il controllo del flusso di dollari al di fuori degli Stati Uniti fa parte di uno schema piu’ ampio con cui la sua amministrazione sta cercando di indebolire l’enorme rete di entità pubbliche e private, governative e/o multilaterali che da decenni influenzano le politiche americane al di fuori del suo paese.

Una descrizione, anche sommaria, di questa complessa struttura che coinvolge governi, multinazionali, istituzioni finanziarie, banche centrali, organizzazioni umanitarie, istituzioni universitarie, associazioni culturali, enti di beneficenza sovranazionali, ecc. sarebbe impossibile nello spazio di questo articolo.

Ci limitiamo perciò a dare un’idea, assolutamente parziale e limitata, del supporto finanziario di questa immensa rete che si basa sui flussi del dollaro offshore, cioè sui dollari creati e distribuiti al di fuori del controllo della banca centrale e del Tesoro statunitensi.

Il circuito del dollaro offshore in due parole

La creazione e la diffusione del dollaro al di fuori dell’America tecnicamente si definiscono come circuito dell’euro dollaro; un termine fuorviante, perché fa pensare che vi siano coinvolte due valute: l’euro e il dollaro, mentre invece è una cosa che riguarda solo il dollaro e i titoli di stato denominati in questa valuta. Noi perciò useremo il termine piu’ comprensibile di “dollaro offshore”.

Il dollaro offshore consente di finanziare qualsiasi attività che riguarda gli Stati Uniti, ma la cui iniziativa parte da governi o entità varie che non sono negli Stati Uniti.

Un esempio per tutti è la complessa rete di aziende, governi ed entità pubbliche o private che fanno capo al World Economic Forum e che svolgono attività prettamente extraterritoriali e sovranazionali, ma si finanziano con una valuta nazionale: il dollaro.

Già sotto l’amministrazione Biden diversi Stati americani, grazie alla loro capacità di legiferare in modo autonomo, presero le distanze dalle politiche di questa entità sovranazionale. E tuttavia, ancora oggi nessuno può impedire che il World Economic Forum continui a usare la valuta americana per queste attività contrarie alla volontà dei cittadini di diversi Stati americani.

Per assicurarsi il flusso necessario di dollari al di fuori del controllo statunitense, le entità di questo tipo possono agire in due modi:

  • se sono residenti in uno stato sovrano, come le ONG, le Università, le banche, ecc., devono fare in modo che le politiche di tale stato supportino un costante avanzo commerciale nei confronti degli USA attraverso cui i dollari possano entrare nel paese liberi da forme di arbitraggio (dazi, armonizzazioni fiscali di qualche tipo, ecc.).
  • se sono entità extraterritoriali, come l’Unione Europea, la City di Londra, ecc., devono fare affidamento sui paradisi fiscali offshore che emettono debito americano e diffondono il dollaro in modo del tutto autonomo rispetto alla Federal Reserve.

Cercherò ora di dare qualche esempio di questo schema.

Il nuovo premier canadese come garante di due piazze importanti offshore: Canada e Gran Bretagna

Di recente in Canada è stato eletto un nuovo premier, Mark Carney, dotato di un profilo professionale molto istruttivo per gli scopi di questo articolo.

Il nuovo premier canadese che, tra parentesi, è membro del Consiglio della Fondazione del World Economic Forum, ha iniziato la sua carriera negli anni ’90 del secolo scorso presso la Goldman Sachs, proprio quando questo istituto, da una parte forniva una consulenza alla Russia durante la crisi finanziaria del 1998 e dall’altra scommetteva in borsa contro la capacità del paese di ripagare il suo debito.

Spesso i funzionari coinvolti in attività opache delle istituzioni per cui lavorano vengono poi promossi nel settore pubblico.

Infatti Carney fu successivamente designato capo del Dipartimento Canadese delle Finanze e poi Vice Governatore della Banca del Canada, di cui è stato poi Governatore dal 2008 al 2013.

Infine, dal 2013 al 2020 ha ricoperto il ruolo di Governatore della Banca d’Inghilterra.

L’aver prestato servizio ai massimi livelli sia in Canada che in Gran Bretagna indica che attualmente Carney è il miglior garante possibile della continuità nella convergenza di interessi di entrambi i paesi. Dunque la sua elezione a premier canadese – cioè, secondo le inusuali regole del Commonwealth, a rappresentante della Corona Britannica in Canada – è una specie di barriera di protezione contro eventuali decisioni di Trump che potrebbero minare tali interessi.

Ma perché Canada e Gran Bretagna dovrebbero sentirsi minacciati da Trump?

Per capirlo, facciamo una breve storia del sistema finanziario offshore derivato dall’ex Impero Britannico.

I paradisi fiscali di origine britannica

Non molti sanno che la City di Londra è una entità extraterritoriale della Gran Bretagna, come lo è il Vaticano rispetto all’Italia.

La City è gestita da un’organizzazione chiamata City of London Corporation, una società privata che svolge tutte le funzioni di un consiglio locale, con tanto di polizia privata e tribunali privati.

Questa situazione nasce negli anni ’50 del secolo scorso, al tempo del collasso della sterlina e della sua sostituzione col dollaro come valuta globale.

A quell’epoca infatti, per proteggere il valore della sterlina, la Gran Bretagna limitò i prestiti all’estero da parte delle proprie banche.

Questo fatto spinse le banche inglesi a stringere un accordo non scritto con la Banca d’Inghilterra, che accordò loro il permesso di operare nuovamente come intermediarie tra due entità, purché non fossero residenti in UK e purché usassero una valuta estera, cioè il dollaro.

Forti di questo incredibile privilegio, le banche inglesi svilupparono, inizialmente nella City di Londra, un mercato sovranazionale per i dollari denominato London Eurodollar Market (ecco il motivo di quello strano nome: circuito dell’eurodollaro, che si intende: circuito europeo del dollaro).
E la Banca d’Inghilterra, per nulla impensierita dalla piega che prendevano le cose, diede il suo contributo dichiarando che le transazioni del London Eurodollar Market, svolgendosi al di fuori del territorio nazionale, non sarebbero rientrate nella sua responsabilità di regolamentazione.

Come prevedibile, gli stati, le entità governative e private (anche quelle americane), le multinazionali e i cartelli mafiosi di tutto il mondo iniziarono a riversare montagne di liquidità in dollari in questo circuito, diventato dall’oggi al domani completamente impermeabile ad ogni autorità e regolamentazione. Al punto che, da agli anni ’60 in poi, la City di Londra iniziò a stabilire filiali offshore negli ex avamposti dell’Impero Britannico dotati di una forte legislazione sulla segretezza bancaria.

Ecco, in poche parole, come sono nati i paradisi offshore del dollaro.

Il potere crescente dei paradisi fiscali degli ultimi 12 anni

Il debito del Tesoro detenuto da tutte le entità straniere è balzato dell’11,5% anno su anno (+$880 miliardi), raggiungendo il massimo storico di $8,50 trilioni.

Dal 2015 al 2023 queste partecipazioni erano un pò calate, dal picco del 34% nel 2015 al minimo del 22,2% nel 2023. Il calo era avvenuto soprattutto negli ultimi due anni, a causa delle politiche restrittive della Federal Reserve iniziate nel 2022, che avevano ridotto la circolazione di titoli di stato USA nel sistema.

Ma dall’ottobre 2023 le entità straniere hanno ripreso ad incrementare le loro partecipazioni a un ritmo più veloce fino a raggiungere il 24,1%, il livello più alto in due anni.

Pochi sanno che i maggiori detentori dei titoli di stato USA all’estero non sono la Cina o il Giappone, bensi’ sei principali centri finanziari, che ne posseggono per un valore pari a $2,51 trilioni: Londra, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Isole Cayman e Irlanda.

Lo spostamento del flusso di dollari fuori dagli Stati Uniti verso questi centri finanziari è costantemente aumentato dal 2012 ad oggi; periodo nel quale hanno più che triplicato la loro esposizione al debito USA, arrivando a un record di 2,51 trilioni di $.

Negli ultimi 12 anni, anche i paesi dell’area euro hanno più che triplicato la loro esposizione al debito USA, da 534 miliardi di $ nel 2012 a un record di 1,69 trilioni di $ ad agosto.

Questo incremento dell’esposizione verso il debito americano da parte dei paradisi fiscali e dell’Europa è andato di pari passo con la contemporanea dismissione di una moderata porzione di questo debito da parte di due fra i grandi detentori storici di questi titoli: Cina e Giappone.

Nel periodo tra il 2022 e il 2024, infatti, questi due paesi hanno effettuato vendite insolitamente consistenti di titoli in dollari per fare fronte alle crisi di liquidità causate dalle politiche restrittive della Fed e dalla situazione commerciale complicata dalla guerra in Ucraina e la progressiva separazione del mondo in due blocchi contrapposti a oriente e occidente.

Ora, quando il Giappone e la Cina effettuano queste vendite, i titoli di stato americani non rientrano nella disponibilità degli Stati Uniti, ma vengono acquistati dai centri offshore già citati e dai paesi dell’UE, che li redistribuiscono per alimentare innumerevoli attività, alcune delle quali sono correlate alle politiche USA, specialmente di parte democratica, ma molte altre sono del tutto estranee agli interessi americani.

A loro volta, anche Cina e Giappone possono attingere da questi centri offshore per effettuare le loro attività sovrane in dollari senza alterare troppo la loro bilancia commerciale e il corso delle loro valute nazionali.

Quindi alla fine la gestione dei dollari offshore da parte dei principali paradisi fiscali e dei paesi dell’UE conviene un pò a tutti.

Basi pensare che la Cina, ad esempio, pur avendo stretto accordi coi paesi BRICS per fare transazioni in valute alternative al dollaro, ha ancora bisogno di tanti dollari per le sue politiche neo coloniali africane.

Si, perché i paesi del “club privilegiato” dei BRICS possono certamente permettersi compensazioni commerciali nelle loro valute, garantite dal cambio quasi fisso dello yuan e del rublo con l’oro, ma ai paesi africani tocca ancora il vecchio sistema coloniale basato sull’indebitamento, naturalmente effettuato per mezzo di titoli di debito in dollari prestati dalla Cina…

I titoli di debito in dollari che la Cina usa in Africa provengono appunto da banche offshore, che nel caso cinese si trovano soprattutto nella piazza di Hong Kong, attualmente impegnata in una contesa selvaggia con la City di Londra (anche a colpi di omicidi, come abbiamo spiegato qui e qui. Ma questa è un’altra storia…)

Come abbiamo visto, anche i paesi UE e la stessa Banca Centrale Europea, che a sua volta è una entità extraterritoriale della Germania, è parte di questo circuito di dollari offshore ed è giustamente interessata, in questo frangente storico, a rinsaldare gli interessi con la Banca d’Inghilterra, che come abbiamo visto è in pratica l’ispiratrice e la promotrice storica di questo sistema del dollaro offshore.

Ecco quindi che possiamo iniziare a unire tutti i puntini…

Canada e Banca d’Inghilterra all’offensiva contro Trump

Da quando Trump ha iniziato a minacciare (seriamente o meno, questo è da vedersi) il sistema del dollaro offshore per mezzo di dazi, trattative commerciali unilaterali e ridimensionamento dei centri di potere americani che utilizzano i dollari offshore all’estero, alcuni fra i principali destinatari dei flussi di dollari offshore, ossia le entità governative o private europee, inglesi e canadesi hanno deciso di concordare contromisure adeguate.

Affinché le transazioni di dollari offshore possano continuare a fluire nella City di Londra e a Bruxelles per finanziare le innumerevoli attività delle élites di questi paesi e quelle extraterritoriali a loro legate, è vitale che gli USA continuino ad avere un deficit commerciale con alcuni paesi chiave.

Questi paesi devono poter continuare a ricevere il flusso necessario di dollari con cui pagare le cedole dei titoli denominati in dollari detenute dai paesi che fanno parte del sistema del dollaro offshore.

Ecco quindi che tra Europa e Banca d’Inghilterra salta fuori l’idea di promuovere il Canada in questo ruolo chiave. Ed ecco il motivo per cui ad un certo punto sale al potere in Canada Carney, il garante della continuità di scopi tra il Canada e la Banca d’Inghilterra.

E’ probabile quindi che il Canada si affiancherà al Giappone come luogo privilegiato dei famosi “carry trade”, ossia di quelle transazioni in cui la valuta locale, lo yen o il dollaro canadese viene presa in prestito per investire in titoli denominati in dollari USA che forniscono rendimenti superiori. I titoli cosi’ ottenuti, verrebbero poi depositati nelle banche canadesi, che, assieme alle banche Giapponesi, sempre piu’ in crisi di liquidità, diventerebbero importanti serbatoi di riserva per i soliti centri offshore che abbiamo citato e per i paesi europei.

A questo punto appare chiaro il motivo per cui Trump mostri di voler indebolire la bilancia commerciale canadese con i dazi (e perché no? anche con accordi commerciali specifici con regioni del Canada meno allineate col governo locale).

Se infatti il Canada non fosse piu’ in grado di avere una bilancia commerciale positiva nei confronti degli USA, il flusso di dollari USA nel paese si ridurrebbe e quindi il progetto di avere un serbatoio alternativo al Giappone salterebbe.

Conclusione

La descrizione del ruolo del Canada nel complesso sistema del dollaro offshore ci ha costretto a scrivere un articolo piuttosto lungo.

Si pensi a quante pagine sarebbero necessarie per descrivere gli stessi meccanismi che coinvolgono tanti altri paesi e anche moltissime entità pubbliche o private, governative o sovranazionali disperse in tutto il mondo.

Il Canada è solo un esempio con cui ho cercato di spiegare il motivo dei dazi e delle trattative commerciali unilaterali che Trump sta portando avanti con il resto del mondo.

La stessa partita che si gioca in Canada è in corso in tantissime altre parti del pianeta.

Sono in ballo attività extraterritoriali che si diramano in quasi tutti i paesi del mondo, inclusa l’Italia, a beneficio di entità che fanno capo agli USA o ad altri centri di potere, soprattutto europei e britannici.

Tutte queste attività rischiano di avere un certo ridimensionamento delle risorse necessarie (dollari offshore) per la loro continuazione.

Per tale ragione, le élites che le hanno create e promosse hanno ingaggiato una sfida all’ultimo sangue per la loro sopravvivenza.

La difficile partita del dollaro

A 50 anni dallo shock valutario innescato dal Presidente Nixon quando ruppe il cambio fisso tra oro e dollaro, ecco che un nuovo Presidente repubblicano tenta di salvare il sistema con una inversione a 180 gradi delle regole che hanno finora retto il predominio del biglietto verde.

Il tentativo di Trump riguardo al dollaro (escludendo quindi tutte le questioni relative alle tariffe commerciali) si può riassumere in soli due aspetti principali:

  • ridurre la circolazione incontrollata del dollaro fuori dagli Stati Uniti per ridurre le enormi spese di mantenimento del debito estero del Tesoro
  • conservare al tempo stesso l’uso del dollaro a livello internazionale

Visti cosi’, i due aspetti sembrano contraddittori.

Come si può sperare che i paesi continuino a usare il dollaro, se questo risulta sempre meno disponibile?

In effetti, a lungo termine le politiche di Trump non faranno che accellerare la dedollarizzazione.

Prima però che la dedollarizzazione arrivi a un punto tale di gravità da comparire sui titoli dei media, Trump confida nel fatto evidenziato da questo semplice grafico:

Come si vede, ancora oggi il dollaro rappresenta il 60% circa delle riserve globali.

Segno che tutti i paesi continuano a mantenere riserve in dollari (sotto forma di titoli di stato o altri asset USA), principalmente per pagare le importazioni e gestire le variazioni di cambio delle loro rispettive valute.

La strategia di Trump dunque si rivela essere di medio periodo, cioè è destinata a funzionare finché sussite la situazione rappresentata dal grafico. Non importa se nel lungo termine proprio questa stessa strategia contribuirà a modificare drasticamente tale situazione.

Detto questo, come si dovrebbero realizzare nella pratica i due obiettivi strategici di Trump elencati sopra?

Ecco come:

  • per ridurre la circolazione incontrollata di dollari fuori dagli USA si deve scoraggiare l’uso politico del dollaro (basi militari, organizzazioni internazionali, istituzioni varie che supportano l’egemonia politica degli USA a suon di dollari) e ridurre l’importazione delle merci da pagare in dollari (riduzione ottenuta per mezzo dei dazi).
  • per mantenere l’uso globale del dollaro si deve invece incoraggiare l’uso commerciale e valutario del dollaro, cioè fare in modo che gli scambi commerciali e le riserve nazionali dei vari paesi continuino a fare affidamento sul biglietto verde e soprattutto continuino a prezzare le merci in dollari.

Ridurre la circolazione di dollari a livello globale

Il primo obiettivo, cioè la riduzione dei dollari disponibili, è piu’ facile da realizzare, rispetto al secondo.

Portare il mondo all’esasperazione con i dazi sta già favorendo una ondata di vendite di dollari da parte delle banche centrali di tutto il mondo, al punto che la liquidità globale, che si era contratta negli anni scorsi grazie alle politiche restrittive della Fed, ora sta tornando ad aumentare:

Se l’obiettivo è togliere di mezzo i troppi dollari in circolazione, questa svendita forzata da parte delle banche centrali di mezzo mondo serve certamente allo scopo.

Tuttavia, affinché questi dollari tornino sotto il controllo federale americano, bisogna impedire che vengano risucchiati nelle casse delle grandi banche offshore dei paradisi fiscali.

Si tratta di un passaggio necessario che viene spesso trascurato dagli analisti.

In questo articolo abbiamo spiegato l’importanza crescente dei paradisi fiscali nella moderna distribuzione del dollaro USA.

Spiego di cosa si tratta.

Il tentativo di ridurre i dollari in pancia alle banche centrali mondiali era già stato attuato dall’aministrazione Biden.

Nel 2022-2023 infatti, l’innalzamento dei tassi da parte della Fed aveva provocato un fenomeno simile a quello attuale, costringendo le banche centrali di mezzo mondo a ridurre la quota in dollari dai loro bilanci.

Tuttavia nel 2024 questo fenomeno si era invertito, ripristinando la quota di dollari USA in mani straniere a un livello addirittura superiore a quello dei due anni precedenti.

Praticamente, tanta fatica per aumentare i tassi non era servita a nulla.

E la colpa fu in gran parte dei paradisi fiscali, che avevano assorbito gran parte della liquidità ceduta dalle banche centrali globali (si legga il nostro articolo per ulteriori spiegazioni).

Ora, tornando ai giorni nostri, visto che, come nel 2022-2023, c’è in giro di nuovo tanta liquidità in dollari gentilmente ceduta dagli altri paesi e visto che il programma trumpiano prevede che questi dollari rientrino sotto il controllo federale, è necessario che la Fed la sottragga dalle mani dei paradisi offshore.

Come? Riacquistando i titoli di stato in dollari ceduti dalle altre banche centrali e incanalando la liquidità risultante verso le casse del Tesoro o verso qualsiasi altra destinazione decisa a livello istituzionale.

Se la Fed non farà questo, allora dovremo pensare che il programma trumpiano abbia un altro scopo nascosto e che il MAGA sia solo uno specchietto per le allodole, visto che è garantito che i paradisi offshore se la riprenderanno e la renderanno disponibile per tutt’altri scopi.

Al momento, non credo che la Fed si sottrarrà a questo dovere e penso che la famosa riunione segreta dell’altro ieri sia servita proprio a organizzare eventuali riacquisti di titoli di stato (la Fed è già venuta in soccorso, ad esempio, acquistando i titoli a 3 anni rimasti invenduti nell’asta del 9 aprile)

Detto questo, resta da vedere il secondo aspetto della strategia trumpiana, cioè il mantenimento del dollaro come valuta globale, che abbiamo detto essere piu’ ostico del primo…

Mantenere il ruolo del dollaro come valuta globale

Una delle misure che vanno assolutamente implementate per realizzare questo obiettivo è certamente fare in modo che le materie prime restino prezzate in dollari a livello globale.

Tutti sappiamo che l’uso del dollaro negli scambi di materie prime non è piu’ un fatto scontato, dal momento che già i paesi BRICS hanno iniziato a usare le loro valute nazionali al posto del dollaro.

Ma un conto è fare scambi commerciali in altre valute, un altro è stabilire in una valuta diversa dal dollaro un prezzo condiviso di una materia prima.

Anche questo è un aspetto di cui si parla poco nei media, ma che noi abbiamo iniziato a studiare nel 2023 con questo articolo e che abbiamo poi spiegato piu’ estesamente nel 2024 qui.

L’oro è certamente la materia prima in cui questo pericoloso processo di dedollarizzazione (quella vera, non quella dei media complottisti) è in fase avanzata.

In questo e quest’altro articolo abbiamo raccontato passo passo le tappe del drammatico scontro perso dall’occidente sull’oro, dall’iniziale abbandono, da parte delle banche cinesi, del mercato londinese dell’oro (LBMA, ancora il mercato ufficiale mondiale, ma praticamente svuotato di importanza), alla completa presa di controllo, da parte della borsa di Shanghai, del prezzo dell’oro.

Ora il rischio è che questa sconfitta si allarghi verso altre materie prime, ad esempio il petrolio, che, come detto nel nostro citato articolo, subisce già delle valutazioni regionali differenti; segno che gli scambi locali in valute diverse del dollaro iniziano a creare una price discovery autonoma rispetto al prezzo ufficiale.

Per quanto il prezzo del petrolio sia ancora in dollari, una price discovery alternativa a quella ufficiale è la premessa da cui, quasi necessariamente, la valutazione ufficiale in dollari finisce per diventare un fatto puramente arbitrario o convenzionale (lo stesso vale per l’oro).

Di conseguenza, il dollaro stesso rischierebbe di diventare un insieme di input digitali arbitrari dal valore del tutto convenzionale (e successivamente, dal valore del tutto trascurabile).

Purtroppo per l’amministrazione americana, l’inversione di questa tendenza non può essere facilmente imposta per decreto, come si fa con i dazi, ma richiede un complicato lavoro diplomatico che Trump ha iniziato a fare, ad esempio, nell’incontro trilaterale con Russia e Arabia Saudita a Riyadh, ufficialmente organizzato per “terminate la guerra in Ucraina”.

Come spiegato dall’esperto di politiche energetiche Demostenes Floros al minuto 26 di questo video, la Russia ha già iniziato a prezzare in valute diverse dal dollaro il 20% del suo petrolio da esportazione. Trump perciò sta cercando di convincere Putin a non incrementare tale quota.

Un ostacolo imprevisto: la Cina

Ad aggravare gli sforzi fatti da Trump per mantenere la supremazia del dollaro, si intromette ora l’escalation della guerra commerciale con la Cina (aumento infinito dei dazi da una parte e dall’altra), che ben presto diventerà una guerra valutaria.

I Cinesi hanno già svalutato lo yuan – forse già al limite delle loro possibilità – e hanno venduto titoli americani dalle loro riserve per un valore di 50 miliardi, oltre a tirarsi indietro come compratori dei titoli USA a 3 anni andati all’asta il 9 aprile.

Si tratta di misure difensive che servono a mantenere un discreto livello di liquidità per compensare la parte di liquidità che non deriverà piu’ dalle esportazioni.

Tuttavia esse assumono una valenza offensiva, per quanto in parte involontaria, perché impediscono ai tassi d’interesse USA di scendere.

E sappiamo che l’obiettivo di breve di tutta questa guerra dei dazi trumpiana è proprio l’abbassamento dei tassi USA per alleggerire il peso economico della montagna di titoli di stato americani che andranno in scadenza nei prossimi sei mesi e che dovranno essere rifinanziati a caro prezzo.

Ecco perciò che ci troviamo a un punto critico in cui, se inizialmente le bordate sui dazi sembravano funzionare allo scopo, riportando ad esempio il tasso decennale USA sotto la soglia psicologica del 4%, questa improvvisa opposizione cinese sta mandando all’aria tutto.

Ma la Cina si arrenderà presto…o forse no?

A questo punto, tutti si chiedono fino a che punto la Cina potrà continuare questo “muro contro muro” con Trump senza innescare effetti collaterali indesiderati per il proprio paese e per la stabilità globale.

Molti forse si augurano che la Cina arriverà presto ad esaurire le sue munizioni e perciò fra non molto si fermerà per evitare il peggio; e cosi’ tutto si aggiusterà…

…Sono ancora gli USA, non la Cina, ad avere il vantaggio di emettere la valuta piu’ importante al mondo, giusto?…

Anch’io la pensavo cosi’…fino a quando ho letto questo report pubblicato il 2 aprile scorso da Jan Nieuwenhuijs, un maestro del giornalismo investigativo che da anni tiene traccia degli incrementi di oro ufficiali e soprattutto nascosti da parte della banca centrale cinese.

Tutti gli esperti di oro sanno che uno dei misteri piu’ grandi di questo mercato è quanto oro davvero detiene il governo cinese.

Ebbene Nieuwenhuijs, per mezzo di una complessa analisi i cui dettagli potrete leggere nell’articolo citato, giunge a una sorprendente conclusione: la Cina detiene non meno di 39.547 tonnellate di oro, pari a circa 39 miliardi e mezzo di grammi, che al prezzo attuale valgono circa 3 trilioni di dollari.

Questa incredibile quantità di collaterale in oro, se fosse vera, cambierebbe di molto le stime occidentali sulle “munizioni” in dotazione del governo cinese per continuare la sua guerra commerciale-valutaria con gli USA.

La guerra in questione potrebbe protrarsi nel tempo piu’ di quanto crediamo…basti confrontare le dimensioni dell’ultima vendita cinese di titoli di stato USA, pari, come abbiamo detto, a 50 miliardi, rispetto ai 3 trilioni (tremila miliardi di dollari) che la Cina potrebbe avere a copertura di questa ed altre possibili dismissioni di riserve in dollari…

Una conclusione…a quando?

Insomma, per riassumere, la trumpenomics che abbiamo cercato di riassumere in questo articolo si trova, al momento in cui scrivo, in una fase di stallo. Uno stallo nel quale l’obiettivo di breve di alleggerire le spese per interessi dell’insostenibile debito del Tesoro USA non sembra piu’ a portata di mano come qualche giorno fa. E chissà che questo non faccia sorgere nuovi ostacoli anche nella realizzazione degli obiettivi di lungo termine che abbiamo elencato all’inizio…

Solo un intervento massiccio e ufficiale della Federal Reserve potrebbe far superare questo intoppo e spianare la strada verso una conclusione positiva di questo autentico reset economico.

Ma la Fed, per ora, non interviene…e posso anche intuire perché

Se infatti anche l’intervento della Fed non dovesse funzionare, quale altra soluzione ci sarebbe? Probabilmente nessuna…

Gli Stati Uniti si troverebbero davvero di fronte all’ignoto: una storia interamente da riscrivere senza conoscere in anticipo la conclusione…

Bitcoin ha superato questo stress test?

Dal punto di vista del puro andamento dei prezzi, bitcoin, dopo un’iniziale resilienza, sembra essersi alla fine allineato al generale deterioramento dei mercati.

Ma se guardiamo piu’ in profondità, scopriremo sorprendenti segni di stabilità che non si riscontrano attualmente in altri settori.

I prezzi di mercato

Tanto per cominciare, i parametri di performance mensili dei prezzi mostrano ancora una superiorità di bitcoin, che è sceso del 10,09%, rispetto all’indice S&P 500, sceso del 12,06%.

I dati settimanali evidenziano un andamento simile, con l’S&P 500 e il Nasdaq scesi di circa l’8,22%, rispetto al calo di “solo” il 6,9% del Bitcoin.

Il mercato dei futures

Ma la vera sorpresa è il fatto che il mercato dei futures perpetui legati a bitcoin mostri ancora condizioni notevolmente sane.

I tassi di finanziamento di questi contratti continuano a mantenere l’equilibrio vicino allo zero, suggerendo una distribuzione uniforme delle posizioni a leva tra trader rialzisti e ribassisti, in netto contrasto con il mese scorso.

Dal 24 al 26 marzo, ad esempio, i tassi di finanziamento erano diventati negativi e avevano toccato il fondo allo 0,9%, mentre il sentiment del mercato si spostava decisamente verso il ribasso.

Stranamente ora, nel bel mezzo della “tempesta”, il sentiment in Bitcoin non è piu’ negativo, rispetto ad appena due settimane fa.

Hashrate

Anche i fondamentali di bitcoin stanno raggiungendo vette senza precedenti, con metriche di hashrate che infrangono i record.

La potenza di elaborazione della rete di bitcoin ha infatti raggiunto il traguardo storico di 1 Zetahash al secondo (ZH/s): un risultato notevole rispetto a tutti i 16 anni di storia della criptovaluta.

Si tratta di un aumento di 1.000 volte da fine gennaio 2016.

Questo ci dice che, nonostante la recente azione dei prezzi, la tecnologia di bitcoin non è mai stata così sicura e robusta.

Per contestualizzare questa potenza di calcolo, Bitcoin ora elabora circa 40.000 volte più calcoli al secondo di Litecoin (LTC, “C+”), la seconda più grande rete di criptovaluta proof-of-work.

Miners

I miners nel frattempo stanno espandendo aggressivamente le operazioni implementando hardware più efficienti. Ormai sono almeno 24 le società quotate in borsa che gestiscono apparecchiature per il mining di bitcoin.

Questo notevole risultato tecnico, che si verifica in mezzo a un forte calo del mercato, rappresenta una motivazione convincente per un investitore che intende accumulare bitcoin a lungo termine.

In conclusione: mentre i mercati tradizionali vacillano sotto pressioni politiche ed economiche, i fondamentali di bitcoin continuano a rafforzarsi e crescere, confermando sempre piu’ questa blockchain come una valida rete di pagamento indipendente resistente a tutte le intemperie.

Un’ottima premessa per il futuro, visti i tempi che viviamo…

La IPO di Circle e il suo senso sistemico e speculativo

Con lo Stable Act appena approvato dalla Commissione per i Servizi Finanziari della Camera, l’America si appresta a dispiegare il suo ambizioso progetto di digitalizzazione del dollaro per mezzo di emittenti privati, anziché della banca centrale (un progetto che avevamo anticipato nel “lontano” dicembre 2023 in questo articolo).

Quando lo Stable Act diverrà legge, le banche e gli istituti finanziari che non vedevano l’ora di lanciare la propria stablecoin, avranno la possibilità di farlo.

E da quel momento, la competizione nel creare la stable piu’ diffusa al mondo diventerà ancora piu’ accesa.

Non è quindi un caso che, proprio in questa fase storica cruciale, Circle stia valutando una IPO, cioè un lancio nella borsa USA.

A prima vista, la quotazione in borsa di Circle sembra essere un “atto dovuto” verso la società che emette la stable piu’ diffusa al mondo dopo USDT di Theter. Quasi un successo scontato, insomma.

Tuttavia, uno sguardo piu’ ravvicinato alle specifiche economiche dell’IPO pubblicate presso la SEC, alimenta qualche perplessità.

Circle infatti pensa di quotarsi con una valutazione di $ 5 miliardi, pur avendo avuto solo $ 156 milioni di reddito netto nel 2024

Proprio cosi’: la valutazione prevista supera di 32 volte i guadagni reali dell’azienda!

Sono multipli folli, per una società il cui fatturato è aumentato solo del 16% anno su anno e ha visto l’utile netto scendere di -42% nello stesso periodo.

Inoltre, sulla profittabilità di Circle pesa come un macigno il fatto che i margini lordi vengono “mangiati” dai costi di distribuzione.

Circle infatti paga un sacco di soldi alle altre aziende per convincerle ad adottare e supportare USDC.

Ad esempio, dei circa $1,7 miliardi di fatturato del 2024, Circle ne ha pagati 900 milioni a Coinbase come partner di distribuzione. Il che significa che Coinbase ha guadagnato di più da USDC rispetto a Circle!

Detto per inciso, ciò non significa che queste partnership non funzionino…

Coinbase è stato un driver di crescita enorme per USDC.

Binance ha accettato di depositare 3 miliardi di $ dei suoi fondi aziendali sotto forma di USDC.

E BlackRock ha accettato di non lanciare una stablecoin di pagamento propria, dando priorità alle stablecoin di Circle per tutti i pagamenti correlati alle stablecoin.

Tuttavia, quando si tenta di prevedere l’aumento degli utili, questa dispendiosa strategia “promozionale” di Circle va tenuta in conto.

Sulla base di tutto ciò, quali conclusioni possiamo trarre sul successo di questa IPO?

Credo che possano esserci due esiti possibili:

Se USDC in futuro riuscirà a superare la concorrenza, diventando la stablecoin preferita dagli utenti, il mercato sarà probabilmente disposto a chiudere un occhio sui multipli folli, i costi di distribuzione e i tassi di acquisizione in calo di Circle.

Perché? Per il semplice fatto che il mercato del denaro che Circle sta cercando di conquistare è incredibilmente grande. Quindi i potenziali guadagni sono prossimi all’infinito!

Oppure…

Un pesce più grosso (Coinbase?, Visa?, Ripple?) acquisirà Circle a un prezzo scontato, prima della sua IPO (anche se un’acquisizione post IPO non sarebbe da escludere).

Staremo a vedere…

Grande passo di VISA verso il mondo cripto, con grandi rischi

Secondo la Reuters, Visa sta progettando di abilitare pagamenti in stablecoin su tutta la sua rete di merchant, permettendo cosi’ a miliardi di consumatori di spendere i loro USDC o USDT in milioni di punti vendita in tutto il mondo.

Se il progetto venisse attuato, per fare la spesa con le nostre cripto, non sarebbe piu’ necessario dotarsi delle carte offerte dai pochi exchages e wallet che si degnano di concedercele. Basterà d’ora in poi avere una carta Visa qualsiasi (inizialmente negli USA, poi speriamo anche da noi).

Anche MasterCard e altri importanti operatori finanziari stanno valutando iniziative simili, ma la particolarità del progetto di Visa è che la rete su cui viaggeranno le stablecoin potrebbe essere quella di Worldcoin (qui una descrizione di cosa si tratta).

Questo “piccolo dettaglio” ovviamente rende il progetto di Visa molto meno attraente di quanto sembrava; anzi vi getta una luce sinistra, se cosi’ possiamo dire…

Infatti, una partnership con Visa amplierebbe nel mondo la portata e l’influenza di Worldcoin e delle sue famigerate pratiche di raccolta e trattamento dati, che finora erano state confinate in gruppi di pochi fanatici del controllo o di semplici ingenui.

Worldcoin è già stato oggetto di forti critiche per le sue implicazioni sulla privacy e le sue pratiche scorrette di raccolta dati (come spiegato ad esempio qui).

Un suo uso sconsiderato non farebbe che esporre i consumatori a due tipi di rischio:

  1. La riduzione della privacy tramite il monitoraggio delle stablecoin

Le stablecoin rischiano di diventare veicoli della sorveglianza centralizzata, anziché essere semplicemente dollari digitali.

Le forche caudine di un KYC completo, geo-blocking e controllo delle transazioni in cui saranno costretti a passare i consumatori, trasmetterebbero alle stablecoin la stessa tracciabilità e vulnerabilità di una normale carta di credito, con l’aggravante dei rischi specifici di Worldcoin (leggi punto 2).

-2. La (in)sicurezza dei dati garantita da Worldcoin.

Al posto delle procedure KYC “normali”, come caricare una copia della patente di guida o inserire informazioni personali per la verifica, Worldcoin utilizza un dispositivo futuristico chiamato World ID che scansiona le iridi degli utenti per “verificarne l’umanità”.

Quali rischi comporta questa pratica?

E’ presto detto.

TechCrunch ha riferito a maggio 2023 che diversi operatori di Worldcoin hanno perso le credenziali di accesso durante un attacco informatico, esponendo potenzialmente i dati degli gli utenti che avevano fornito le loro scansioni dell’iride.

All’epoca, il portavoce di Worldcoin Jannick Preiwisch assicurò che i dati biometrici sono criptati e quindi non ci poteva essere stato alcun furto di dati sensibili.

Tuttavia la società di sicurezza della blockchain CertiK ha scoperto che delle vulnerabilità nel sistema di Worldcoin esistono. E numerosi altri analisti hanno confermato questo timore, segnalando i rischi intrinseci del modello di archiviazione di Worldcoin (come si legge qui).

Quindi, ecco in cosa consiste il rischio: quando una scansione dell’iride viene archiviata, essa diventa un identificatore biometrico permanente e immutabile legato ai tuoi dati personali.

Se questi dati vengono divulgati o compromessi assieme alla scansione della tua iride, non è che puoi procurarti un occhio nuovo con una nuova iride: il rischio di hackeraggio ti perseguiterà per sempre ogni volta che inserirai nuovamente i tuoi dati da qualche parte.

Con l’entrata in scena di Visa, queste vulnerabilità potrebbero interessare un bacino di utenti molto più ampio, potenzialmente di miliardi di persone…

Se poi World ID venisse ampiamente adottato per la verifica online non solo per gli utenti di Visa, ma per molti altri servizi nel mondo, sarebbe una specie di catastrofe…

Bisogna perciò sperare che questo sistema non diventi l’unico disponibile, ma che ci saranno sempre dei servizi alternativi e meno rischiosi per spendere le nostre cripto.

Il crash di borsa piu’ strano della storia

In questi giorni sta andando in onda sui media una replica del crash di borsa del covid o di quello del 2008, senza però alcuna correlazione con alcun reale evento economico in corso.

Intendiamoci: nei crash di borsa c’è sempre una componente speculativa, se non proprio manipolativa del mercato, che amplifica le vendite e spinge la massa a reagire in modo sproporzionato rispetto alle piu’ o meno gravi condizioni reali che possono aver provocato l’inizio del sell-out.

Qui però, per la prima volta, la dimensione manipolativa e speculativa raggiunge il massimo grado di perfezione, diventando la causa principale, se non l’unica causa, di un crash di borsa che avviene in assenza di un evento economico che lo giustifichi.

Il crash di borsa a cui stiamo assistendo avviene infatti per l’influsso di due fattori concomitanti:

  • una continua e massiccia apertura di posizioni a ribasso da parte degli hedge funds
  • la pubblicazione di dati economici falsati che permettono ai media di creare una narrativa che dipinge l’America come se fosse caduta all’improvviso nel bel mezzo di una recessione

Entrambi i fattori sono di natura speculativa e/o manipolativa e non hanno alcuna causa economica reale. Al massimo essi possono ricondurre a cause politiche o geopolitiche, che però esulano dagli scopi del nostro blog.

Ciò che possiamo fare, piuttosto, è analizzare in dettaglio questi due fattori in relazione ai dati economici, in modo da svelarne la loro natura appunto non correlata all’economia.

Le posizioni a ribasso degli hedge funds

Basta guardare ai dati dei principali mercati derivati legati agli indici di borsa, alle azioni e alle criptovalute, per notare un enorme accumulo di posizioni short, la cui apertura necessita di molti capitali. Per questo dico che tali posizioni sono state aperte dagli hedge funds, che di capitali ne hanno a disposizione a sufficienza.

Gli hedge funds non sono, beninteso, gli unici operatori capaci di mobilitare tutti questi soldi.

Ma sta di fatto che gli altri operatori, come i fondi di investimento, i fondi pensione, le grandi banche, ecc. stanno usando i loro capitali, altrettanto ingenti, in modo contrario agli hedge funds, cioè comprando e accumulando a prezzi stracciati tutti questi asset messi a terra dagli hedge funds.

Questi acquisti però avvengono nel mercato spot, che è notoriamente meno ampio di quello dei derivati. Ecco perché nel computo generale delle cose, le vendite nei derivati finiscono col contare di piu’ degli acquisti spot, almeno per quanto riguarda il movimento dei prezzi.

Invece di sovraccaricare questo articolo di troppi grafici (ne saranno necessari molti comunque, come si vedrà in seguito…), vorrei mostrare in modo sintetico questa situazione attraverso un gruppo di grafici del mondo cripto, ormai diventato un “alias”, una copia fedele e semplificata di tutti gli altri mercati speculativi.

Guardando al mondo cripto, vediamo che, da una parte, il 45% degli “open interests” cioè delle posizioni aperte nei derivati sono state spazzate via dalle vendite:

Ma d’altra parte, una manciata eterogenea di dati di economia reale legata direttamente o indirettamente alle cripto, ci mostra una situazione stabile che non giustifica il crollo di tutte quelle posizioni derivate (poi piu’ sotto spiego i grafici):

Nell’ordine, dall’alto in basso e da sinistra a destra, abbiamo i grafici di:

  • capitalizzazione delle stablecoin
  • capitali circolanti nel mercato cripto
  • valore degli asset economici reali (RWA: Real World Assets. Si veda la legenda sotto al grafico per un elenco di questi asset)
  • volumi nel mercato dex (piattaforme cripto decentralizzate)
  • capitali investiti nelle DePin, cioè nei progetti che applicano la blockchain al mondo reale

Tutti i grafici sono stabilmente a rialzo e non si vede alcun crollo, da nessuna parte…

L’economia reale e quella direttamente legata alle cripto è allo stesso livello di benessere e stabilità precedente a questo crollo dei mercati.

Perché allora ci sono state queste ingenti vendite nei derivati? Perché in questo mercato è stata aperta una montagna di posizioni short?

La spiegazione esula dagli scopi di questo articolo, ma a spanne ipotizzo due possibilità:

  • mettere pressione al governo Trump
  • mettere pressione alla Fed per farle abbassare i tassi d’interesse al prossimo meeting del 18-19 marzo.

Veniamo ora al secondo fattore del crash, che è forse il piu’ interessante, perché piu’ insolito…

I falsi dati economici che fanno gridare alla recessione

Il 6 marzo, nel nostro canale Telegram , abbiamo parlato del primo di questi dati clamorosamente falsi: il PIL americano, pubblicato a inizio dello stesso mese.

Secondo questo dato, il PIL USA, che nella precedente rilevazione era intorno a +2,3%, sarebbe crollato all’improvviso a -2,8%

La causa di questa evidente assurdità, presa per buona da quasi tutti i media, è stata svelata da Bloomberg in un articolo a pagamento, di cui pubblico comunque il link.

In sostanza, Bloomberg dice che la caduta del PIL è dovuta a uno squilibrio della bilancia dei pagamenti, cioè del rapporto import-export americano.

Nelle ultime settimane, infatti, c’è stato un fortissimo aumento delle importazioni americane rispetto alle esportazioni. Un aumento talmente forte da non poter avere un’origine economica spontanea, ma può soltanto derivare da qualche fenomeno indotto.

Infatti, Bloomberg osserva che in realtà l’aumento spropositato di importazioni riguarda un solo asset: l’oro.

Se togliamo dal computo l’import di oro, ecco che, come per magia, la bilancia dei pagamenti torna normale, cosi’ come il PIL.

Il motivo di questo abnorme afflusso di oro in America? Lo abbiamo spiegato in tanti post su Telegram e soprattutto in questo articolo.

Per brevità non mi dilungo a spiegare nuovamente ciò che abbiamo illustrato nell’articolo. Qui basta dire che il fenomeno è certamente molto rilevante dal punto di vista geopolitico e metaeconomico – altrimenti non vi avremmo dedicato un articolo -, ma non ha nulla a che fare con l’economia, nè con la recessione.

Il secondo dato falsato è stato pubblicato qualche giorno fa, e registra un picco nei licenziamenti nel mercato del lavoro USA.

Come mostra il grafico, il picco ha dimensioni paragonabili a quello di grandi eventi economici distruttivi, come il covid o la crisi del 2008:

L’unica, fondamentale differenza con quegli eventi passati è che, in questo caso, i licenziamenti non sono l’effetto finale di una difficile situazione economica in caduta libera.

Si tratta invece dei licenziamenti decisi da Elon Musk in svariati apparati della pubblica amministrazione americana.

Il livello davvero impressionante di questi licenziamenti rende certamente l’idea del fatto che Musk fa sul serio e che davvero è in atto negli USA una sorta di cambio di regime in grande stile.

Ma al di là di questa considerazione politica, i licenziamenti, confinati per giunta nel settore pubblico, specificamente governativo, e non quindi nei settori socio-economici che compongono la società americana nel suo complesso, non possono essere considerati il prodotto di una recessione o di un improvviso crollo in qualche settore che regge l’economia.

Anche in questo caso, però, i media non hanno approfondito il dato, ma, anzi, lo hanno utilizzato per rafforzare la tesi, completamente strampalata, che l’America sia vittima di una improvvisa recessione che ha portato il PIL a -2,8% mentre cresceva del 2,3%… come abbiamo già ricordato prima.

In altre parole, la recessione, nella narrativa fantasiosa dei media, non è piu’ quel processo economico le cui cause si fanno strada gradualmente nella società e possono essere intraviste e analizzate con mesi e talvolta anni di anticipo, man mano che spandono i loro effetti economici.

Questa nuova forma di recessione è invece un fenomeno improvviso, alla stregua di un raffreddore: oggi stai bene e domani, senza sapere perché, ti ritrovi a letto e devi rimandare tutti i tuoi appuntamenti.

E’ una recessione talmente rapida e misteriosa che nemmeno il mercato obbligazionario, che funge solitamente da osservatorio privilegiato e impeccabile di tutti i fenomeni economici rilevanti, si è accorto del suo arrivo:

Se davvero l’economia americana è sul lastrico, come mai i rendimenti delle obbligazioni delle società americane “High Yield” non sono aumentati per compensare il rischio di bancarotta a cui queste aziende potrebbero andare incontro in una cosi’ forte e devastante recessione?

Si veda ad esempio come la curva blu si era impennata all’estrema sinistra del grafico, in corrispondenza del covid, mentre ora è stabilmente ai minimi storici

Sembra che le grandi banche e i fondi di investimento che dominano questo mercato non sappiano che ieri ci siamo svegliati in una fortissima recessione…forse sono tutti vittima di un gran raffreddore che li ha messi ko?

Come dicevamo all’inizio, questo crash di borsa è tutta farina del sacco degli hedge funds speculativi e non dei grandi operatori finanziari e degli investitori istituzionali che muovono i loro capitali in accordo con l’andamento economico reale

Conclusioni

A conclusione di questo articolo, pubblico un paio di grafici che possono aiutarci a fare ipotesi sul perché di tutta questa farsa.

Come ho detto all’inizio, le cause politiche o sociologiche esulano dagli scopi di questo blog, che è specificamente dedicato agli investimenti.

Tuttavia, non posso non citare alcuni effetti economici importanti legati a questa “recessione”.

Se tali fenomeni siano in realtà proprio gli obiettivi di questa strana operazione mediatico-speculativa, oppure siano solo degli effetti “collaterali”, non saprei dire.

Sono tuttavia fenomeni decisivi che probabilmente avranno un effetto rialzista sulle borse e le cripto.

Gli effetti sono essenzialmente due:

  • la discesa del dollaro
  • la ripresa del nuovo allentamento monetario portato avanti dalla Fed dal 18 settembre al 18 dicembre 2024 e poi bruscamente interrotto

Riguardo alla discesa del dollaro, questa era già in corso dal 2025, ma avuto una accelerazione il 28 febbraio, proprio alla viglia di questa insolita “recessione”:

La debolezza del dollaro si armonizza con il programma di allentamento monetario della banca centrale cinese (anche le banche centrali dei paesi rivali non possono esagerare troppo i contrasti fra le rispettive valute senza rischiare gravi problemi). Inoltre, in generale il dollaro aveva ormai raggiunto estremi storici incompatibili con l’equilibrio finanziario globale e quindi andava prima o poi rivalutato a ribasso.

Sulla possibilità che la Fed riprenda l’allentamento monetario, l'”impeccabile” mercato obbligazionario sta dicendo la sua già da due mesi, facendo scendere i tassi dei titoli di stato USA a 10 anni da inizio anno:

Per tutto il 2024 i tassi a 10 anni sono continuati a salire contro tutte le previsioni (e le evidenze) di riduzione dell’inflazione.

Dal 2025 invece, stranamente l’inflazione non è piu’ un problema (ma non era proprio nel 2025 che l’inflazione doveva ritornare, al punto da spingere la Fed ad interrompere il ciclo di ribasso dei tassi iniziato nel 2024?) e quindi i tassi sono iniziati a scendere costantemente (retta nera).

E’ evidente che questo mercato sta seguendo un altro copione, non legato all’inflazione, ma alla liquidità globale.

Man mano che nel 2025 le banche centrali dei paesi piu’ sviluppati, dalla BCE alla banca cinese, inizieranno a inondare nuovamente l’economia con la loro liquidità, i titoli di stato americani non potranno restare col cerino in mano, come rappresentanti dell’ultima grande economia rimasta ancora restrittiva (e quindi potenzialmente recessiva, dal punto di vista valutario).

Ecco perché il tasso USA a 10 anni ha ripreso a scendere e quindi a scommettere, con largo anticipo, fin da inizio 2025, sulla definitiva scomparsa dei programmi monetari restrittivi, negli USA e nel mondo.

E noi sappiamo bene cosa vuol dire questo, dal punto di vista delle borse e delle cripto: un mondo nuovamente liquido, dal punto di vista monetario, è la base di tutte le bolle speculative della storia.

Quindi prepariamoci al prossimo, ultimo grande rialzo di tutti gli asset speculativi finanziari.

Quando potrà accadere?

Questa recessione programmata potrebbe durare ancora un certo tempo. Se si tratta di una strategia economica voluta proprio dal governo per scongiurare il peso dei 7 trilioni di titoli del Tesoro in scadenza nei prossimi 6 mesi (vedi il nostro post su Telegram del 6 marzo), potrebbe durare anche fino all’anno prossimo. Ma dovrà essere per forza seguita da una lunga fase di allentamento monetario e nuove immissioni di liquidità che faranno ritornare i prezzi delle borse alle stelle.

I dazi di Trump sconvolgeranno il mercato dell’oro in occidente?

La politica dei dazi americana sta portando inattese conseguenze nel mercato occidentale dell’oro, già provato dalla pressione asiatica e soprattutto cinese che ha sottratto a Londra il suo tradizionale controllo sui prezzi di questo metallo (come spiegato qui).

Conseguenze dei dazi sul prezzo dell’oro in dollari

Il Messico e il Canada sono due dei maggiori fornitori di oro importato dagli Stati Uniti. Delle 12,1 tonnellate di oro importate negli Stati Uniti a ottobre 2024, i primi tre fornitori sono stati la Colombia (25% del totale), il Messico (24% del totale) e il Canada (13% del totale). Di conseguenza, i dazi del 25% sull’oro importato dal Messico o dal Canada aggiungerebbero 700 $ l’oncia al prezzo dell’oro. Dunque, ipotizzando il prezzo attuale dell’oro di 2800 $, il prezzo finale dovrebbe arrivare a un incredibile 3500 $ l’oncia. Tutto ciò in un contesto in cui l’oro ha già raggiunto un massimo storico.

Lo squilibrio dei prezzi e dei flussi di oro tra Londra e New York

I timori di prezzi di importazione più alti hanno perciò innescato una corsa per importare oro fisico negli Stati Uniti, con i trader del COMEX che hanno aumentato i prezzi dei future sull’oro per assicurarsi un’esposizione a una quantità sufficiente di oro consegnabile negli Stati Uniti.

Questa impennata di prezzo a sua volta ha costretto i venditori allo scoperto a coprire le loro posizioni; il che ha spinto i prezzi del COMEX più in alto rispetto al prezzo spot LBMA di Londra. Cosi’, man mano che lo spread COMEX-Londra si allargava, i trader di Londra si sono affrettati a trasportare più oro a New York per sfruttare l’opportunità di arbitraggio.

La “corsa agli sportelli” al Comex

La previsione di un aumento del prezzo dell’oro ha anche fatto aumentare le richieste di consegna di oro fisico da parte dei possessori di certificati di deposito (derivati) al Comex. Nella piazza newyorkese infatti i detentori a lungo termine non hanno rinnovato i loro contratti, ma hanno deciso di riscattare l’oro fisico alla scadenza del contratto.

In totale, nei primi 2 giorni di febbraio sono andati in scadenza e riscattati 40.649 contratti, che rappresentano 126 tonnellate di oro per un valore di 11,38 miliardi di $.

Londra rifornisce New York per consentire di far fronte a queste richieste di riscatto

A dicembre 2024, le esportazioni di oro da Londra direttamente negli Stati Uniti sono aumentate di 64,5 tonnellate, un aumento di 11 volte rispetto al mese precedente e il totale mensile più alto da marzo 2022. Allo stesso modo, anche l’oro svizzero è stato instradato verso Londra e poi inviato agli Stati Uniti. A dicembre, infatti, le esportazioni di oro svizzero verso Londra sono aumentate anche di 14,3 tonnellate, da 1 tonnellata durante il mese precedente.

Per rifornire New York, Londra rischia una carenza di oro fisico

Mercoledì 29 gennaio, il London Financial Times ha diffuso la notizia di una carenza di oro nel mercato di Londra. In un articolo intitolato “Gold Stockpiling in New York leads to London shortage”, il giornale ha rivelato che la minaccia dei dazi statunitensi e l’opportunità di arbitraggio sul COMEX hanno creato una carenza estrema di oro in cui “l’attesa per ritirare i lingotti conservati nei caveau della Banca d’Inghilterra è aumentata da pochi giorni a quattro-otto settimane”.

Per fare fronte a queste carenze, le banche della London Bullion Market Association (LBMA) hanno preso in prestito oro dalla Banca d’Inghilterra in modo da trasportarlo via mare a New York.

La carenza di oro a Londra potrebbe diventare sistemica

Normalmente erano gli Stati Uniti a importare oro esente da dazi da Canada e Messico, rifornendo il Regno Unito e la Svizzera.

Perciò, anche se l’attuale inversione di questo flusso da Londra a New York per fare fronte alle aumentate richieste di riscatto al COMEX di New York fosse solo un fenomeno transitorio, il mancato apporto sistemico di oro canadese e messicano nel Regno Unito potrebbe restringere ulteriormente la liquidità nel mercato LBMA di Londra.

L’unica soluzione alternativa sarebbe che Messico e Canada dirottassero il loro oro direttamente alle raffinerie in Svizzera o in altre località, bypassando completamente gli Stati Uniti. Tuttavia, ciò creerebbe comunque ritardi logistici e potenziali dislocazioni nella catena di fornitura globale dell’oro, esercitando ulteriore pressione sulle scorte di oro disponibili a Londra.

Uno sguardo sull’argento

Messico e Canada sono anche i due maggiori fornitori di argento degli Stati Uniti. Ad esempio, nel mese di ottobre gli Stati Uniti hanno importato 163.000 kg di argento dal Messico e 92.500 kg di argento dal Canada.

Nel mese di ottobre 2024, Messico e Canada hanno rappresentato l’80% di tutte le importazioni di argento dagli Stati Uniti. L’imposizione di una tariffa di importazione del 25% sulle importazioni di argento dal Messico e dal Canada avrà quindi un impatto negativo enorme sul mercato dell’argento degli Stati Uniti. Con quali conseguenze? Staremo a vedere…

Conseguenze sistemiche a lungo termine sull’oro

Se lo spread tra le due piazze rimane elevato per un periodo prolungato, si pone la questione di quanto oro il mercato di Londra può continuare ancora a fornire a New York prima che le scorte non riescano piu’ a reggere.

La persistenza dello spread suggerirebbe anche che non si tratterebbe solo di un problema di arbitraggio a breve termine, ma dell’inizio di una crisi sistemica all’interno della quale potrebbe persino esserci un programma di accumulo strategico da parte del governo degli Stati Uniti sotto la cortina fumogena delle tariffe, forse mirato a drenare la liquidità dell’oro da Londra e consolidare le riserve auree nei caveau americani.

Se le scorte d’oro di Londra si esaurissero più velocemente di quanto possano essere ripristinate, si potrebbe innescare una stretta dell’offerta che esporrebbe le debolezze del mercato globale dei lingotti e forzerebbe un drastico riprezzamento (verso l’alto) dell’oro fisico, soprattutto se altre banche centrali o altre entità sovrane, soprattutto asiatiche, reagissero accelerando il proprio ritiro di oro da Londra.

La domanda cruciale quindi è se l’attuale crisi sia solo una dislocazione temporanea o l’inizio di un più ampio spostamento del mercato globale dell’oro dai derivati verso il metallo fisico.

Inutile dire che monitoreremo attentamente questo importante fenomeno.

Perché il dollaro troppo forte sta riducendo la liquidità globale

A partire dall’amministrazione Biden, gli Stati Uniti hanno registrato il tasso di immigrazione più rapido dagli anni ’50 dell’Ottocento, con l’arrivo di quasi 4 milioni di immigrati (legali) solo nel 2024.

L’immigrazione crea molte conseguenze indirette sull’economia, da una maggiore concorrenza occupazionale, all’aumento dei prezzi immobiliari, alla crisi dell’offerta di alloggi a questioni culturali e politiche in senso lato. Pertanto questa ondata migratioria fuori dal comune, va considerata una misura temporanea il cui obiettivo è stato quello di sostenere l’economia post-pandemica caratterizzata dalla eccezionale produzione di debito pubblico.

Ma perché una forte immigrazione dovrebbe sostenere il debito pubblico?

Il motivo è che l’immigrazione incrementa la forza lavoro.

E a sua volta, è la forza lavoro a sostenere il debito pubblico:

Questo grafico ad esempio ci mostra una situazione tipica di un paese economicamente sviluppato, quali sono gli USA, dove la costante diminuzione della forza lavoro dovuta alla cronica diminuzione della popolazione (curva nera) fa impennare il peso del debito pubblico sul PIL (la curva rossa è invertita per evidenziare la sua stretta correlazione con la curva nera, ma va immaginata come se si impennasse in modo esattamente opposto alla caduta della curva nera).

L’amministrazione Biden ha quindi pensato di arginare, almeno temporaneamente, i pesanti effetti di un aumento fuori dall’ordinario del debito pubblico, quale quello verificatosi durante la pandemia, con un altrettanto straordinario aumento della forza lavoro causato da una eccezionale ondata migratoria,  paragonabile a quella di un paese del terzo mondo confinante con un teatro di guerra.

E gli effetti sono stati subito visibili.

Infatti, da quando è iniziata questa inusuale spinta all’immigrazione, l’aumento costante del debito pubblico rispetto al PIL si è fermato ed ha anche iniziato una debole discesa dal 2021 (cerchio rosso):

L’amministrazione Biden ha cosi’ creato una situazione nella quale la Federal Reserve ha potuto “riprendere fiato”, interrompendo gli acquisti programmati dei titoli di stato USA e la contemporanea riduzione dei tassi d’interesse, entrambi in corso da oltre un decennio.

Ufficialmente la Fed ha “ripreso fiato” per combattere l’inflazione, ma in realtà, le politiche della Fed hanno ormai poco a che fare con il controllo dell’inflazione e sono determinate da altri fattori che abbiamo già descritto su Telegram e sulla nostra newsletter, uno dei quali è proprio l’aumento della forza lavoro attraverso l’immigrazione.

Di conseguenza è probabile che se il rapporto debito/PIL (curva rossa) raggiungerà nuovi massimi, la FED si sentirà spinta ad acquistare i titoli di debito del governo:

Ma per ora, come abbiamo detto in altri articoli, la Fed cercherà di assicurare liquidità al sistema con mezzi alternativi, quali il mercato repo e le norme bancarie meno restrittive (lo abbiamo detto qui).

C’è però un effetto indiretto di questa impostazione della Fed sui paesi esteri.

Cina e Giappone ad esempio non utilizzano l’immigrazione per incrementare la forza lavoro e tenere sotto controllo il debito pubblico.

Questi due paesi perciò sono costretti a produrre elevata liquidità sotto forma di debito pubblico e quindi, contemporaneamente, mantere bassi i tassi d’interesse per non far pesare questo debito sulle casse governative come spese per interessi.

E difatti questi paesi hanno interrotto solo per pochissimo tempo la stampa di denaro attraverso le politiche delle loro banche centrali.

La Cina, ad esempio, nel 2023 è tornata a impegnarsi in un nuovo ciclo di allentamento monetario in grande stile che per un periodo ha fatto aumentare la liquidità globale, innestando trend a rialzo in tutti gli asset speculativi, incluse le criptovalute. E questo proprio mentre la Fed tirava ancora il freno sulla liquidità.

Tuttavia, nel 2024, questo allentamento monetario cinese che sembrava un programma a lungo termine, si è bruscamente interrotto, facendo di nuovo calare la liquidità globale (cerchio rosso):

Il motivo è legato appunto alla nuova impostazione della Fed con cui assicura liquidità in modo nascosto all’interno del proprio sistema finanziario, rifiutandosi però di alleggerire il peso del dollaro per le banche centrali estere con una riduzione piu’ decisa dei tassi di interesse.

La conseguenza è che il dollaro è semplicemente troppo alto; perciò se Cina o Giappone continuassero l’allentamento monetario con un dollaro cosi’ forte, le loro valute potrebbero andare fuori controllo.

Trump sa bene che il valore dollaro è attualmente insostenibile per il sistema globale. Solo 2 settimane fa egli infatti aveva ha dichiarato pubblicamente che: “i tassi di interesse negli Stati Uniti sono troppo alti”.

È molto probabile perciò che il nuovo Presidente degli Stati Uniti userà il dollaro forte come strumento di negoziazione con Cina, Giappone e molti altri paesi che hanno disperatamente bisogno che il dollaro scenda.

Scott Bessant, il neo-nominato capo del Tesoro degli Stati Uniti, è sulla stessa lunghezza d’onda e cercherà di attuare le misure necessarie per ridurre il valore del biglietto verde.

Una situazione simile si verificò nella precedente presidenza Trump; ed ecco cosa successe:

Come mostra la curva blu, anche allora Trump si preoccupò di ridurre un dollaro troppo forte. E la somiglianza con la situazione attuale (curva rossa) è suggestiva…

In conclusione, la liquidità mondiale tornerà ad incrementarsi solo se e quando Trump riuscirà ad abbassare l’eccessivo valore del dollaro.

Fino ad allora, borse e criptovalute resteranno in un trend stazionario.

Quel fattore che sta influenzando le borse e bitcoin a tua insaputa

Abbiamo piu’ volte detto che il fattore che influenza piu’ di ogni altro l’andamento degli asset speculativi, dalle borse alle criptovalute, è la liquidità globale circolante.

Il grafico qui sotto, che rappresenta la relazione tra bitcoin (curva rossa) e la liquidità globale (curva nera), lo dimostra in modo inequivocabile:

Dal momento che la maggior parte di questa liquidità globale è espressa in dollari, gli importanti cambiamenti nel modo in cui questi dollari vengono gestiti, sia dalla Federal reserve che dalle banche centrali degli altri paesi, determina in modo diretto e immediato i trend a medio e lungo termine di tutti gli asset speculativi.

Negli ultimi 20 anni, fino al 2021, la liquidità in dollari veniva immessa nell’economia principalmente mediante i ben noti programmi di allentamento monetario della Federal Reserve.

Nel corso degli anni, tutti i mercati speculativi si sono tarati su questo tipo di gestione che comportava lunghe fasi di rilascio costante e programmato di liquidità alternate a brevi pause e rallentamenti.

Il rilascio avveniva sia mediante riduzione dei tassi d’interesse, sia con l’acquisto, da parte della Fed, di titoli di stato USA in cambio di dollari cash che venivano rilasciati nel sistema (il cosiddetto QE).

Tuttavia, a partire dal 2023, questo sistema molto semplice di trasferimento della liquidità è definitivamente tramontato, anche se i mercati non lo hanno ancora capito e continuano a dipendere, almeno nei trend di breve, dalle decisioni di natura monetaria che la Federal Reserve annuncia piu’ volte durante l’anno.

Il fatto che la Fed non effettui piu’ questi cicli di allentamento monetario, non vuol dire però che la liquidità in dollari circoli di meno nel sistema. Al contrario, il mondo continua ad avere costante bisogno di liquidità e trova modi alternativi per procurarsela.

Come la Fed continua a immettere liquidità in modo nascosto

Nel 2024 la Fed ha immesso liquidità in modi diversi dal solito, ad esempio:

  • riducendo i requisiti di liquidità richiesti alle banche a copertura dei loro bilanci (permettendo cosi’ alle banche di usare piu’ titoli di stato per i prestiti alle imprese e quindi di aumentare i dollari circolanti).
  • Immettendo direttamente liquidità nel mercato repo (il mercato nel quale le banche si prestano denaro per riequilibrare i loro bilanci a fine giornata).

C’è poi il Tesoro degli Stati Uniti, che durante tutto il periodo in cui la Federal Reserve ha ritirato circa un trilione e mezzo di dollari dal sistema, ne ha immessi in circolazione piu’ del doppio, aumentando il proprio indebitamento (cioè dando mandato alla Fed di immettere molti piu’ titoli di stato a copertura delle spese del governo).

La liquidità cosi’ creata è già di per sé paragonabile a quella che la Fed normalmente creava con i programmi di allentamento monetario. Ma poi in aggiunta dobbiamo considerare la liquidità che viene creata al di fuori degli Stati Uniti, nel cosidetto sistema del dollaro offshore (London Eurodollar Market), principalmente nei paradisi fiscali delle ex colonie britanniche.

Il sistema del dollaro offshore e il suo ruolo nell’aumentare la liquidità in dollari globale

La comprensione di questo fenomeno è forse difficile per il profano, perché normalmente i media ci dicono che i paesi esteri stanno disinvestendo i titoli di stato americani. Il che è stato vero fino al 2023.

La quota di partecipazioni estere del debito USA era infatti scesa dal picco del 34% del 2015 a un minimo del 22,2% nell’ottobre 2023.

Il motivo per cui le banche centrali, soprattutto giapponesi e cinesi, avevano disinvestito questi titoli americani non era, come si crede di solito, per effettuare una fantomatica “dedollarizzazione”. In realtà, piu’ prosaicamente, i titoli americani venivano venduti per fare cassa e sopperire agli improvvisi cali di liquidità che si erano creati un pò in tutto il mondo da quando la Fed aveva iniziato ad alzare i tassi d’interesse.

Nel 2024 la situazione si è del tutto ribaltata.

Il debito del Tesoro detenuto dalle entità straniere è risalito dell’11,5% anno su anno (+$880 miliardi), raggiungendo il massimo storico di $8,50 trilioni.

Dall’ottobre 2023, le entità straniere hanno aumentato le loro partecipazioni in dollari a un ritmo più veloce che mai, fino a raggiungere il 24,1%, cioè il livello più alto in due anni.

Questa volta, però, gli aumenti hanno interessato solo moderatamente le banche centrali dei soliti paesi, come Giappone e Cina, mentre gran parte della liquidità si è riversata in sei centri finanziari considerati “paradisi fiscali”, che ora posseggono titoli in dollari per un valore pari a $2,51 trilioni: Londra, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Isole Cayman e Irlanda.

I paradisi fiscali al centro del sistema finanziario globale

La tendenza a trasferire la liquidità nei centri offshore non è un fatto occasionale, ma un vero e proprio trend che dura da circa un decennio.

Dal 2012 a oggi, infatti, questi centri finanziari hanno più che triplicato la loro esposizione al debito USA, arrivando appunto al record di 2,51 trilioni che abbiamo detto.

Questi paradisi offshore sono specializzati nella gestione dei titoli finanziari di multinazionali, istituti finanziari di vario tipo, cartelli della droga, entità che gesticono traffici di armi, persone e organi, e, naturalmente, governi.

Il piu’ attivo di questi, le Isole Cayman, sono ormai il quinto centro finanziario più grande al mondo e ospita 80.000 società registrate, oltre i tre quarti degli hedge fund mondiali e 1,9 trilioni di dollari di depositi.

Il trend della liquidità offshore riflette un cambiamento strutturale dell’economia globale che, da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, è accelerato e sta ridisegnando i rapporti tra i paesi e le loro economie nel segno di una sempre piu’ pronunciata “economia di guerra”.

Intendiamo l’“economia di guerra” nel senso ampio del termine, che implica non solo la necessità di aumentare la liquidità nascosta a sostegno dei flussi di armamenti che devono spesso essere mantenuti “top secret”, ma anche il bisogno di sottrarre parte delle risorse dei paesi al valzer di sanzioni incrociate e di minacce varie alle sovranità nazionali che emergono normalmente nei contesti di guerra, sia fredda che calda.

Ora, tirando le somme, dobbiamo considerare che gran parte della liquidità in dollari prodotta in queste vie alternative, sia fuori che dentro gli Stati Uniti, ha la caratteristica di essere difficilmente tenuta in considerazione dagli analisti di borsa, che, come già detto, sono ancora legati al sistema ormai obsoleto delle immissioni di liquidità in grande stile della Fed.

Ecco perchè i mercati si comportano come se nel mondo la liquidità sia meno di quanta ve n’è effettivamente.

Certamente prima o poi gli analisti e gli esperti di finanza inizieranno a capire i nuovi meccanismi della liquidità e il loro influsso sulle borse, ma per arrivare a questo, probabilmente dovremo attraversare un periodo di adattamento di alcuni anni.

E in questo lasso di tempo avremo trend di borsa meno definiti e piu’ brevi. I comportamenti degli investitori e i flussi di capitali negli asset speculativi saranno meno comprensibili e prevedibili. Investire sarà un mestiere piu’ rischioso e incerto. Finché non arriveremo a un nuovo standard che consenta analisi semplici e ripetitive anche ai meno esperti.

Fino ad allora, perciò, affidarsi a chi si improvvisa e a chi segue le fonti di informazione piu’ superficiali sarà deleterio per chi investe in borsa. Ecco perché consiglio sempre di seguire la nostra newsletter e il canale Telegram per non restare indietro nella comprensione dei prossimi trend legati alla liquidità globale.

Bitcoin, Ethereum e la fine della globalizzazione: un bivio storico

Quando, nel 2022, Ethereum completò con successo “The Merge”, il suo piu’ famoso aggiornamento con cui passò dalla “proof of work” alla “proof of stake”, sembrò un cambiamento epocale.

Erano ancora in piedi le illusioni della globalizzazione e della lotta al cambiamento climatico, con cui la parte delle élites globali legata al Grande Reset sembrava pronta a conquistare il mondo.

Nessuno poteva pensare che di li’ a poco un’altra parte di élites legate all’industria bellica, alle banche centrali e alle classi dirigenti delle superpotenze, avrebbe fatto deragliare il treno della storia, ponendo fine alla globalizzazione e rendendo impossibile, senza quest’ultima, la necessaria velocità ed economicità degli scambi di materie prime e prodotti finiti indispensabili alla realizzazione dei piani legati alla transizione energetica.

Quasi tre anni dopo, in un mondo in cui la priorità è diventata la guerra, o la preparazione ad essa, la transizione energetica e le altre trasformazioni epocali del Grande Reset li ritroviamo ormai solo nei vuoti slogan dei piani assistenziali che ancora per poco alimentano le politiche locali europee. Ma la politica che conta ha ormai altri obiettivi: la chiusura delle frontiere mercantili, l’adozione di economie di guerra e la necessità di compattare le società, rendendole atte allo sforzo bellico, mediante restrizioni alle libertà di parola, di movimento e di autodeterminazione finanziaria.

In questo nuovo scenario, in cui il mondo è ormai spaccato nei due settori geopolitici predestinati allo scontro: la parte nord-occidentale e quella sud-orientale (chiamata impropriamente “sud del mondo”), la “proof of stake” , la cui unica ragion d’essere era la riduzione del consumo energetico, inizia a somigliare a tanti altri progetti tipici del mondo cripto, pensati a tavolino da persone del tutto scollegate dalla realtà per rispondere ai bisogni di un’umanità immaginaria.

Al contrario, nella parte sud-orientale di questo mondo, alcune nazioni emergenti stanno ridefinendo il ruolo delle criptovalute nell’economia e nella società.

Una quieta rivoluzione è in atto nei paesi emergenti

L’indice globale di adozione delle criptovalute di Chainalysis ci mostra la crescente importanza di questa parte del pianeta riguardo all’adozione delle criptovalute:

Ricordiamo che l’adozione, cioè l’uso pratico delle cripto, è ben diversa dall’investimento nelle cripto.

In quest’ultimo, la parte nord occidentale del mondo è ancora prevalente.

Ma, come mostra il grafico, nell’adozione l’America Latina, L’Europa dell’Est e l’Africa Sub Sahariana, assieme all’Estremo Oriente, formano una compagine che distacca di molto il resto del mondo.

L’adozione delle criptovalute nei mercati in via di sviluppo e quelli emergenti è guidata da tre fattori chiave:

Rimesse: il mercato globale delle rimesse (i trasferimenti di denaro e beni da parte degli espatriati verso la loro patria d’origine), valutato a 887 miliardi di dollari nel 2024, è stato rivoluzionato dalle criptovalute, che offrono trasferimenti istantanei e a basso costo.

Copertura contro l’inflazione: nei paesi alle prese con l’instabilità economica, le criptovalute forniscono un modo per preservare la ricchezza fuori dalla portata delle politiche monetarie del governo. Dati recenti mostrano che bitcoin ha raggiunto nuovi massimi storici in paesi come Argentina e Nigeria, dove le valute locali si sono fortemente svalutate.

Inclusione finanziaria: con circa 1,7 miliardi di adulti che rimangono senza servizi bancari a livello globale, le criptovalute, insieme alla crescente penetrazione degli smartphone, forniscono servizi di tipo bancario a popolazioni precedentemente svantaggiate.

Innovazione nata dalla necessità

Il sud-est del mondo ci fornisce svariati esempi di un tipo di innovazione del settore cripto che nasce dai bisogni reali delle persone e non dai sogni di pochi gruppi di potere confinati in castelli dorati.

Faccio un rapido elenco non esaustivo.

Nei paesi con reti elettriche inaffidabili, stiamo assistendo allo sviluppo di soluzioni di transazioni offline e reti mesh per i trasferimenti di bitcoin.

Queste innovazioni, nate dalla necessità, potrebbero potenzialmente rivoluzionare il modo in cui le criptovalute vengono utilizzate a livello globale.

Inoltre, molti mercati emergenti stanno promuovendo comunità crittografiche coese e localizzate.

In luoghi come il Kenya e le Filippine, stiamo assistendo alla crescita di gruppi di risparmio basati sulle criptovalute e di reti di prestito peer-to-peer.

Poi c’è la Nigeria.

Il paese ha abbracciato bitcoin e altre criptovalute come strumenti per la sovranità economica, in particolare a fronte delle restrizioni governative sul commercio di criptovalute.

Il divieto, nel febbraio 2021, da parte della Banca Centrale della Nigeria sui servizi bancari di transazioni di criptovaluta, ha stimolato l’innovazione nel trading DeFi e peer-to-peer (P2P).

Numerosi gruppi WhatsApp e Telegram sono emersi come mercati decentralizzati in cui i nigeriani scambiano criptovalute direttamente tra loro, aggirando gli intermediari finanziari tradizionali.

Questi gruppi, spesso organizzati da comunità locali o studenti universitari, incarnano i principi fondamentali di decentralizzazione e inclusività finanziaria per cui le criptovalute erano state progettate.

Inoltre, gli sviluppatori nigeriani sono i primi produttori di soluzioni DeFi utilizzate in molti paesi africani.

Progetti come Xend Finance, una piattaforma DeFi costruita sulla Binance Smart Chain, consentono alle cooperative di credito e ai singoli individui di risparmiare e investire in criptovalute e stablecoin, proteggendo i loro fondi dalla svalutazione delle valute fiat locali.

All’inizio del 2024, Xend Finance ha segnalato oltre 50.000 utenti attivi in ​​Nigeria e altri paesi africani, dimostrando che, nel mondo reale, le criptovalute possono davvero essere utili nella lotta all’instabilità valutaria.

L’Argentina presenta un caso altrettanto convincente.

In un contesto di ricorrenti svalutazioni valutarie, gli Argentini utilizzano sempre più stablecoin ancorate al dollaro come riserva di valore.

Questa tendenza ha portato alla nascita di conti di risparmio e piattaforme di prestito basati su criptovalute, i quali forniscono servizi finanziari che le banche tradizionali ormai faticano a offrire in un contesto economico in rapida degenerescenza.

Un sondaggio del 2023 condotto dall’Università di Buenos Aires ha rilevato che il 22% degli Argentini detiene una qualche forma di criptovaluta come protezione dall’inflazione.

Uso di bitcoin nell’economia reale

La gestione di Mircrostrategy del proprio bilancio si basa sull’uso di bitcoin come riserva di valore che periodicamente si rivaluta, ridefinendo la capitalizzazione totale dell’azienda e permettendo l’uso dei profitti derivanti dalle normali attività aziendali (produzione di software) per calmierare interamente i debiti.

Una strategia simile viene adottata in El Salvador.

Entrambi i casi d’uso sono ormai famosi e su Internet si trova molto materiale in inglese che consente di approfondirli.

Pochi invece conoscono il caso del Buthan e la sua ridefinizione del concetto economico di “esportazione energetica”.

Il Bhutan, un paese di soli 780.000 abitanti, estrae bitcoin utilizzando le risorse idroelettriche del paese. Attualmente le sue riserve di btc (circa 13.000 btc) sono le quinte al mondo (superiori anche a quelle di El Salvador) e ammontano a un valore di 780 milioni di dollari, pari al 25% del suo PIL totale.

Se ci riflettiamo, vediamo che questo è un nuovo modo di concepire l’esportazione di energia da parte di un paese in via di sviluppo.

Invece di estrarre/generare risorse energetiche tradizionali, esportandole attraverso reti di infrastrutture fisiche che abbracciano tutto il continente, il Bhutan ha esportato la propria energia digitalmente (vendendo la propria energia alla rete bitcoin).

Attualmente, il Bhutan ha creato un gruzzolo in btc che potrebbe eguagliare, o addirittura superare il suo PIL totale, se/quando bitcoin superasse i 100.000 dollari di valore.

3 lezioni per l’Occidente

I modelli di adozione nei mercati emergenti offrono lezioni preziose per le economie sviluppate occidentali:

Focus sull’utilità: il successo delle criptovalute nel risolvere i problemi del mondo reale nei mercati emergenti dimostra l’importanza dell’utilità rispetto alla mera progettazione ultratecnologica fine a se stessa. I mercati occidentali potrebbero trarre vantaggio dallo sviluppo di applicazioni pratiche che rispondano a reali esigenze finanziarie.

Inclusione finanziaria come priorità: il ruolo delle criptovalute nel portare servizi finanziari alle popolazioni prive di servizi bancari evidenzia un aspetto spesso trascurato della tecnologia finanziaria. Le economie sviluppate dovrebbero prendere in considerazione l’idea di sfruttare le criptovalute per affrontare i propri problemi di esclusione finanziaria, piuttosto che spingere per soluzioni centralizzate come le CBDC (valute digitali delle banche centrali) e l’imposizione di regole che possono compromettere la privacy e l’autonomia finanziaria.

Equilibrio normativo: molti mercati emergenti stanno trovando modi innovativi per bilanciare la regolamentazione con l’innovazione. Paesi come la Malesia stanno implementando sandbox normativi che consentono la sperimentazione controllata con le tecnologie crittografiche. Questo approccio potrebbe servire da modello per i regolatori occidentali alle prese con la supervisione del settore.

In questo mondo in cui la parte nord-occidentale, alle prese con problemi di mera autoconservazione, non riesce piu’ ad esprimere una vera innovazione, ma solo una iperprogettualità fine a se stessa, (per giunta in contraddizione con l’iperregolamentazione che ne taglia alle radici le possibilità di utilizzo), forse l’impatto più profondo e i casi d’uso più innovativi emergeranno sempre più da:

I vivaci mercati di Lagos, dove le reti peer-to-peer aggirano le tradizionali barriere finanziarie…
Le remote fattorie dell’India rurale, dove stanno prendendo piede le iniziative di microfinanza basate sulla blockchain…
O le strade di Buenos Aires, dove le criptovalute offrono un’ancora di salvezza contro un’inflazione schiacciante.

Tornando al confronto con ethereum, è chiaro che nella stragrande maggioranza, tutti questi casi d’uso che abbiamo raccontato vedono bitcoin come criptovaluta principale.

Solo tre anni fa pensavamo che il legame indissolubile tra bitcoin e l’energia realmente prodotta dal pianeta fosse un fardello che avrebbe precipitato questa valuta nell’oblio della storia.

Oggi invece stiamo apprendendo che l’energia, come tutti gli altri beni tangibili, è l’unica cosa che conta e che resta, al netto delle mode tecnologiche di un occidente votato alla dissoluzione.

Ethereum è ancora l’infrastruttura (la blockchain) piu’ avanzata, come quantità e qualità di progetti che vi lavorano all’interno.

Ma dal punto di vista della sua rappresentazione monetaria (eth), i problemi di scalabilità, sicurezza/centralizzazione e velocità che condivide con tutte le altre criptovalute non sono stati risolti (anzi, con la proof of stake, eth ha eguagliato btc quanto a centralizzazione del mining e (in)sicurezza della rete).

Al contrario, bitcoin ha un’infrastruttura su cui vengono progettate soluzioni meno eterogenee, incentrate quasi esclusivamente sulla criptovaluta in sé e la sua facilità d’uso nel mondo e nell’economia reali.

Quale delle due impostazioni verrano premiate di piu’ dalla storia?

La guerra fredda finanziaria continua e fa nuove vittime

Non è nostra abitudine occuparci di fatti di cronaca. Lo facciamo solo se si tratta di argomenti necessari per avere il polso dell’economia globale.

Non c’è dubbio che la guerra finanziaria tra Londra e Beijing sia uno di questi argomenti.

Ecco perché dobbiamo per forza occuparci della notizia del giorno, cioè dell’affondamento del panfilo Bayesan e la morte di alcuni dei suoi piu’ illustri occupanti, dal momento che si tratta dell’ultimo dei colpi bassi di questa disputa ormai portata ai livelli sanguinosi di una guerra fredda tipo anni ’80.

In questo articolo di maggio scorso, avevamo raccontato quella che allora era l’ultima tappa di questa guerra: l’arresto in UK di tre presunte “spie” legate alla Cina, una delle quali uccisa poco tempo dopo.

Dopo di allora, altri due eventi si sono aggiunti al puzzle, ossia, una diecina di giorni dopo, l’affondamento del Good…uria sul Lago Maggiore e, circa due mesi dopo, l’affondamento del Bayesan in Sicilia.

Tralascio di raccontare i dettagli sulle vittime e tutto ciò che è già ampiamente noto dei due incidenti. Mi limito a mettere in relazione tutti questi fatti per rendere sempre piu’ completo lo schema mentale che dobbiamo farci di questa guerra.

Anzitutto, invito il lettore a consultare la sezione “Dedollarizzazione e mondo multipolare” di questo blog e leggere tutti gli articoli relativi alla disputa fra Londra e Beijing sul controllo del prezzo dell’oro.

La perdita, da parte di Londra e New York, della possibilità di manipolare a ribasso il prezzo dell’oro e la conseguente presa di controllo della Cina su questo metallo è infatti a mio avviso un evento di grande importanza per il futuro finanziario del pianeta.

La risposta angloamericana a questa sonora sconfitta è senz’altro l’affondamento delle piazze finanziarie cinesi, che avviene in due modi:

da una parte, la sottrazione di liquidità occidentali da quelle piazze finanziarie.

Dall’altra, l’organizzazione di provocazioni, campagne di diffamazione, danneggiamenti e omicidi nei confronti dei rappresentati e degli uffici occidentali di tali piazze.

Il nostro già citato articolo di maggio parla proprio della seconda di queste strategie.

La prima invece, ossia l’esodo dei capitali occidentali da Hong Kong e Shanghai è un fatto ampiamente noto e documentato anche nei media finanziari ufficiali. L’ultimo dei grafici che abbiamo pubblicato pochi giorni fa su Telegram lo mostra chiaramente :

La curva rossa, indicante i flussi di capitali occidentali investiti nei titoli quotati allo Shanghai Composite Index, mostra che tali capitali si sono dileguati e hanno raggiunto un flusso negativo, cioè i deflussi non vengono piu’ compensati da nuovi afflussi.

Ora, contrariamente alla Russia, la Cina ha un’economia in cui la parte finanziaria ha un peso rilevante sull’economia reale.

D’altro canto però, la finanza cinese non ha ancora la liquidità, la raffinatezza e l’ampia gamma di strumenti di quella occidentale. Perciò la perdita di capitali esteri ha un impatto notevole sulla capacità di adottare gli stessi strumenti finanziari che in occidente vengono usati per sostenere l’economia reale.

Per non parlare del fatto che, ultimamente, i grandi fondi di investimento occidentali stanno sottraendo liquidità non solo alle borse e ai titoli, ma direttamente all’economia reale, disinvestendo le loro partecipazioni a società e progetti cinesi.

E’ questo il quadro entro cui va contestualizzata l’eliminazione diretta di importanti elementi dei servizi segreti occidentali che la Cina ha effettuato per rappresaglia, mettendo a segno i due importanti affondamenti di imbarcazioni nelle acque italiane.

Per quanto riguarda il Bayesan, bisogna tenere presente che ormai non è piu’ possibile per giornalisti o analisti esterni ricostruire l’esatta dinamica dell’evento.

Infatti ai sopravvissuti, che potrebbero fornire testimonianze dirette sui fatti, è stato imposto il silenzio stampa, mentre dai video satellitari in dotazione dei servizi metereologici, che potrebbero mostrare le reali condizioni meteo durante l’affondamento, sono state cancellate le immagini precedenti, contemporanee e seguenti l’affondamento.

Dovremo quindi accontentarci della ricostruzione che prima o poi ci verrà fornita dalle autorità o dalla magistratura, sulla cui discutibile affidabilità abbiamo avuto, negli ultimi 70 anni, migliaia di esempi negativi, sia in Italia che all’estero.

Personalmente, tra le ipotesi degli esperti del settore, quella che piu’ mi sembra plausibile è l’hackeraggio dei sistemi elettronici del panfilo, che avrebbe potuto provocare l’apertura indesiderata di tutti i punti d’ingresso necessari ad imbarcare l’acqua che, nei 16 minuti in cui sembra si sia consumata la tragedia, ha provocato l’affondamento dell’imbarcazione.

Tendo ad escludere sia l’argomento complottista del “raggio laser”, sia quello mainstream del dolo intenzionale o dell’apertura avventata dei portelli da parte del capitano, considerato un esperto del settore e con una reputazione difficile da intaccare.

Ad ogni modo, quello che ci interessa di piu’ è il fatto che, se si inserisce l’incidente in uno schema piu’ ampio di eventi, esso assume molto piu’ senso di quanto non appaia dalle notizie decontestualizzate dei media.

L’aumento, in un lasso di tempo cosi’ breve (da maggio ad agosto), di crimini legati ai servizi segreti occidentali non può essere una coincidenza ed è già di per sé una chiara indicazione:

il primo di questi eventi, di cui ci siamo occupati a maggio, ci aveva fatto capire che la guerra finanziaria era ormai diventata appannaggio dei servizi segreti e non era piu’ limitata ai consueti crimini finanziari, quali la manipolazione dei prezzi e dei capitali.

L’affondamento del Good…uria sul Lago Maggiore, ci ha poi fornito utili indicazioni sul fatto che i flussi di capitali legati al traffico di droga (in particolare quelli provenienti dal Kosovo, il piu’ importante snodo della droga in Europa) hanno per l’occidente la stessa importanza dei flussi finanziari normali e sono stati inseriti in un’unica strategia di preservazione della liquidità dalle minacce dei paesi “nemici” (è noto che le “spie” uccise in quell’incidente stessero pianificando azioni in Kosovo).

Infine, l’affondamento del Bayesan sembra essere una disperata rappresaglia dimostrativa con cui i Cinesi hanno deciso di vendicarsi della grave emorragia di capitali che sta mettendo a dura prova la loro economia.

Contrariamente a quanto dicono i complottisti, l’economia cinese è ancora basata sull’essere un contrappeso commerciale e finanziario di quella occidentale.

L’economia “multipolare” che ci si auspica venga instaurata dai BRICS o dalla SCO è ancora in uno stato embrionale ed è del tutto insufficiente a sostenere un paese commercialmente aperto e globalizzato come la Cina.

Vedersi escludere ogni giorno di piu’ dalla cooperazione con l’occidente dev’essere fonte di grande stress e agitazione per le autorità cinesi.

Lo stesso stress che Londra, dal canto suo, prova nel veder ridurre in modo crescente la sua centralità finanziaria, che era ormai l’unico aspetto in grado di tenere ancora in piedi la sua economia, sempre piu’ inutile e marginale nel mondo.

Questi due paesi dunque stanno scaricando l’uno sull’altro la loro disperazione in attentati e ritorsioni sempre piu’ efferati e plateali.

Tale rivalità contribuisce a peggiorare i rapporti già di per sé molto precari fra tutti gli altri paesi e accelera la fine della globalizzazione, questo processo storico-economico di grande portata e dagli esiti imprevedibili che andrebbe studiato in modo imparziale, lontano dalle semplificazioni dei “complottisti” e dei media ufficiali, per capire prima degli altri i nuovi trend dell’economia.

Noi continueremo a farlo su questo blog e sulla nostra pagina Telegram.

Una causa economica fondamentale di questo crash di borsa

Il recente sell-off di tutte le borse e tutti gli asset ha diverse cause occasionali che riguardano la geopolitica, il mercato dei derivati, la stagionalità, ecc. Tutte cose che hanno la vita breve di un titolo di media o di social.

Quando ci sono questi crash bisogna invece chiedersi se ci sono cause economiche reali da tenere presente, dal momento che nel medio-lungo termine, sono queste le sole che contano.

Il forte ribasso di questi giorni ha in effetti una causa economica importante, che deriva dalla recente decisione della Banca del Giappone di aumentare i tassi di interesse dello 0,25%.

Anche se l’aumento deciso da questa banca centrale può sembrare irrisorio, esso ha un grande impatto sui mercati globali, in particolare sulla comune strategia di carry trade sullo yen usata dai gestori dei fondi e dei grandi capitali.

Cosa vuol dire?

Il carry trade sullo yen è una strategia in cui gli investitori prendono in prestito yen a bassi tassi di interesse per investire in asset ad alto rendimento denominati in altre valute.

Dal momento che è molto usata, questa strategia è stata finora una fonte significativa di liquidità per i mercati globali, comprese le criptovalute.

Con l’improvviso rafforzamento dello yen, le posizioni aperte col carry trade hanno iniziato ad andare velocemente in perdita, costringendo molti traders a liquidarle, determinando un effetto a cascata su varie classi di asset.

Gli effetti a catena di questo cambiamento di politica giapponese sono stati drammatici. L’indice Nikkei 225 giapponese è crollato del 12,4%, segnando la sua peggiore sessione dal 2011. La turbolenza in una delle più grandi economie del mondo ha contribuito in modo significativo all’incertezza del mercato globale.

Le prime a subire forti ribassi in borsa sono state le banche, sia asiatiche che occidentali.

Infatti l’aumento dei tassi sullo yen ha provocato una conseguente riduzione di liquidità soprattutto nelle banche giapponesi, che detengono la maggior parte dei titoli di debito del loro paese.

In queste banche potrebbe quindi prodursi lo stesso effetto che abbiamo visto nel 2022 su alcune banche americane di medie dimensioni, quando i titoli di stato detenuti in bilancio hanno iniziato ad andare in perdita, esponendo quelle banche a potenziali crisi di liquidità in caso di eventuali “bank run” da parte dei loro clienti.

Il rischio di possibili crisi bancarie in Giappone simili a quelle americane del 2022 ha ovviamente contagiato le banche di tutto il resto del mondo, che detengono quantità variabili di titoli giapponesi.

La conseguente caduta in borsa dei titoli bancari ha fatto capire agli investitori che c’è un possibile rischio di liquidità e una debolezza del sistema finanziario globale, dovuto al fatto che ora tale sistema deve riposizionarsi cercando altre fonti di liquidità da sostituire con quella denominata in yen.

Anche se questa è senza dubbio una tipica causa economica reale e fondamentale della caduta di tutti gli asset, dobbiamo dire che non è un fattore di lungo termine.

Infatti la caduta del Giappone avviene in controtendenza rispetto alle economie occidentali che stavano già tornando a politiche di espansione della liquidità.

Anzi, è probabile che questo incidente non faccia che accelerare l’inversione di marcia del sistema occidentale da politiche di alti tassi verso politiche di bassi tassi.

Col senno di poi, non escludo che vi sia stato persino un accordo fra le banche centrali, in base al quale la banca centrale giapponese, che avrebbe dovuto già da tempo iniziare ad alzare i tassi, abbia ritardato questa decisione proprio per non appesantire, con lo shock di liquidità che ne sarebbe seguito, le già difficili conseguenze dei rialzi effettuati dalle banche occidentali tra il 2022 e il 2023.

Il fatto che lo “shock” proveniente dal Giappone sia stato ritardato in modo da avere luogo in questa fase successiva in cui tutto il sistema finanziario sta già recuperando liquidità, certamente ne limiterà gli effetti negativi e, come ho detto, forse spingerà alcuni paesi ad accelerare il passo dell’allentamento monetario creando nel medio termine una inversione della tendenza ribassista nei mercati.

E’ guerra fra Londra e Hong Kong per il dominio finanziario

Dopo una discesa costante di circa il 50% dai massimi del 2021 (retta rossa), l’indice Hang Seng della borsa di Hong Kong, ha recentemente registrato un rally per 10 giorni consecutivi (cerchio verde):

Dal 1970 a oggi un rally del genere si è verificato solo 12 volte.
E le serie storiche mostrano che in media, in queste 12 volte, dopo il primo rally, l’indice è salito di un ulteriore 23%. Inoltre, nei dodici mesi successivi, l’indice è rimasto in bull trend l’84% delle volte.

Anche la borsa della Cina continentale è in bull trend, ma non cosi’ pronunciato.
Chissà cos’è che stavolta spinge cosi’ forte Hong Kong…forse quegli Etf spot in bitcoin ed ethereum da poco approvati?

Sia come sia, questo indice sarebbe di norma un argomento per i nostri articoli gratuiti che inviamo via email agli iscritti di Segnali di Borsa, dove segnaliamo ogni tanto dei trend su cui può essere interessante investire.

Invece stavolta abbiamo deciso di parlarne qui, dove solitamente trattiamo argomenti di natura economica e politica piu’ generali.

Come mai?

Il motivo è che l’indice Hang Seng si trova nel bel mezzo di una guerra senza esclusione di colpi tra la finanza occidentale e quella cinese. Per cui, no…in questa fase investire in questo indice non è particolarmente raccomandato.

Cliccando sulla categoria “Dedollarizzazione e mondo multipolare” nella home di questo blog, troverete un bel pò di articoli che raccontano la crescente rivalità tra New York e Londra, le principali piazze finanziarie occidentali, contro lo Shanghai Gold Exchange per il controllo dei metalli preziosi.

In questo articolo purtroppo dobbiamo registrare un allargamento di questa rivalità e un innalzamento del livello dello scontro fino all’omicidio.

Ma andiamo per ordine…

Qualche settimana fa, Mark Clifford e Mark Sabah, presidente e direttore del CFHK (Commitee for Freedom in Hong Kong, una delle tante associazioni di ingerenza internazionale statunitense) hanno visitato il parlamento italiano per una sessione di “indottrinamento” dove hanno descritto le motivazioni del Comitato e le loro attività in corso, tra le quali è stato citato esplictamente il ridimensionamento di Hong Kong come centro finanziario globale.

Quindi ora sappiamo che il Commitee for Freedom di Hong Kong è una associazione anglo-americana che, per sua stessa ammissione, è implicata nella guerra finanziaria che Cina e occidente hanno intrapreso in questi anni.

Tra gli obiettivi specifici di questa guerra, sempre secondo i due rappresentanti del Comitato in visita in Italia, c’è anche la chiusura degli uffici di rappresentanza finanziaria di Hong Kong nei paesi occidentali.

Sappiamo che Hong Kong è uno degli ultimi avamposti della defunta “globalizzazione” dove è ancora possibile il trasferimento di asset dall’occidente all’oriente e viceversa.

…Ad esempio, tutto l’oro che i Cinesi stanno accumulando dai paesi occidentali e con cui stanno prendendo il controllo di questo asset, transita da Hong Kong…

Questa isola di globalismo quindi è come una ferita ancora aperta dove, nella visione paranoica delle élites occidentali sempre piu’ bellicose, il “sangue occidentale” continua a defluire verso il “dracula” orientale.

Quindi la ferita deve essere chiusa al piu’ presto e a qualsiasi costo…anche a costo cioè di perseguitare personalmente i rappresentanti di Hong Kong all’estero.

Tutto questo ci fornisce in modo chiaro, senza bisogno di scomodare alcuna “teoria complottista”, il motivo per cui, il 13 maggio scorso, in Gran Bretagna Bill Yuen, Peter Wai e Matthew Trickett sono stati accusati di “spionaggio a favore del governo di Hong Kong”.

Non a caso, i primi due, Bill Yuen e Peter Wai, lavorano per l’Ufficio economico e commerciale di Hong Kong a Londra!

I tre erano stati accusati, nello specifico, di aver raccolto informazioni sui separatisti e gli attivisti, viventi in UK, che avevano svolto un ruolo centrale nel tentativo di rivoluzione colorata del 2019-20 a Hong Kong e che erano fuggiti dalla città per sottrarsi alla giustizia cinese.

Dopo l’arresto, i malcapitati erano stati rilasciati su cauzione; quando poi, 7 giorni fa, uno di loro, Matthew Trickett, è stato trovato morto in un parco.

Trickett non lavorava nel settore finanziario. Era un ex militare della Royal Marine che, a differenza di Bill Yuen e Peter Wai, cittadini sino-britannici, aveva solo cittadinanza britannica.

Queste accuse di “spionaggio”, che siano fondate o meno, si inseriscono molto bene, per la tempistica della loro esecuzione, allo scopo che abbiamo detto, cioè quello di fare pressioni sui governi occidentali affinché chiudano le rappresentanze ufficiali di Hong Kong all’estero.

L’omicidio è solo la ciliegina sulla torta di questa guerra politico-finanziaria.

L’ambasciata cinese a Londra ha ovviamente presentato severe rimostranze alla Gran Bretagna.

Ma sta di fatto che la rivalità economica fra oriente e occidente sta passando velocemente alla modalità di guerriglia tra servizi segreti, esattamente come le altre guerre che oriente e occidente hanno intrapreso e che ogni tanto fanno saltare fuori qualche omicidio nei titoli dei media.

Benvenuti nella nuova guerra fredda 2.0!

Telegram sfida il controllo delle élites sui nostri soldi

Il “caso” Telegram è uno dei piu’ emblematici per capire le opportunità, ma anche le distorsioni e le ambiguità che le nuove tecnologie offrono riguardo alla privacy e alla libertà finanziaria delle persone.

Telegram è indubbiamente l’unico fra i grandi social a garantire ancora un livello elevato di privacy.

Diversamente dalle altre app di messaggistica sociale, Telegram dà priorità alla privacy, con funzionalità come messaggi “a scomparsa” e la possibilità di usare i nomi utente al posto dei numeri di telefono. Gli utenti possono persino creare chat segrete che non possono essere individuate, dando così il controllo sulle conversazioni.

Non stupisce quindi che la quasi totalità dei canali di informazione indipendenti oggi viaggiano su questo medium.

Bisogna però sempre tenere presente che si tratta di un sistema centralizzato, cioè controllato dai suoi fondatori, i due fratelli di origine russa Nikolai e Pavel Durov, le cui opinioni personali, le cui esigenze di profitto e le inevitabili negoziazioni con entità regolatorie influenzano la tenuta di questa privacy.

Dei due fratelli, Nikolai è il genio che sviluppa in concreto tutti gli strumenti e le funzionalità di Telegram, mentre è Pavel che detta le politiche di questo servizio. Quindi vale la pena tracciare un brevissimo ritratto di quest’ultimo, per cogliere tutte le sfumature gestionali, ideologiche ed economiche che stanno dietro a questo, come a tutti gli altri social, e che normalmente non sono note agli utenti.

Come sempre nei nostri articoli, noi non prendiamo posizioni politiche, quindi mi limito a descrivere oggettivamente il pensiero e l’azione di Pavel senza giudicare.

Dal punto di vista ideologico, se cosi’ possiamo dire, Pavel è un libertario convinto, quindi un fautore della privacy e della libertà individuale.

D’altra parte, però, Pavel è principalmente un imprenditore. E come tale ha necessità di fare parte di una rete sociale che protegga e faccia sviluppare i suoi affari.

Nel capitalismo moderno, l’accumulazione del capitale non è piu’ un’impresa solitaria e individualistica (se mai lo è stata in passato), ma viene preferibilmente subordinata a un quadro di riferimento sociale che fornisca una giustificazione morale, un modello di sviluppo e una capacità di negoziazione politica al singolo imprenditore.

Ai nostri tempi, il quadro di riferimento piu’ importante per molti imprenditori è senz’altro quello del World Economic Forum, che raccoglie politici, imprenditori, intellettuali, economisti, ecc., non necessariamente portatori delle stesse ideologie o degli stessi ruoli sociali.

Uno dei fattori (non certo l’unico) del successo del World Economic Forum è la semplicità della sua proposta ideologica, basata su temi molto generali (il clima, il gender, ecc.), che permette ai suoi membri di farne parte senza entrare in conflitto con i diversi ruoli e le svariate idee personali che essi professano all’esterno.

Questa genericità ideologica ha comunque i suoi limiti e non è certo un passpartout sociale che dia una completa impunità alle aziende e le attività dei suoi membri.

Le normali frizioni tra pubblico e privato o tra autorità regolatorie e imprenditori sono sempre possibili, anche per chi fa parte di questo “club”.

Pavel Durov ad esempio, pur essendo uno dei paladini del “club”, ha dovuto sostenere nel 2019 uno storico contenzioso legale con la SEC americana, a causa del lancio di GRAM, una criptovaluta della nuova blockchain di Telegram chiamata TON.
E qui veniamo all’argomento principale di questo articolo

La causa con la SEC non riguardava tanto GRAM in sè, ma la sua vendita attraverso una ICO, ritenuta illegale in quanto Gram non era stata preventivamente registrata alla SEC come titolo scambiabile.

Nel 2020 Durov patteggiò una multa salata e la restituzione dei proventi dell’ICO ai suoi sfortunati partecipanti.

Il giudice inoltre stabili’ che Durov avrebbe dovuto informare la SEC nel caso gli fosse venuto in mente di lanciare qualche nuova criptovaluta, ma solo fino a una scadenza temporale definita, ossia tre anni.

Ora, nel 2023, appunto dopo i tre anni stabiliti, cosa ha fatto Durov? Ha lanciato una nuova criptovaluta, di cui parleremo qui di seguito…

La nuova cripto si chiama Toncoin (TON) e funge da moneta di scambio per usufruire delle decine e decine di funzionalità che stanno fiorendo su Telegram.

Di recente, ad esempio, Telegram ha aggiunto una nuova funzionalità che consente agli utenti di acquistare spazi pubblicitari utilizzando TON e trattenere il 50% delle entrate pubblicitarie generate dai loro canali, che complessivamente vantano oltre un trilione di visualizzazioni mensili.

Questo modello di condivisione delle entrate rappresenta un punto di svolta, offrendo ai creatori un modo tangibile per trarre vantaggio dal successo della piattaforma ed è in netto contrasto con le altre principali app di messaggistica e persino con le piattaforme di social media, che in quanto a monetizzazione delle loro attività sono all’età della pietra, per non parlare dell’integrazione delle criptovalute nei loro sistemi.

Inoltre, sulla rete TON si stanno costruendo promettenti applicazioni decentralizzate, come W3BFLIX, un servizio di streaming e una piattaforma di crowdfunding cinematografico con l’obiettivo di diventare il Netflix di Telegram.

Man mano che l’ecosistema di Telegram fiorisce e si impone come un immenso universo parallelo fra il suo quasi miliardo di utenti attivi mensili, Toncoin è ben posizionata per diventare un attore importante e permanente nel mercato delle altcoin.

Ma, ecco forse il passo piu’ lungo della gamba che a un certo punto potrebbe rimettere Telegram e la sua blockchain nel mirino dei regolatori…

Di recente, Durov ha inserito nella sua blockchain una ben nota cripto, anzi una stablecoin: nientemeno che USDT.

Questa implementazione consente facili e istantanei pagamenti transfrontalieri gratuiti in dollari, cioè in USDT, all’interno delle chat.

Comprensibilmente, questa possibilità sta già attirando un numero spropositato di utenti.

Infatti, in meno di un mese dal lancio, gli USDT circolanti su Toncoin hanno già raggiunto i 200 milioni di dollari…
…Si tratta perciò del lancio a crescita piu’ rapida nella storia di USDT.

E considerando che USDT è praticamente il “dollar standard” del sistema cripto globale, cioè, detto in una sola frase, la valuta su cui si regge tutto il mercato cripto, le dimensioni di questo flusso di capitali potrebbero raggiungere velocemente il livello al quale attireranno l’attenzione, non solo dei regolatori americani e dell’Unione Europea (che, ricordiamolo, tenta di mettere al bando USDT fra i paesi membri), ma anche delle grandi banche sistemiche che, come spiegato in questo articolo, sono impegnate in una guerra senza esclusioni di colpi col fintech per la conquista del traffico dei pagamenti digitali del futuro.

A questo punto l’establishment si troverebbe di fronte a un dilemma.

Da un lato, Telegram, per la sua enorme diffusione e la sua facilità d’uso, sarebbe uno strumento eccezionale per il progetto di dollarizzazione digitale americano che, come ormai è sempre piu’ evidente, dovrà appoggiarsi ai privati e non a qualche struttura governativa centrale in stile cinese.

Dall’altro però, la possibilità di pagamento istantaneo tra account quasi del tutto anonimi, come sono quelli tipici di Telegram, viene vista come una minaccia alle capacità di controllo delle élites sulle transazioni. E questo, in una “economia di guerra”, è semplicemente inammissibile…

Come andrà a finire questa volta?

Il governo americano riuscirà a imporre una riduzione della privacy su queste transazioni?

L’Unione Europea metterà al bando Telegram?

La risposta non è semplice.

Solo il tempo potrà darci delle risposte.

Nel frattempo però, teniamo presente queste criticità quando consideriamo TON come possibilità di investimento.

Dal punto di vista economico, TON diventerà la moneta di scambio di decine di servizi utilizzati da milioni di persone. Quindi si tratta dell’investimento del secolo, per chi investe nel mondo cripto.

I possibili attacchi politici su Telegram o su Pavel Durov d’altra parte, potrebbero provocare notevoli periodi ribassisti su questa valuta.

Personalmente, quando la politica ci si mette di mezzo, rinuncio all’investimento. Ma si tratta di un’opinione strettamente personale…

Perché maggio è cruciale per la legislazione cripto in America

Il 16 maggio la maggioranza dei legislatori del Senato degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione congiunta che chiede alla Securities and Exchange Commission (SEC) di eliminare una norma che non piace alle banche che fanno affari con società di criptovalute.

Cosa dice questa norma?

La norma della SEC, inclusa nel Bollettino contabile n. 121., imporrebbe alle banche di collateralizzare le risorse digitali dei loro clienti con un capitale di adeguato valore. In sostanza, le cripto dei clienti, anziché essere a carico dei clienti stessi, diventerebbero una responsabilità della banca.

Questo trattamento differisce da quello riservato a tutti gli altri asset che i clienti normalmente depositano nelle banche, come titoli di borsa, obbligazioni, derivati, ecc., per i quali le banche non sono certo tenute a fornire garanzie a collaterale.

A cosa serve davvero la norma della SEC

Prima di andare oltre, chiariamo subito una cosa: la norma della SEC non serve a proteggere gli investitori, come viene detto ufficialmente.

Facciamo un esempio.

Se io deposito 1 bitcoin dal valore di 70.000 dollari nel mio conto bancario, secondo la regola della SEC la banca dovrebbe aggiungere nel proprio bilancio una somma a collaterale, diciamo 50.000 dollari.

Ma se fra tre anni, al termine del ciclo rialzista attuale, 1 bitcoin scende a 20.000 dollari, non è che la banca mi restituisce 50.000 dollari per compensarmi della perdita di valore del mio bitcoin.

Non è che sul mio conto magicamente il valore del mio bitcoin tornerà a 70.000 euro…

La mia perdita resta, e non c’è niente che la banca possa fare.

L’unica differenza sarà che per quell’anno la banca potrà portare in bilancio una somma piu’ bassa a collaterale del mio bitcoin, ossia, ad esempio, 10.000 dollari invece dei 50.000 di oggi.

Tutto qui.

Allora, qual è lo scopo di questa norma?

A mio avviso, gli scopi sono almeno due:

  • Rendere oneroso per le banche gestire i depositi in cripto per i loro clienti, spingendole a promuovere gli asset “tradizionali” invece dei servizi cripto.
  • Ridurre i picchi a rialzo dei cicli quadriennali di bitcoin (che a mio avviso sono quasi del tutto creati a tavolino), in quanto le banche, per non aumentare a dismisura le somme da mettere a collaterale, potrebbero essere motivate a ridurre le manipolazioni a rialzo di questa valuta.

Una vittoria delle lobby bancarie contro la SEC

Come abbiamo detto però, questa norma per ora non vale piu’, perché sia la Camera che il Senato l’hanno annullata.

Per ammissione di una senatrice, Maxine Waters, l’opposizione a questa norma è stata sponsorizzata soprattutto dalle lobby delle grandi banche, come la American Bankers Association, il Bank Policy Institute, il Financial Services Forum e la Securities Industry and Financial Markets Association.

Inutile dire come ciò confermi il fatto che il processo di accentramento del mercato cripto nelle grandi banche americane, che abbiamo descritto tante volte (ad esempio qui), sia ormai un fatto compiuto.

Le grandi banche dunque sono le prime ad avere interesse a difendere le cripto.

E in effetti le lobby bancarie al Congresso hanno fatto un buon lavoro, visto che la risoluzione di annullamento è passata il 16 maggio con schiacciante maggioranza: 60 a 38.

Tale maggioranza è stata possibile per il fatto che democratici e repubblicani, come raramente accade, hanno votato congiuntamente. Infatti, del 60% dei votanti favorevoli, il 51% era democratico e il 49% repubblicano.

Una legge completa ed esaustiva sulle cripto oggi è piu’ vicina che in passato

Come affermato dalla senatrice Cynthia Lummis, è stata la prima volta che questa sessione del Congresso ha approvato una “legislazione autonoma sulle criptovalute”.

Questo dimostra il fatto che la lobby cripto in America (alla quale appunto si è aggiunta quella delle grandi banche) ha fatto passi da gigante negli ultimi anni e possiede ormai una solida rappresentanza in entrambi gli schieramenti del Congresso. Al punto che se venisse finalmente discussa una legge seria e onnicomprensiva sulle cripto, come da tempo auspicato dagli operatori del settore, questa avrebbe buone possibilità di essere approvata.

E in effetti negli USA un disegno di legge sulle criptovalute c’è, si chiama “Financial Innovation and Technology for the 21st Century Act”, ha iniziato il suo iter legislativo nel luglio 2023 e dovrebbe essere presentato alla Camera per la votazione proprio questo mese.

Il disegno di legge, oltre a porre fine al decennale vuoto legislativo che ha favorito il far west regolatorio che abbiamo tante volte raccontato nei nostri articoli, chiarirebbe anche i ruoli che la SEC e la Commodity Futures Trading Commission avrebbero nella regolamentazione degli asset digitali.

Lo strapotere della SEC, che in questo settore si è ritagliata abusivamente la funzione di organo legislativo privo di mandato elettorale, avrebbe finalmente una conclusione, mentre il Congresso si riprenderebbe la legittima funzione di rappresentanza che le era stata sottratta per anni dallo pseudo dittatore Gensler.

Tutto questo quindi potrebbe avverarsi, se l’alleanza tra democratici e repubblicani riuscirà a reggere lungo tutto l’iter di approvazione del disegno di legge che abbiamo detto.

C’è un ultimo aspetto però.

A rovinare questo “happy end” potrebbe mettersi di traverso la Casa Bianca…

Biden farà tornare l’America ancora una volta nel far west?

Infatti, quando l’8 maggio scorso il Senato iniziò a discutere la risoluzione da poco approvata, Biden dichiarò che l’avrebbe bocciata.

Finora, però, dopo 4 giorni dall’approvazione del Senato, la Casa Bianca non ha ancora rilasciato una dichiarazione.

Non sappiamo quindi cosa deciderà di fare il Presidente…

Forse sulla decisione di Biden iniziano a pesare le ultime dichiarazioni pro cripto fatte da Trump.

Come sappiamo, Trump ha detto che chi è favorevole alle cripto dovrebbe votare per lui.

Ora, è evidente che la forza elettorale di questa posizione dura finché permane in America il vuoto legislativo e il relativo far west che motiverebbe le lobby bancarie e pro cripto a votare “l’uomo del destino” che promette di porre fine a tutto questo.

Se al contrario il Congresso votasse il “Financial Innovation and Technology for the 21st Century Act” prima delle elezioni, la posizione pro cripto di Trump diventerebbe un’arma spuntata, perché l’aspirazione a un quadro legislativo che ponga fine all’anarchia regolatoria sulle cripto verrebbe soddisfatta e quindi non sarebbe piu’ necessario votare “l’uomo del destino”.

Chissà se l’entourage di Biden conserva ancora quel numero minimo di neuroni necessario a capirlo…

Limiti e rischi del progetto di euro digitale al di là dei miti complottisti

Il progetto di euro digitale pensato dalla UE è rimasto l’unico in occidente ad avere ancora l’ambizione di essere davvero realizzato.

Il Consiglio Direttivo della BCE ha infatti stabilito una roadmap in due fasi che dovrebbe portare all’adozione definitiva abbastanza presto, tra il 2025 e il 2026.

Al confronto, il progetto americano di CBDC, di gran lunga il piu’ importante per l’occidente, si sta sempre piu’ ridimensionando entro uno schema in cui verranno implicate le stablecoin private, invece di un token digitale sviluppato dalla Federal Reserve. Inoltre gli Stati Uniti non si sono ancora impegnati in una roadmap pubblica di implementazione di tale progetto con tanto di date e scadenze precisi, come invece è il progetto di CBDC europea.

Perché l’euro digitale della BCE sembra cosi’ facile e veloce da implementare, rispetto ai progetti delle altre banche centrali?

Per capire come mai l’UE, al contrario degli USA, sia capace di fornire scadenze precise e di garantire una implementazione cosi’ veloce a una CBDC europea, dobbiamo prima capire le caratteristiche principali che dovrebbe avere una vera CBDC e i motivi per cui la complessità di tali caratteristiche ne sta ostacolando finora una implementazione veloce.

L’anno scorso la Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS, detta anche la “banca centrale delle banche centrali”) ha pubblicato uno studio che ridimensiona la portata e l’efficacia delle CBDC.

E la settimana prima di quello studio, il capo della BIS in persona, Augustin Carstens, in un discorso alla Banca Centrale Coreana, riassumeva molto chiaramente sia lo schema di sviluppo delle CBDC che la loro reale fattibilità (o meglio, “infattibilità”) nelle condizioni attuali.

Leggendo queste preziose informazioni, per la verità molto esaustive e trasparenti, della BIS e del suo Presidente, veniamo a scoprire una caratteristica fondamentale che la BIS giustamente richiede a qualsiasi stato o banca centrale che voglia implementare una CBDC.

La struttura bipartita di una vera CBDC è diversa da quella della “strana” CBDC europea

Una CBDC  che possa davvero essere riconosciuta dalla BIS come legittima, dovrebbe avere due strutture parallele: la CBDC vera e propria detenuta dalla banca centrale e il token che rappresenta i soldi nei depositi delle banche commerciali. Lo spiega in modo schematico e semplice lo stesso capo della BIS qui.

Il motivo di questa bipartizione è semplice, ma cruciale. Essa serve a non escludere le banche commerciali dal nuovo sistema.

Già questa semplice informazione fa giustizia delle tante sciocchezze diffuse dai canali complottisti secondo cui le CBDC sancirebbero la fine delle banche

La BIS ci aveva già pensato e ha già adottato le misure necessarie perché ciò non accada…

Nel sistema di CBDC pensato dalla BIS, le banche continueranno a gestire, anche se digitalmente, le transazioni del corpo sociale tramite una tokenizzazione dei loro depositi.

La CBDC della banca centrale dovrà poter dialogare con questo token bancario, in modo da integrare le transazioni bancarie e quelle gestite direttamente dalla banca centrale.

Ora, ecco la prima importante divergenza tra questa regola cruciale della BIS e il progetto europeo…

La CBDC europea non ha questo requisito fondamentale, perchè prevede la sola CBDC, senza una digitalizzazione dei depositi bancari.

La “strana” CBDC della BCE non offrirà garanzie di sopravvivenza alle banche?

Se questa divergenza dovesse rimanere, il sistema pensato dalla UE accentrerebbe tutto nelle mani della banca centrale, inaugurando un percorso che porterebbe gradualmente a una sparizione del sistema bancario europeo.

La cosa ha già destato le preoccupazioni dell’autorevole Istituto della Finanza Internazionale, il think-tank bancario piu’ importante al mondo, che annovera tutte le banche principali, soprattutto occidentali.

Come si legge qui, la BCE vorrebbe ovviare a questo problema stabilendo un tetto all’uso della CBDC.

Perché un tetto alla CBDC dovrebbe essere un argine a questo problema?

Perché in tal caso, l’euro digitale verrebbe usato solo per una classe molto ristretta di pagamenti, ad esempio quelli per ottenere documenti, pagare le tasse, ecc., restando quindi una valuta complementare – diciamo pure, marginale – che non sostituirebbe l’euro elettronico che tutti noi usiamo oggi.

La stessa marginalità della CBDC quindi garantirebbe la sopravvivenza del sistema euro in generale, che resterebbe com’è ora, quindi con le banche al centro delle operazioni.

Questa marginalità spiega anche il motivo per cui la BCE, a differenza delle altre banche centrali, sia capace di portare a termine tale progetto in tempi cosi’ brevi e con una road map abbastanza precisa: è ovvio, trattandosi di una CBDC in scala ridotta, non implica tutti i problemi geopolitici, tecnici, finanziari che avrebbe una vera CBDC.

Un conto è produrre una bicicletta, un altro è produrre una Maserati. E’ naturale che la prima sia piu’ semplice e veloce da fare…

La “strana” CBDC europea escluderà VISA e Mastercad dall’Europa?

Ma la soluzione della marginalità non è una panacea che risolve tutti i problemi. Al contrario, ne porta con sé altri che riguardano anche le banche, ma non solo…

Nel già citato studio, l’Istituto della Finanza Internazionale nota come la BCE non abbia sufficientemente tenuto in considerazione i costi significativi che i fornitori di tali servizi interni all’UE, come i fornitori di servizi di pagamento e le banche, dovranno sostenere ad esempio per la connessione e il mantenimento dell’integrazione con il registro CBDC e lo sviluppo di portafogli per gli utenti finali. Tanto piu’ che il progetto di legge impone alle banche di fornire servizi gratuiti agli utenti finali.

Se il sistema resterà davvero cosi’, dal lato delle entrate ci saranno limiti alle commissioni e alle spese di transazione. E ciò potrebbe pesare, non tanto sulle banche, che hanno altre entrate, ma sui servizi di pagamento, che si ritroveranno privi di entrate sufficienti.

Questi ultimi di fatto si trasformerebbero in un società pubblico-private bisognose di continue sovvenzioni.

L’IIF sospetta che queste strane imposizioni facciano pensare che la BCE voglia in realtà escludere gli operatori VISA e Mastercard dalla scena europea per lasciare campo libero solo a ben selezionati operatori locali del tutto asserviti alla banca centrale.

Sembra un pò esagerato? Forse no…

A riprova di ciò, l’IIF rileva infatti che il progetto di legge non prevede restrizioni sulla BCE nel sovvenzionare l’infrastruttura digitale dell’euro.

Ciò vuol dire che gli operatori europei godrebbero di sovvenzioni illimitate, da parte della BCE, a discapito degli operatori internazionali come appunto Matercard e Visa.

(A tale proposito, avete notato anche voi che in alcune autostrade non permetteranno piu’ i pagamenti del pedaggio con Visa e Mastercard? Per giorni mi sono arrovellato per capire il motivo di questa stranezza, ma mentre scrivo questo articolo mi sembra tutto piu’ chiaro…)

L’IIF rileva anche un conflitto d’interessi in un sistema “sovranista” cosi’ concepito, in quanto la BCE stabilisce le commissioni per l’euro digitale e ne è il promotore, mentre allo stesso tempo, ne gestisce i rischi di disintermediazione. Per non parlare del fatto che il progetto non ha stabilito una supervisione indipendente che vigili sul ruolo della BCE in tutto questo.

La “strana” CBDC della BCE sarà un sistema chiuso potenzialmente pericoloso e illegale?

L’euro digitale, con queste premesse, data la sua sostanziale illegalità o almeno non conformità con le regole chiare e trasparenti stabilite dalla BIS e che abbiamo citate all’inizio, probabilmente non sarà interoperabile con paesi fuori UE.

Sembra chiaro quindi che lo scopo dell’euro digitale sia diverso da quello del “dollaro digitale”.

Per la Federal Reserve, lo scopo principale di un dollaro digitale è quello di continuare a difendere la competitività del dollaro rispetto alle valute digitali che verranno diffuse dalla Cina e forse da altri paesi.

La BCE, creando una valuta marginale e priva di interoperabilità con l’estero, non può avere questa stessa motivazione.

Ma allora, perché spendere tutti questi soldi per un progetto che non porta alcun beneficio in termini di competitività monetaria?

E’ evidente che lo scopo è tutto relativo alle esigenze interne di controllo sulla popolazione e sull’economia.

L’euro digitale si profila, almeno finora, come un circuito isolato e marginale, ma non per questo meno pericoloso, rispetto ai progetti degli altri paesi, perché chiuderà i cittadini e le imprese europee in un sistema con “usanze” tutte proprie, diverse dalle regole internazionali condivise e quindi suscettibile di ingiustizie e impunità.

I rischi per la libertà e la privacy dei cittadini in un sistema del genere sono superiori rispetto a quelli di qualunque sistema di CBDC progettato in occidente e somigliano molto al sistema cinese, che non a caso resta anch’esso ancora abbastanza marginale, nonostante sia stato adottato ormai da tre anni.

…Ma il rischio sistemico è dietro l’angolo, ed è peggiore di quello relativo ai diritti individuali

Il progetto europeo di CBDC sta per essere lanciato poi in una fase storica molto particolare, in cui vengono erette sempre nuove barriere economiche che stanno facendo saltare uno dopo l’altro gli equilibri commerciali fra i paesi, provocando a cascata distorsioni economiche, valutarie e politiche che gli stati e le entità soprastatali come l’UE cercano di arginare chiudendosi ancora di piu’.

Non dobbiamo mai dimenticare che uno dei motivi per cui negli ultimi anni le CBDC sono diventate cosi’ desiderabili per i governi è che esse costituiscono un facile strumento per combattere l’inflazione, che è una delle conseguenze piu’ temute di tali distorsioni.

In questo studio ad esempio apprendiamo che basta ridurre del 10% la velocità monetaria (rallentando i consumi e dunque la circolazione della moneta) per ridurre dello 0,6%-1,7% l’inflazione.

Le CBDC, data la loro programmabilità, sono lo strumento migliore per ridurre la velocità monetaria, in quanto permettono di imporre in tempo reale limiti ai consumi e a molti altri usi di una valuta.

Quindi le CBDC sembrerebbero, a prima vista, la soluzione che si presenta al momento giusto…

In realtà, quando l’isolamento crescente e il deterioramento degli assetti economici non permettono soluzioni strutturali all’inflazione, la tentazione di ricorrere alla facile ricetta di imporre limiti alla popolazione (cioè ai cittadini e alle imprese) con le CBDC può solo peggiorare le cose.

Nel tentativo di “metterci una pezza”, i governi potrebbero essere spinti ad adottare misure restrittive sempre piu’ stringenti all’economia, innescando una spirale di decrescita e di caos sociale paragonabile a quella che causò la scomparsa dell’Unione Sovietica.

In conclusione, l’adozione di una CBDC come quella prevista dalla UE non comporta solo i rischi sui diritti individuali già noti e ampiamente descritti dai media indipendenti, ma si configura come una vera e propria bomba economica e sociale capace di riportare uno stato o un’area geografica all’età della pietra.

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