giovedì, Luglio 17, 2025

Perché il dollaro sale dopo il taglio dello 0,25% dei tassi?

La risposta a questa domanda ha implicazioni in tutto il sistema economico e fornisce anche buone ragioni per evitare di investire nel sistema bancario europeo e nella borsa europea, quindi consiglio di leggere attentamente…

Durante la conferenza stampa a seguito dell’incontro del FOMC, al presidente della Fed Jerome Powell è stato chiesto se e quando la Fed avrebbe spinto i tassi di interesse in territorio negativo.

Una volta tanto, Powell non ha girato intorno all’argomento, ma ha dato una risposta netta:

Durante l’ultima crisi finanziaria, avevamo considerato l’ipotesi di arrivare a tassi di interesse negativi, ma abbiamo scelto di non farlo. Dopo aver raggiunto il limite del tasso dei fondi federali vicino allo zero, abbiamo scelto di fare una politica di allentamento aggressiva con acquisti di titoli e obbligazioni su larga scala, ma non tassi negativi.

[…] E se dovessimo trovarci di nuovo in futuro al limite dei tassi federali prossimi allo zero (cosa che non ci aspettiamo che accada) penso che faremo ancora acquisti di asset su larga scala, senza arrivare a tassi negativi.

Come avevamo già detto in questo articolo, i tassi negativi non fanno parte della storia e della mentalità economica americana e quindi la prospettiva di un’area dollaro con tassi negativi è semplicemente un’assurdità. E per ottime ragioni, dal punto di vista americano…

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I tassi di interesse negativi sono peggiori dei tassi di interesse vicini allo zero. Non hanno dimostrato di essere vantaggiosi per l’economia in nessun luogo in cui sono stati attuati e comportano effetti collaterali seriamente distruttivi per le persone e il sistema bancario.

Il motivo per cui una misura così distruttiva viene ugualmente attuata in certi casi è del tutto strumentale.

In Europa, i tassi di interesse negativi in aggiunta al massiccio QE servono da collante per mantenere la coesione fra Paesi che non possono ormai rimanere a galla stampando una moneta propria.

In Svizzera, Danimarca e altri paesi invece, i rendimenti negativi vengono utilizzati come palese manipolazione, per abbassare il costo delle valute nazionali.

Sarebbe allettante e forse facile anche per gli Stati Uniti usare questa misura per migliorare le proprie esportazioni, ma poi ci sarebbe un prezzo da pagare – come possiamo vedere dalle crisi economiche e dal fiasco bancario in Europa e Giappone.

I rendimenti negativi sono stati un duro colpo per le banche europee e giapponesi, che ormai da tempo passano da una crisi all’altra, mentre le loro azioni in borsa oscillano su minimi pluriennali. I rendimenti negativi sono il colpo finale per i sistemi pensionistici, distorcono il valore del rischio nei titoli di borsa, quindi distorcono il costo del capitale e conducono a decisioni aziendali che in condizioni normali sarebbero inutili sprechi e cattivi investimenti.

La Fed è il guardiano delle banche ed è stata creata per le banche. Le 12 banche regionali della Federal Reserve sono di proprietà degli istituti finanziari nei rispettivi distretti. E una politica monetaria che ha già dato prova di danneggiare le banche, minare il sistema bancario e mettere gli azionisti delle banche a rischio di ingenti perdite è semplicemente un anatema per la Fed.

Ecco perché, come mostra l’ultimo rapporto della Bank for International Settlements sui movimenti delle valute globali, il dollaro resta saldamente in testa nelle preferenze degli investitori nel mondo, staccando nettamente persino l’euro e lo yen.

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Ed ecco perché le borse europee e quella giapponese, nonostante dieci anni di allentamento monetario, tassi negativi e riacquisti di titoli da parte delle banche centrali, restano ancora ai minimi storici, mentre la borsa americana ha conosciuto la più lunga fase rialzista della storia umana, e ancora resterà un certo tempo in rialzo.

Le politiche di allentamento monetario hanno funzionato solo in America, dove ancora sussistono gli ultimi residui di “normalità” nell’economia. Al contrario, le stesse politiche (anche più aggressive) hanno fallito in Europa e Giappone, che affogano nella distorsione politica dell’economia e nello strangolamento dell’iniziativa privata e dei cittadini, man mano che la situazione peggiora.

Quindi il balzo in avanti fatto dai titoli bancari europei dopo le dichiarazioni di Powell deve considerarsi un movimento speculativo del tutto irrazionale e di breve durata. Ciò che davvero conta nel discorso di Powell è l’aver ribadito di non voler oltrepassare la soglia di sicurezza dei tassi negativi e la conseguente tenuta del dollaro in borsa, come espressione dell’unica area economica in cui “rifugiarsi” allo spirare dei venti di recessione globale.

Bisogna tenerlo presente, prima di decidere di investire a lungo termine in Europa e Giappone….

Il team di Segnali di Borsa

PS.: monitoreremo da vicino questa vicenda, perché potrebbe innescare turbolenze nel mercato obbligazionario e azionario. Se sei interessato a seguire gli sviluppi del caso, ti invito a iscriverti qui per ricevere gratis i nostri prossimi aggiornamenti direttamente via email.

Dove andranno le quotazioni del greggio? Ragioniamo con calma…

Dopo gli attacchi coordinati che hanno fatto fuori quasi 5,7 milioni di barili al giorno di produzione di petrolio saudita, il greggio Brent – il punto di riferimento internazionale per i prezzi – è balzato di quasi il 20% a $ 71,95 al barile, chiudendo la giornata con un aumento del 14,6% … a poco più di $ 69 al barile.

Shock imprevisto nelle quotazioni del greggio

Il 14 settembre scorso dei droni yemeniti hanno attaccato uno dei maggiori giacimenti petroliferi dell’Arabia Saudita e la maggiore raffineria al mondo ad Abqaiq, tagliando fuori dalla produzione più di 5,7 milioni di barili al giorno, che rappresentano più del 5% della produzione mondiale.

Per dare l’idea delle dimensioni dell’attacco, basta pensare al fatto che negli ultimi anni il petrolio non è mai più salito sopra i 100 dollari al barile da quando gli Stati Uniti hanno iniziato a inondare il mondo con 5,9 milioni di barili al giorno del loro petrolio da scisto. Il che vuol dire che la quantità di petrolio fatta fuori dall’attacco yemenita equivale grosso modo a tutta la produzione di scisto americano.

Segnali di borsa aveva recentemente affermato che, sulla base dei fondamentali economici, il trend delle quotazioni petrolifere sarebbe stato piatto ancora per diverso tempo. Ma ovviamente un evento del genere, del tutto imprevedibile, potrebbe cambiare le carte in tavola, almeno nel breve o medio termine.

L’impatto di questo nuovo fattore sulle quotazioni del greggio dipenderà molto da quanto l’Arabia Saudita riuscirà a persuadere i mercati sulla sua capacità di restaurare in tempi brevi questo enorme ammanco di produzione (e in quanto tempo riuscirà a farlo nella realtà).

C’è infatti una differenza tra l’Arabia Saudita e gli altri due maggiori produttori petroliferi al mondo, ossia Russia e Stati Uniti.

Mentre gli altri due Paesi hanno una produzione dissemintata in una vastissima estensione di territori, l’Arabia Saudita ha solo pochi enormi giacimenti, gestiti da una sola compagnia: la Saudi Aramco; il che rende questo paese molto più vulnerabile a eventi di carattere bellico.

Le prime ipotesi degli analisti assumono, per un ammanco di produzione della durata di 3 settimane, un aumento di 10 dollari al barile.

Ma se al contrario l’Arabia Saudita non riuscirà a riprendere la produzione per un tempo prolungato, il ritorno delle quotazioni ai famosi 100 dollari di una volta è praticamente inevitabile.

Di sicuro, questo incidente ha riportato gli investitori con i piedi per terra, rimettendo il petrolio nella categoria delle materie prime vulnerabili, come lo era un tempo – prima che gli Stati Uniti dessero la falsa impressione di averne calmierato per sempre la produzione e quindi le quotazioni.

Al momento, in attesa di vedere quanto a lungo durerà l’ammanco di produzione, consiglio di investire solo sul breve-medio termine, con dei futures o con Etf a leva.

Il team di Segnali di Borsa.

Rivolta alla BCE contro Draghi, che mente alla conferenza stampa

Durante la conferenza stampa al termine del suo ultimo discorso sulle prossime manovre della BCE, Draghi ha mentito ai giornalisti, sostenendo che “il consenso [per la decisione di tali manovre] era così ampio che non è stato necessario votare”.

I fondi obbligazionari high yeld hanno finito la liquidità. Scappa finché sei in tempo…

Le autorità europee e internazionali lanciano un allarme su un grave rischio sistemico nel mercato obbligazionario.

La Federal Reserve abbasserà i tassi? Ecco cosa andrà storto e come puoi investire

Anche se i tassi d’interesse a breve termine verranno abbassati dalla Federal Reserve, come tutti si aspettano, non è detto che i tassi dei titoli di stato a lungo termine si abbassino a loro volta in conseguenza di questa misura.

Oro: le banche perdono la pazienza e preparano una correzione

Le banche stanno facendo di tutto per trascinare l’oro a quotazioni più ragionevoli (secondo i loro parametri), accumulando una quantità di contratti future a ribasso che supera il record precedente del 2016.

Troppo tardi per investire nella borsa USA? Scoprilo con questo calcolo infallibile

Dire che una borsa è sopravvalutata solo perché i prezzi dei suoi titoli sono in continua crescita, è una affermazione molto popolare di questi tempi, ma, come vedremo in questo articolo, non ha nulla di scientifico.

Perché la guerra sui dazi e la politica dei tassi della Fed sono a una svolta

Apparentemente, gli sviluppi politici ed economici degli ultimi giorni non sembrano diversi da quelli di un mese fa.

Perché oggi possiamo prevedere almeno un anno di rialzi nelle borse

In questo articolo discuteremo un argomento trasmesso in modo eccessivamente allarmistico dai media finanziari: l’inversione della curva dei tassi d’interesse.

Tutta la verità sul futuro dell’oro. Parte seconda

Pochi hanno sentito parlare dell’Accordo sull’oro delle Banche Centrali (CBGA), chiamato anche Accordo sull’oro di Washington, che ha segnato una tappa interessante nella storia della manipolazione dei mercati dell’oro.

L’accordo fu firmato per la prima volta nel 1999 ed è stato rinnovato per un mandato di cinque anni nel 2004, 2009 e 2014. I firmatari includevano banche centrali di Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Belgio, più la Banca centrale europea, nonché alcune banche centrali non appartenenti all’area dell’euro, come quelle di Svizzera e Svezia. Gli Stati Uniti non sono mai stati membri dell’accordo, ma ne hanno supervisionato da vicino l’attuazione, assieme alla Banca dei regolamenti internazionali (BRI).

Durante il lungo mercato ribassista dell’oro del 1980-1999, le banche centrali, guardacaso, erano venditori attivi di oro. All’epoca non era ancora nato il mercato dei futures con cui oggi le banche centrali controllano con molta più efficacia (e in modo molto più anonimo) ogni accenno di trend rialzista nel mercato dei preziosi (ne abbiamo parlato nella prima parte di questo articolo).

Perciò in quel periodo l’unico modo per le banche centrali di creare una spinta ribassista per controbilanciare gli acquisti nel mercato libero di oro fisico era di effettuare a loro volta (attraverso banche compiacenti) elevati volumi di vendite di oro fisico.

Dal momento che vendite e acquisti di oro fisico fatti in ogni parte del mondo sono molto meno monitorabili rispetto all’attuale mercato dei futures, che opera su piattaforme elettroniche, c’era anche il rischio che le vendite potessero sfuggire al controllo, riducendo più del dovuto il valore delle riserve in dotazione delle banche centrali.

Per evitare una corsa incontrollata alle vendite, l’accordo CBGA fissava dei limiti alle vendite totali e alle vendite individuali dei paesi membri.

Dopo la stipula di questo accordo tuttavia, si registrò un fatto incredibile: le vendite di oro si erano già in gran parte esaurite al momento della conclusione dell’accordo.

Infatti, dopo il cosiddetto “Brown’s Bottom”, dal nome del cancelliere britannico dello Scacchiere Gordon Brown, che vendette circa la metà delle riserve auree del Regno Unito a un prezzo medio di $ 275 per oncia tra il 1999 e il 2002, ci furono poche vendite significative di oro da parte dei firmatari CBGA, ad eccezione di 1.000 tonnellate dalla Svizzera all’inizio degli anni 2000 e di 400 tonnellate vendute dall’FMI nel 2010.

Che motivo c’era di stipulare un accordo sulle vendite se nessuno dei firmatari aveva intenzione di fare altre vendite?

La spiegazione è semplice.

L’accordo era solo un modo per coprire l’oro precedentemente venduto o noleggiato nascondendo le transazioni avvenute.

Quando poi negli anni ’90 nacque l’innovativo strumento dei futures, le banche centrali presero il controllo definitivo e totale del mercato dei preziosi, rendendo obsoleto quell’accordo.

Ecco il motivo per cui questo accordo oggi è stato portato alla scadenza senza ulteriori rinnovi.

Il 26 luglio, la BCE, la Banca nazionale svizzera e la Riksbank svedese hanno emesso dei comunicati stampa coordinati, confermando che non vi sarà un quinto accordo in oro della banca centrale alla scadenza dell’accordo in vigore a settembre 2019.

Secondo il comunicato stampa della BCE, le banche firmatarie “concludono che un accordo formale sull’oro non è più necessario“perché “il mercato si è sviluppato e maturato“, ovvero, più precisamente, “dal 1999 il mercato globale dell’oro si è sviluppato considerevolmente in termini di scadenza, liquidità e base di investitori.

Ma dato che, come abbiamo detto, la vera ragione per il CBGA dal 1999 in poi è stata quella di movimentare l’oro precedentemente venduto o noleggiato nascondendo le transazioni, questa motivazione per il non rinnovamento dell’accordo, così come la sua formulazione, è ingannevole.

I comunicati stampa della BCE – BNS – Riksbank, sulla stessa linea menzognera, assumono persino una involontaria connotazione ironica, quando affermano che: “l’accordo ha contribuito a creare condizioni più equilibrate nel mercato dell’oro fornendo trasparenza riguardo alle intenzioni dei firmatari”.

In realtà entrambi i comunicati sono importanti indizi del fatto che forse sta per iniziare una campagna di acquisti di oro da parte delle banche centrali.

Se ci fosse qualche dubbio in proposito, i comunicati stampa dei membri della CBGA proclamano apertamente la nuova tendenza per cui “le banche centrali e altre istituzioni ufficiali in generale sono diventate acquirenti netti di oro“e che “i firmatari confermano che l’oro rimane un elemento importante delle riserve monetarie globali, mentre continua per fornire vantaggi in termini di diversificazione delle attività.”

Dal canto suo, la BCE sembra concedere mano libera a questo nuovo trend, proclamando, sempre il 26 luglio, che la sua decisione di non rinnovare la CBGA “non pregiudica le competenze di ciascuna banca centrale nazionale in merito alla gestione delle proprie riserve auree”. In altre parole: fate quello che volete, perché la BCE non si intromette nella gestione delle riserve auree delle banche centrali nazionali.

Che dire allora?

La trasformazione di questo trend ventennale di vendite in una allegra fiera per gli acquisti da parte delle banche centrali potrebbe riflettersi positivamente sui prezzi dell’oro, lasciando finalmente mano libera ai rialzi?

Non ne sono ancora sicuro, per i seguenti motivi:

  1. Le banche centrali hanno ancora ben salde le redini sui mercati dei futures, che permettono un controllo dei prezzi efficiente, anonimo e totale, superando di gran lunga i volumi di tutte le possibili transazioni di oro fisico fatte da banche centrali, banche nazionali e fondi di investimento messi insieme.
  2. Le banche centrali di Cina, Russia, Turchia e altri importanti paesi non occidentali sono da sempre acquirenti netti di oro (in quantità gigantesche), ma questo fatto non ha mai intaccato la tendenza ribassista dei preziosi. Non vedo perché gli acquisti da parte delle banche centrali occidentali dovrebbero influire diversamente sul prezzo dell’oro.

Perciò, tutto quanto considerato, e in attesa di vedere i primi effetti del nuovo corso delle banche centrali occidentali e l’uso che verrà fatto del mercato dei futures, la mia nuova (provvisoria) posizione nei confronti dell’eterno dibattito sul trend dell’oro è la seguente:

Anche se le banche centrali occidentali fossero diventate acquirenti netti di oro (e quindi venisse data mano libera agli acquisti anche ai fondi di investimento), il controllo sulle quotazioni non sarebbe meno necessario; anzi, lo sarebbe di più.

Se prima l’oro era solo un fastidioso concorrente per le politiche monetarie dissennate delle banche centrali (un concorrente da tenere a bada sul mercato dei futures), oggi il metallo giallo potrebbe diventare un asset nelle mani delle stesse banche centrali. E in tal caso, pensi forse che le banche centrali non avranno ancora più necessità di determinare a loro piacimento il valore di questo asset, facendolo scendere per acquistarlo a buon mercato, e salire per utilizzarlo come arma finanziaria o come scudo protettivo valutario?

Morale della favola, prima di annunciare un nuovo trend a rialzo di lungo termine, aspettiamo di vedere se e come le banche centrali riprenderanno il controllo delle quotazioni dell’oro e con quali nuove finalità e prospettive tratteranno il loro vecchio nemico, ora ridiventato alleato (purché non cacci la testa fuori dal sacco).

Pur restando ancora ben lontani da qualsiasi investimento nel mercato dei preziosi, Segnali di Borsa monitorerà con molta attenzione questi importanti sviluppi, che potrebbero cambiare il volto dell’economia dei prossimi anni.

Se non lo hai ancora fatto, iscriviti a Segnali di Borsa e ricevi gratis i prossimi articoli del nostro blog Strategie Economiche sul tuo indirizzo email.

Il team di Segnali di Borsa

Tutta la verità sul futuro dell’oro. Parte prima

In questa prima parte presentiamo lo stato di fatto dei metalli preziosi, fatto di manovre manipolative che impediscono l’emergere di quotazioni liberamente espresse dal mercato.

E’ ora di lasciare il mercato azionario?

Dopo l’annuncio della Federal Reserve e i tweet di Trump contro la Cina, alcuni media finanziari iniziano a temere il mercato azionario americano. Si tratta di timori giustificati?

Scopri perché il 60% dei trader abbandona l’attività entro i primi sei mesi

Nella mia più che ventennale esprienza di trader ho potuto notare un fenomeno poco visibile a chi non è del settore, vale a dire il fatto che i trader che abbandonano dopo i primi sei mesi sono molti più dei trader attivi.

L’argento ha appena raggiunto un estremo storico assoluto. C’è da fidarsi?

Chi legge abitualmente Strategie Economiche sa bene qual è la nostra posizione sui metalli preziosi: il loro prezzo è manipolato almeno dal 2013 in modo da non superare una certa soglia massima, quindi non facciamoci illusioni.

Ecco i primi, clamorosi risultati della nuova borsa cinese

L’apertura della nuova borsa cinese dedicata alle aziende più giovani e aggressive della Cina interna è un argomento oscurato dai media che noi di Strategie Economiche stiamo seguendo da mesi.

In breve, fino a oggi i Cinesi non potevano comprare nelle borse della Cina interna le aziende corrispondenti ai nostri Google e Apple. Avevamo perciò ipotizzato che il progetto cinese di aprire un nuova borsa fatta apposta per queste società, avrebbe fatto confluire enormi capitali nelle casse di queste aziende, facendone lievitare il prezzo (tutti i dettagli sono nel nostro ultimo articolo).

Oggi per la prima volta sono in grado di darti un’idea del terremoto che questa nuova borsa porterà nelle quotazioni delle aziende cinesi.

Infatti, l’ultima settimana la Suzhou HYC Technology, un’azienda che fabbrica strumentazione elettrica, è stata la prima ad essere quotata nella nuova borsa. E se l’interesse dei trader cinesi per questa IPO è un’indicazione di ciò che succederà nei prossimi mesi, devo dire che forse le nostre previsioni erano addirittura troppo moderate rispetto alla realtà.

Nella nuova borsa dello Shanghai Stock Exchange chiamata “Star market” (il nome per esteso è “Science and Technology Innovation Board”) l’offerta di azioni della HYC Technology è stata superata di 300 volte dalle richieste di acquisto.
In altre parole, i trader hanno piazzato ordini di acquisto 300 volte superiori rispetto alla disponibilità delle quote!

Questo ha permesso a una azienda tutto sommato modesta di raggiungere una capitalizzazione di mercato di 1,4 miliardi in dollari!

Se tale è il risultato per un’azienda che produce aggeggi elettrici, cosa succederà alle grandi aziende cinesi high-tech quando entreranno in gioco?

Più di 120 aziende hanno già fatto domanda per essere quotate allo Star Market, inclusi i grandi produttori di robotica e biotech, veri giganti dell’industria cinese.

Entro i prossimi due mesi, già 20 di queste nuove aziende entreranno per la prima volta nello Star Market dando inizio, molto probabilmente, a una bolla high-tech simile a quelle che abbiamo visto nelle borse americane nei decenni scorsi.

Siamo quindi a poche settimane da un fenomeno speculativo che potrebbe regalarci rendimenti di grande interesse.

Contrariamente al solito, quest’anno l’estate non sarà un periodo “morto” per i traders, almeno per quelli che seguono il nostro servizio di trading Strategie Portfolio.

Molto prima dell’arrivo di questa bolla speculativa, noi ci siamo già messi al lavoro, mettendo a segno una sfilza di trade ad alto rendimento della durata di pochi giorni, sfruttando semplicemente la pubblicazione dei bilanci trimestrali delle aziende americane:

I nostri trade sono rivoluzionari rispetto a quello che ti propongono altri servizi di investimento italiani, perché la nostra capacità di monitoraggio dei mercati e dei trend globali è enorme, grazie alla collaborazione con oltre una diecina di società americane dotate di algoritmi e sistemi di analisi che non esistono altrove.

Per questo, mentre i nostri concorrenti fanno pubblicità offrendoti servizi su servizi che danno l’impressione di aumentare il valore del loro prodotto, noi faremo sempre la nostra “monotona” e forse “noiosa” pubblicità mostrandoti lo storico dei nostri trade mese per mese con i rendimenti ottenuti…

Sarà noioso…sarà poco stimolante, ma noi abbiamo un solo obiettivo: alti rendimenti fatti con modiche cifre investite. Quindi i rendimenti dei nostri trade sarà l’unica cosa che vedrai nelle nostre pubblicità!

Prova Strategie Portfolio per un mese!

Fai questo trade prima che migliaia di investitori entrino nel titolo

La settimana scorsa è stata pubblicata una notizia importante su Alibaba (NYSE: BABA), la società cinese che fornisce servizi e tecnologia per il commercio online e in borsa è l’ottavo titolo più quotato al mondo (il primo di un’azienda non americana).

BABA, come molte delle grandi aziende cinesi, è irreperibile nelle borse della Cina continentale.
Questa bizzarra situazione per cui i Cinesi non possono comprare in borsa le aziende del loro Paese è già da tempo sotto i nostri radar (l’ultima volta ne abbiamo parlato qui) e merita di essere seguita, perché sta per portare enormi rivoluzioni negli asset di borsa.

Nel caso di Alibaba, il titolo finora non era nemmeno quotato nella borsa offshore cinese, cioè quella di Hong-Kong, per cui chi voleva comprarne delle quote, poteva farlo solo sulle borse occidentali.

Dicevo quindi che la settimana scorsa Alibaba ha annunciato di avere ufficialmente inviato la richiesta di listing nella borsa di Hong-Kong, dove prevede di raggiungere una capitalizzazione di almeno 20 milioni di dollari.

Un dettaglio curioso è che per preparare la sua entrata a Hong-Kong, Alibaba ha dovuto impostare una ristrutturazione delle sue quote per renderle compatibili con i prezzi di questo mercato.

Nel mercato USA infatti BABA è quotato 165 dollari, che tradotto in dollari di Hong-Kong sono circa 1300 hkd. Per capire cosa significa, possiamo dire che un prezzo del genere renderebbe Alibaba 4 volte più costosa di Tencent, l’altro colosso cinese già quotato nella Cina off-shore.

Di conseguenza, per rendere Alibaba abbordabile per il maggior numero di trader cinesi, è stato deciso di dividere in otto parti ogni quota attuale del titolo. In questo modo ogni quota listata a HK costerà un ottavo del prezzo che Alibaba ha nella borsa USA, ossia circa 160 hkd (per gli investitori occidentali non cambia nulla, perché al NYSE ogni azione verrà convertita in un certificato di deposito pari a otto nuove azioni, rendendo così ininfluente questa operazione contabile).

Con questa ultima messa a punto, Alibaba è pronto ad attirare migliaia di nuovi investitori della borsa cinese. Con quali ripercussioni sul prezzo del titolo?

Possiamo fare delle previsioni ricordando quello che è successo a Tencent quando fu quotata per la prima volta a Hong-Kong nel 2014:

L’ingresso in massa dei Cinesi nel titolo avvenne in due riprese. La prima volta a partire da novembre 2014 con il programma Shanghai-Hong Kong Stock Connect, che creava un ponte tra la borsa di HK e quella di Shanghai e che portò un aumento del 30% sulle quotazioni. La seconda volta col programma Shenzhen-Hong Kong Stock Connect, che collegò Shenzhen a HK a partire dal dicembre 2016 e portò un ulteriore aumento delle quotazioni pari al 50%.

Come ciliegina sulla torta, aggiungiamo anche il fatto che oggi (specialmente dopo le vendite in borsa create dalla guerra dei dazi) Alibaba ha un prezzo stracciato rispetto a Tencent sotto tutti i punti di vista (price-to-sales, price-to-earnings, e price-to -book). Possiamo dire perciò che questo è uno dei trade a lungo termine più remunerativi che ci siano. Un trade da cassettista praticamente garantito.

Se sei interessato a scoprire altri trend come questi, del tutto fuori dai radar dei media, iscriviti gratis per ricevere i nostri prossimi articoli direttamente al tuo indirizzo email.

Il team di Segnali di Borsa.

 

Fai questo trade prima che migliaia di investitori entrino nel titolo

La settimana scorsa è stata pubblicata una notizia importante su Alibaba (NYSE: BABA), la società cinese che fornisce servizi e tecnologia per il commercio online e in borsa è l’ottavo titolo più quotato al mondo (il primo di un’azienda non americana).

BABA, come molte delle grandi aziende cinesi, è irreperibile nelle borse della Cina continentale.
Questa bizzarra situazione per cui i Cinesi non possono comprare in borsa le aziende del loro Paese è già da tempo sotto i nostri radar (l’ultima volta ne abbiamo parlato qui) e merita di essere seguita, perché sta per portare enormi rivoluzioni negli asset di borsa.

Nel caso di Alibaba, il titolo finora non era nemmeno quotato nella borsa offshore cinese, cioè quella di Hong-Kong, per cui chi voleva comprarne delle quote, poteva farlo solo sulle borse occidentali.

Dicevo quindi che la settimana scorsa Alibaba ha annunciato di avere ufficialmente inviato la richiesta di listing nella borsa di Hong-Kong, dove prevede di raggiungere una capitalizzazione di almeno 20 milioni di dollari.

Un dettaglio curioso è che per preparare la sua entrata a Hong-Kong, Alibaba ha dovuto impostare una ristrutturazione delle sue quote per renderle compatibili con i prezzi di questo mercato.

Nel mercato USA infatti BABA è quotato 165 dollari, che tradotto in dollari di Hong-Kong sono circa 1300 hkd. Per capire cosa significa, possiamo dire che un prezzo del genere renderebbe Alibaba 4 volte più costosa di Tencent, l’altro colosso cinese già quotato nella Cina off-shore.

Di conseguenza, per rendere Alibaba abbordabile per il maggior numero di trader cinesi, è stato deciso di dividere in otto parti ogni quota attuale del titolo. In questo modo ogni quota listata a HK costerà un ottavo del prezzo che Alibaba ha nella borsa USA, ossia circa 160 hkd (per gli investitori occidentali non cambia nulla, perché al NYSE ogni azione verrà convertita in un certificato di deposito pari a otto nuove azioni, rendendo così ininfluente questa operazione contabile).

Con questa ultima messa a punto, Alibaba è pronto ad attirare migliaia di nuovi investitori della borsa cinese. Con quali ripercussioni sul prezzo del titolo?

Possiamo fare delle previsioni ricordando quello che è successo a Tencent quando fu quotata per la prima volta a Hong-Kong nel 2014:

L’ingresso in massa dei Cinesi nel titolo avvenne in due riprese. La prima volta a partire da novembre 2014 con il programma Shanghai-Hong Kong Stock Connect, che creava un ponte tra la borsa di HK e quella di Shanghai e che portò un aumento del 30% sulle quotazioni. La seconda volta col programma Shenzhen-Hong Kong Stock Connect, che collegò Shenzhen a HK a partire dal dicembre 2016 e portò un ulteriore aumento delle quotazioni pari al 50%.

Come ciliegina sulla torta, aggiungiamo anche il fatto che oggi (specialmente dopo le vendite in borsa create dalla guerra dei dazi) Alibaba ha un prezzo stracciato rispetto a Tencent sotto tutti i punti di vista (price-to-sales, price-to-earnings, e price-to -book). Possiamo dire perciò che questo è uno dei trade a lungo termine più remunerativi che ci siano. Un trade da cassettista praticamente garantito.

Se sei interessato a trade speculativi più veloci, ma, come questo su Alibaba, basati sulla stessa capacità di individuare le anomalie dei mercati di tutto il mondo per ottenere rendimenti elevati, prova per un mese il nostro servizio Strategie Portfolio.

Attualmente l’improvvisa inversione a rialzo delle borse USA ci sta consentendo di impostare addirittura dei trade di pochi giorni, come mostra lo storico dei trade di quest’anno:

Non sempre questo sarà possibile. Di solito il time range dei nostri trade è di alcune settimane o alcuni mesi. Ma visto che a luglio inizieranno le pubblicazioni dei bilanci trimestrali nelle borse USA, è probabile che questi trade superveloci potrebbero esserci anche il mese prossimo.

Prova Strategie Portfolio per un mese!

Il nuovo Nasdaq aprirà a fine anno. Quali opportunità ci riserva?

Non ho letto da nessuna parte questa notizia, che invece meriterebbe di stare sulle prime pagine dei media specializzati in finanza e investimenti.

Perché la soia è il miglior trade contrarian del momento

La parte piu’ sgradevole per Trump nella guerra dei dazi con la Cina è il fatto che il presidente cinese Xi Jinping non ha limiti di tempo. È al potere a vita, in teoria. E questo significa che può sopportare un dolore a breve termine per vincere la guerra a lungo termine.

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