martedì, Luglio 15, 2025

La borsa USA è alla fase finale della sua bolla. Ecco i dati che lo mostrano

Da sempre la nostra tesi sul mercato USA è che la bolla che ha accompagnato le nostre vite negli ultimi 12 anni sarebbe prima o poi arrivata alla sua fase finale, estremamente remunerativa per chi investe, prima di iniziare il declino.

Oggi possiamo dire di essere finalmente arrivati a questa fase finale.

Perché diciamo questo e come facciamo a distinguere le semplici fasi di incremento della bolla dal suo stadio finale?

Infatti, sia nei nuovi incrementi della bolla, sia nel suo stadio finale, i mercati raggiungono sempre nuovi massimi. Perché allora diciamo che i prossimi massimi saranno proprio gli ultimi?

Il segreto per individuare l’ultimo ciclo rialzista di un ciclo è monitorare la presenza dei traders speculativi.

In tutti questi anni, anche se i mercati hanno raggiunto piu’ volte dei nuovi massimi, non avevamo mai registrato una entrata in massa di traders speculativi.

Al contrario, il “sentiment” di questo specifico settore degli investitori si è mantenuto sempre prudente, se non del tutto scettico.

Oggi invece assistiamo al fenomeno opposto: i traders speculativi sono finalmente entrati in gioco. Gli indici di borsa USA sono quindi pronti ad andare verso i loro massimi finali.

I dati della Bank of America mostrano che negli ultimi 5 mesi più di 570 miliardi di dollari sono stati riversati nei fondi di investimento e nelle piattaforme di trading.

Per fare un paragone, negli ultimi 12 anni erano entrati non piu’ di 452 miliardi di dollari.

Quindi, negli ultimi 5 mesi sono entrati in gioco piu’ soldi che negli ultimi 12 anni!

Anche gli investimenti a leva sono aumentati vertiginosamente.

Secondo i dati della Financial Industry Regulatory Authority, alla fine di febbraio gli investitori hanno aperto posizioni a leva per quasi 814 miliardi di dollari sui loro portafogli, portando il margine di indebitamento totale a un incredibile +49% rispetto all’anno precedente:

Lo stesso tipo di incremento della leva era avvenuto verso la fine di altre due importanti corse al rialzo, cioè nel 2007, prima della crisi finanziaria, e durante la bolla delle dot.com, verso la fine del 1999.

Ed è proprio l’aumento della leva che alla fine innesca il trend a ribasso nelle fasi finali di una bolla.

Finché i prezzi dei titoli continuano ad andare verso l’alto, la leva aiuta gli investitori ad aumentare i loro guadagni e a incrementare ulteriormente le quotazioni, in una sorta di ciclo virtuoso che si autoalimenta.

Quando invece i prezzi vengono schiacciati dalle vendite effettuate dagli investitori istituzionali (i grandi fondi di investimento e assicurativi), i margini amplificano queste vendite, portando il ciclo al suo punto di rottura.

Infatti in questo caso, l’aumento dei margini di liquidità richiesto dal broker per coprire le posizioni a leva costringe i traders ad aggiungere sempre più denaro sull’account man mano che il valore dei suoi titoli diminuisce.

Quando alla fine, scendendo ulteriormente le quotazioni, i trader non hanno piu’ soldi da aggiungere, i broker liquidano le loro posizioni per recuperare i prestiti della leva.

Ed è qui che inizia il vero e proprio crollo del mercato, perché le vendite dei brokers fanno scendere ulteriormente le quotazioni in modo sempre piu’ veloce, finché il mercato non riesce piu’ a recuperare.

Tuttavia, come abbiamo detto altre volte, prima che cio’ accada, le ultime fasi del ciclo portano i guadagni maggiori.

Ad esempio, i guadagni maggiori nella bolla delle dot.com furono raggiunti proprio negli ultimi nove mesi tra settembre 1999 e febbraio 2000 (cerchio verde):

Quando si arriva al culmine di una bolla quindi è importante sapere fino a quando si puo’ restare ancora sul mercato e quando è il momento di chiudere le posizioni.

Se si esce troppo presto dal mercato, si rischia di perdere dei rendimenti che forse non si otterranno piu’ per molti anni a venire.

Nella bolla attuale, i prossimi sei-nove mesi saranno cruciali, perché ci daranno i segnali migliori per capire quando uscire dal mercato.

In Strategie Economiche seguiamo diversi indicatori che ci segnalano l’avanzamento dello stato di una bolla.

Il piu’ sintetico e forse piu’ facile da seguire è l’Advance/Decline Index (AD), che semplicemente fa la media giornaliera del numero di titoli che chiudono in aumento e di quelli che chiudono in ribasso all’interno di un dato indice di borsa.

Quando un dato indice continua a salire, ma l’AD inizia a divergere, scendendo, è il momento di verificare se nei successivi cinque-sei mesi la divergenza scompare oppure persiste.

Nella figura sotto abbiamo un esempio pratico di come utilizzare l’indicatore:

Come si vede, in quasi tutti gli indici americani la linea blu (cioè l’andamento degli indici) e la linea rossa (l’andamento dell’AD in ogni specifico indice) salgono insieme.

Solo nel Nasdaq Composite vediamo che ad aprile le due linee hanno iniziato a divergere (frecce nere).

A questo punto è necessario monitorare nei prossimi mesi:

  • se la divergenza scompare
  • in caso che la divergenza persista, se anche altri indici inizieranno a mostrare una analoga divergenza

Se la divergenza scompare, vuol dire che la fine del bull market non si è avvicinata.

Se invece non scompare, allora la fine della bolla si avvicinerà sempre piu’ ogni volta che nei mesi successivi la divergenza si manifesterà anche negli altri indici.

In conclusione, il segnale del Nasdaq, abbinato ai dati sulla leva e sull’afflusso di traders speculativi citati prima, ci fanno ipotizzare che siamo vicini a un prossimo rialzo spettacolare nei mercati USA. E il rialzo maggiore, paradossalmente, si potrebbe avere proprio nel Nasdaq.

E dal momento che questo rialzo potrebbe essere quello finale, dovrebbe avere di norma dimensioni maggiori di quelli già avvenuti negli anni scorsi.

Non è quindi il momento di uscire dal mercato. Anzi, con l’aiuto degli indicatori che abbiamo visto, è opportuno restare per non perdere rendimenti che difficilmente potremmo avere in tempi “normali”.

L’importante è monitorare costantemente i dati statistici, in modo che alle prime avvisaglie si prendano con tutta calma le contromisure per affrontare il bear market successivo.

Nel nostro Canale Telegram ti informiamo tutti i giorni su qualsiasi cosa accada nei mercati, grazie ai diversi indicatori che seguiamo costantemente. E’ il modo piu’ semplice e veloce per prendere le decisioni sul tuo portafoglio con il tempismo necessario.

La tua banca non ti ha ancora invitato a chiudere il conto? Lo farà presto…

In Italia il fenomeno è ancora agli inizi, ma in altre parti d’Europa è già diventata una valanga…

La Deutsche Bank, ad esempio, uno dei principali istituti di credito della Germania, sta attivamente chiudendo molti depositi maggiori o uguali a 100.000 euro. E nei casi in cui il deposito non viene chiuso, la banca addebita al cliente una commissione annuale dello 0,5%.

In pratica, con un deposito di 100.000 euro, si perdono 500 euro all’anno in interessi negativi.

Lo stesso vale per Commerzbank, la seconda banca della Germania.

Nel complesso più di 230 banche nella sola Germania addebitano ora commissioni mensili fisse ai clienti privati, oppure rifiutano di continuare la gestione dei depositi se il cliente non investe almeno in parte il proprio capitale.

Anche in Italia le banche, una dopo l’altra, stanno attuando misure analoghe e ben presto non ci sarà alcun posto dove mettere i propri soldi senza deprezzarli.

Sebbene i tassi negativi siano in circolazione in Europa dal 2014, questo è un fenomeno relativamente nuovo.

Nel 2014, quando la Banca centrale europea inizio’ ad applicare i tassi negativi, le banche si impegnarono a non trasferire tale costo ai clienti. Per sei anni sono state in grado di tenere fede alla promessa senza intaccare i loro bilanci, ma oggi non è più così …

Con la pandemia, le persone risparmiano di più e riducono gli acquisti, sia perché sono costrette, dovendo rimanere a casa, sia per il timore di un futuro incerto. Ecco dunque che la gente nel 2020 ha inondato le banche di denaro liquido.

I depositi sono una passività per le banche. Più depositi detiene una banca, più denaro deve immagazzinare presso la banca centrale per coprire tali passività, e piu’ soldi deve pagare alla banca centrale stessa per coprire i tassi negativi di questo denaro immagazzinato.

Prima della pandemia, questo non era un grosso problema … Le banche riuscivano a coprire il tasso negativo applicato dalla Banca Centrale Europea e continuare a trarre profitto dai grandi depositi.

Ma con i depositi dei loro clienti alle stelle, le banche non riescono piu’ a neutralizzare quel tasso negativo della BCE.

In altri paesi sviluppati le banche centrali, a causa del covid, hanno ugualmente emesso livelli di liquidità, talvolta superiori a quelli europei (come nel caso degli USA), ma al tempo stesso sono riuscite a non far saltare il valore convenzionale delle loro valute.

La Cina ad esempio non ha avuto bisogno di immettere troppa liquidità per combattere la sua breve recessione dovuta al covid e inoltre ha saputo utilizzare la sua ottima bilancia commerciale per mantenere integro lo yuan.

In America la liquidità emessa è stata invece enorme, ma la banca centrale in precedenza non aveva mai del tutto azzerato i tassi delle obbligazioni di stato. In piu’ la popolazione era già abituata a detenere larghe porzioni di liquidità in varie forme di investimento con rendimenti superiori a quelli dei titoli di stato.

In Europa occidentale la BCE ha emesso un notevole quantità di liquidità in un ambiente finanziario dove la gente investe poco e quindi addebita tutto il costo del denaro sulle spalle delle banche e dove l’economia è molto povera e del tutto incapace di creare plusvalori a beneficio delle banche stesse.

Ecco quindi che la pandemia ha creato in questa parte del mondo il primo scenario reale di una situazione che molti economisti avevano previsto, ma che non si era finora mai realizzata: lo scenario in cui un banca centrale perde il controllo del valore del proprio denaro. Lo scenario in cui il denaro (l’euro in questo caso) è una pura passività e non ha nemmeno piu’ il suo valore convenzionale dichiarato.

In molti paesi europei la gente non ha ancora percepito l’importanza storica di questo punto di arrivo.

Come al solito, solo quando questa situazione provocherà un qualche danno macroscopico nella vita delle persone, se ne potrà apprezzare la misura esatta.

Alibaba e lo yuan digitale: prove per il Nuovo Ordine Mondiale

Oggi i media di tutto il mondo hanno battuto la notizia che Ant Group, la società che gestisce Alibaba, ha finalmente raggiunto un accordo col governo cinese.

Secondo l’accordo, Ant Group diventerà una holding finanziaria, e come tale quindi rientrerà nelle competenze e nella supervisione della banca centrale cinese.

Il cambio di statuto della Ant Group, da società privata a entità finanziaria, rientra nelle grandi manovre che la Cina sta mettendo in campo per il lancio del suo yuan digitale.

Gli ultimi sviluppi di questo piano epocale sono di grande interesse.

Sull’argomento abbiamo già dato qualche anticipazione nel nostro articolo precedente a questo.

Ma sulla base delle ultimissime notizie che si rincorrono in questi giorni, ora possiamo iniziare ad ipotizzare come sarà davvero lo yuan digitale, che aspetto avrà, come verrà usato dalle persone e con quali conseguenze sulla privacy e la libertà dell’individuo.

1. Una valuta digitale di stato che non farà a meno dei sistemi di pagamento privati

Anzitutto, tornando ad Alibaba, la notizia di oggi dimostra che, per quanto il governo cinese voglia mantenere il piu’ stretto controllo sullo yuan digitale (e ovviamente ha già preparato una legge che mette al bando qualsiasi stablecoin privata legata allo yuan), sa bene che per l’applicazione pratica di questo progetto non potrà prescindere dai sistemi di pagamento privati.

Alipay, di proprietà della Ant Group, è la maggiore app di pagamenti cinese ed è già usata da quasi tutta la popolazione del paese.

Non ha senso quindi per il governo allestire una piattaforma fotocopia di Alipay, quando puo’ semplicemente prendere il controllo dell’originale, facendolo funzionare a proprio vantaggio e secondo le proprie regole.

Ecco perché, trasformando Ant Group in una società finanziaria, Xi Jinping ha fatto di Alipay una società che effettua transazioni finanziarie, non piu’ un semplice sistema di messaggistica privata.

Di conseguenza, Alipay metterà in campo tutti i sistemi di controllo dei dati personali (col solito pretesto di “fornire maggior sicurezza e prevenire abusi dei dati”) che permetteranno allo yuan digitale di essere scambiato su Alipay consentendo alla banca centrale di risalire sempre all’identità di coloro che effettuano tali transazioni.

2. Pubblico e privato collaboreranno anche negli USA?

Questo fatto getta una luce anche su come potrebbe svilupparsi negli USA un analogo rapporto tra i sistemi di pagamento privati, come VISA e Paypal, e il dollaro digitale che la Fed ha improvvisamente messo fra le sue priorità, dopo il balzo in avanti dello yuan digitale (come abbiamo detto qui).

Quindi, non piu’ lo scontro autodistruttivo fra il mondo fintech e la finanza tradizionale a cui abbiamo assistito negli anni scorsi, ma una collaborazione piu’ o meno forzata (i cui termini e modalità non sono ancora chiari).

Ci sono poi altre caratteristiche dello yuan digitale, a detta delle ultime indiscrezioni del WSJ, che possono farci immaginare come sarà il nostro futuro con un dollaro o un euro digitali…

3. Le persone avranno un account su Alipay…ed Alipay avrà un account sulla banca centrale cinese

Si chiama struttura “sintetica” e prevede che lo yuan digitale verrà trasferito nei normali account che le persone già hanno su Alipay, dove potrà essere usato per effettuare i pagamenti.

Tuttavia Alipay, che abbiamo detto essere diventato uno strumento finanziario a tutti gli effetti, avrà un account presso la banca centrale cinese, esattamente come avviene per qualsiasi altra banca commerciale, sia in Cina che da noi.

Questa connessione primaria permetterà alla banca centrale e al Tesoro di tenere traccia di tutte le transazioni, mentre Alipay, ogni volta che sarà necessario, dovrà comunicare a queste entità governative le identità delle persone che stanno dietro alle transazioni. Proprio come avviene già oggi tra le banche private e i governi.

4. Il governo potrà prelevare multe o confiscare somme direttamente dagli account di Alipay

Diversamente da quanto accade oggi con i conti bancari tradizionali e gli account Paypal e simili, la piattaforma Alipay consentirà di prelevare somme direttamente dalle “tasche” dei cittadini, cioè dai loro account privati su questa piattaforma.

La differenza è dovuta alla maggiore efficienza tecnologica dello yuan digitale, che essendo basato sulla blockchain, permette di impostare operazioni automatizzate sulla valuta di partenza.

Forse per questa ragione, come ammette il WSJ, fin dall’anno scorso è stato registrato un aumento del 10% del contante in circolazione. Come se i Cinesi stessero tentando di “salvare” almeno una parte dei loro soldi da possibili confische future.

Resta da vedere pero’ come il governo intenderà trattare questo contante. Ci sono diversi gradi di rischio: da un bando totale a restrizioni piu’ o meno estese del suo uso, che renderebbero inutili gli sforzi dei Cinesi di accumulare contante.

5. Lo yuan digitale potrà avere una “data si scadenza”

Tra le operazioni automatizzate che è possibile impostare sulla blockchain dello yuan digitale, c’è anche la data di scadenza su una certa somma.

Il governo potrebbe ad esempio pagare un bonus a un dipendente statale, emettendo sul suo account Alipay una somma che dopo 30 giorni scade e ritorna al mittente.

Il malcapitato sarà quindi costretto a spendere la somma entro il tempo stabilito e non potrà sognarsi di accumularla per incrementare i propri risparmi.

Questa singola caratteristica si integra in un aspetto generale molto piu’ inquietante dello yuan digitale…

6. Con lo yuan digitale sarà il governo a decidere il tenore di vita di ogni singolo cittadino

Quando Xi Jinping ha costretto Ant Group a diventare un’entità finanziaria regolata dalla banca centrale, ha anche imposto un limite massimo alle sue riserve monetarie, per evitare che questa entità privata possa in futuro raggiungere una potenza valutaria in competizione con la banca centrale.

Con lo yuan digitale, lo stesso principio verrà applicato a ogni signolo cittadino.

Automatizzando i tempi di permanenza dei soldi sugli account Alipay dei poveri Cinesi, impostando limiti massimi e, perché no?, indirizzando in automatico parte delle somme verso entità governative o pubblico-private, il governo potrà decidere quanti soldi al massimo potrà avere il cittadino X, quanti soldi X dovrà dare a questo e a quello, se X dovrà spendere piu’ sulle automobili e meno sugli orologi, se X dovrà dare molto o poco in eredità ai suoi nipoti, se potrà partecipare all’acquisto di una casa nel quartiere dei ricchi o in quello degli sfigati, e molto, molto altro…

Secondo Byrne Hobart, questo controllo sulla velocità e capacità di spesa dei cittadini ha anche una valenza macroeconomica, in quanto variare la capacità e la velocità della domanda dei beni in base alle capacità di produzione di questi ultimi, permetterà al governo di impostare e mantere i livelli di PIL desiderati in modo molto piu’ efficiente rispetto a qualsiasi altro paese che sia privo di questa possibilità (praticamente, tutto l’occidente, per ora).

7. Non solo blockchain: lo yuan digitale combinerà tecnologie digitali diverse per diventare molto simile al contante

Un aspetto poco considerato è che il governo sta facendo di tutto per rendere possibile l’uso dello yuan digitale anche per le persone che non hanno dimestichezza non solo coi pagamenti digitali, ma persino con i normali conti bancari o le carte di credito.

La base delle transazioni dello yuan digitale infatti NON è strutturato su una blockchain, perché questo porrebbe enormi limiti alla velocità e alla quantità di transazioni possibili.

Lo yuan digitale si basa invece sui sistemi digitali usati già ora da Alipay e le altre piattaforme analoghe, che non si basano sulla blockchain.

Tutti gli orribili automatismi che abbiamo citato nel paragrafo precedente verrebbero implementati “tokenizzando” lo yuan digitale in una blockchain.

Ma lo yuan digitale in sè resterà sempre una valuta digitale simile al nostro euro o al dollaro, che già ora sono valute digitali non basate su una blockchain.

Tuttalpiu’ il governo potrebbe perfezionare questa base digitale con degli strumenti elettronici che permetterebbero il pagamento peer-to-peer anche senza bisogno di una rete internet.

In questo modo anche il contadino di un villaggio remoto potrebbe usare lo yuan digitale in un modo molto simile a come maneggia una banconota di carta.

E questo ci porta alla nostra considerazione finale…

8. Quando avremo davvero lo yuan digitale e quanto inciderà sulla libertà dei Cinesi?

Anche se il governo cinese sembra davvero alle fasi finali del progetto e quindi potrebbe rilasciare lo yuan digitale abbastanza presto, diciamo a fine 2021 o nel 2022, la vera adozione su larga scala di questa valuta richiederà molto piu’ tempo (secondo il WSJ, dai 3 ai 5 anni, o forse piu’).

L’esempio del contadino cinese citato prima, deve infatti farci capire la complessità della situazione in cui un tale progetto dovrebbe intervenire…

Parlare di livellamento del tenore di vita e di obblighi fiscali automatizzati sembra facile a tavolino, ma bisogna considerare che tutto questo si dovrebbe inserire in una società molto complessa, con tante categorie sociali diverse, tanti ambienti di vita differenti, tante modalità di interazione fra persone, aziende e entità di vario genere che non possono essere automatizzati tutte in una volta e in modo rigido.

Questa lezione deve essere assimilata anche dai “complottisti” di casa nostra.

Se il paese che ha sviluppato con maggior velocità ed efficienza una valuta nazionale digitale non è in grado di ridurre a pochi bit la complessità della sua storia e della sua società, a maggior ragione l’Europa e gli USA adotteranno le proprie valute digitali con la stessa cautela e gradualità.

Non dobbiamo guardare al futuro come a un film distopico di Netflix in cui tutti saranno imprigionati da un giorno all’altro in un sistema senza vie d’uscita.

E’ molto piu’ probabile che per molto tempo convivranno molte forme di pagamenti e di transazioni digitali, magari concorrenti fra loro. Forse anche il contante verrà tollerato entro certi limiti.

Magari gli stati inizieranno a competere in forme oggi impensabili, allestendo condizioni allettanti per l’uso delle loro valute fuori dai loro confini, creando un mercato internazionale delle valute digitali sovrane a cui tutti potranno attingere senza distinzioni di razza e provenienza.

Tra il futuro immaginato dai governi e il futuro che realmente si realizzerà c’è in mezzo la storia, coi suoi imprevisti e le sue necessità che spesso costringono le élites a cambiare radicalmente i loro progetti.

Non mettiamo limiti alla storia…

La guerra delle valute digitali è appena scoppiata

In questo articolo del 27 ottobre avevamo predetto che in occidente un euro e un dollaro digitali avrebbero visto la luce molto piu’ tardi del previsto.

Tale affermazione si basava sulle dichiarazioni ufficiali della BCE e della Federal Reserve e su osservazioni oggettive di carattere tecnico, sociale e politico-finanziario.

Tuttavia gli ultimissimi sviluppi dello yuan digitale e le conseguenti reazioni in altri paesi oggi ci costringono a rivedere questa tempistica.

Vediamo perché.

La Cina ha iniziato a testare lo yuan digitale nel 2019, grazie alla collaborazione delle grandi banche nazionali e delle mega-società cinesi come Alibaba e Baidu.

Poi nel 2020 ha iniziato i test pubblici (cioè l’uso sul campo da parte di fasce di popolazione), distribuendo 10 milioni di DCEP (Digital Currency Electronic Payment) a 50.000 cittadini a Shenzhen ed espandendo poi i test a Shanghai, Pechino e altre grandi città.

La novità di oggi è che la Cina sembra voler accelerare i tempi per l’adozione del DCEP come valuta di riserva globale e che a tale scopo lo stia già testando in silenzio in diverse nazioni.

Uno di questi progetti, chiamato Bridge Multiple Central Bank Digital Currency (m-CBDC), è una collaborazione tra l’Autorità monetaria di Hong Kong, la Bank of Thailand e gli Emirati Arabi Uniti.

Queste parti stanno lavorando insieme sui trasferimenti transfrontalieri di fondi, sul regolamento del commercio internazionale e sulle transazioni sul mercato dei capitali.

Naturalmente, se questi test sono già in corso, vuol dire che esiste già una blockchain condivisa tra queste nazioni e pronta ad essere estesa ad altri stati partecipanti.

Forse per questo la banca centrale tailandese (che partecipa appunto al test cinese) si è affrettata a pubblicare una dichiarazione ufficiale secondo la quale qualsiasi stablecoin emessa da privati denominati in baht thailandesi è illegale.

Ciò è avvenuto in risposta alla creazione di THT, una stablecoin denominata in baht thailandesi creata su una piattaforma stablecoin sudcoreana chiamata Terra (quindi emessa da una entità residente in uno stato “nemico” del blocco cinese).

Ma il fatto piu’ rilevante è che la mossa cinese ha spinto anche gli Stati Uniti a rispondere.

Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha infatti appena abbandonato le blande affermazioni del passato, anche recente, dichiarando che lo sviluppo di un dollaro digitale è ora una priorità assoluta e che la Federal Reserve Bank di Boston e il MIT stanno lavorando al prototipo di una piattaforma digitale del dollaro i cui dettagli potrebbero essere rivelati a luglio.

Questa improvvisa escalation sulle valute digitali nazionali potrebbe quindi sparigliare le carte nell’attuale sviluppo delle blockchain che supportano sia le valute private che quelle nazionali.

In particolare, è da vedere l’impatto che tutto questo avrà sulla recente forte affermazione di bitcoin e delle altre cripto private in America.

Su quest’ultimo fenomeno, integratosi a tal punto nella società statunitense da cambiare il volto del trend pluriennale di queste valute, sorgono spontanee due domande:

  • L’improvvisa accelerazione sul dollaro digitale potrebbe spingere la Fed o il Tesoro a dichiarare di nuovo guerra a bitcoin?
  • Oppure bitcoin e le altre cripto private, essendo viste come fumo negli occhi dalla Cina e da altri stati nemici, continueranno ancora di piu’ ad essere considerate un asset “complementare” al dollaro (come i recenti sviluppi in alcuni settori economici e finanziari facevano pensare, almeno fino a ieri)?

La prima ipotesi è supportata dal fatto, storicamente acclarato – anche dalla cronaca odierna -, che i governi o le entità governative, quando sono sotto pressione, si lasciano guidare sempre meno dalla ragione e dalla scienza e mettono in campo semplificazioni di stampo autoritario quasi sempre controproducenti a lungo termine.

La seconda ipotesi è invece supportata dall’oggettivo ritardo tecnologico della Fed rispetto alla Cina su questo specifico aspetto e dalla relativa facilità con cui l’America potrebbe combattere lo yuan digitale senza aspettare i tempi lunghi di un dollaro digitale ufficiale, usando già oggi le reti di pagamento private di VISA e Paypal.

Infatti, come abbiamo discusso in un recente articolo della nostra newsletter, la struttura VISA dovrebbe a breve veicolare un set di valute digitali (oltre alle solite criptovalute, anche USDC, il dollaro digitale regolato dalle leggi americane) che risulterebbe incomparabilmente piu’ allettante di uno yuan digitale (non solo per il pubblico americano, ma anche per quello internazionale).

Il fatto che le imminenti strutture pro-cripto annunciate in questi giorni da VISA e Paypal non fossero state finora osteggiate dal Tesoro o dalla Fed lasciava pensare che ai piani alti si rendessero conto del potenziale che potrebbero avere e del fastidio che potrebbero dare al progetto di uno yuan digitale.

Non sappiamo pero’ se questa condotta ispirata al buon senso verrebbe abbandonata se vi fosse una recrudescenza nella “guerra valutaria digitale” appena dichiarata dalla Cina…

Questa mossa cinese getta quindi lo scompiglio sia a livello geopolitico, sia a livello finanziario, nei trend che si erano instaurati dal 2020 a oggi.

Il che ci costringe a monitorare molto da vicino i successivi sviluppi di questa vicenda…

Inflazione: il cerchio si stringe sull’occidente

Fuori dall’occidente, alcuni paesi stanno già sperimentando i morsi dell’inflazione e iniziano a prendere contromisure:

Turchia: inflazione del 15,6% e aumento di 2 punti del tasso repo settimanale

Brasile: inflazione al 5,2% e aumento del tasso d’interesse generale dello 0,75%

Russia: inflazione del 5,7% e annuncio di un prossimo aumento del tasso d’interesse generale

Nigeria: inflazione al 17,3%, ma nessun aumento dei tassi (già all’11,5%) a causa della recessione economica in corso

India: inflazione al 5%, nessun aumento dei tassi da parte della banca centrale, ma con un aumento spontaneo di quasi un punto del tasso dei titoli di stato a 5 anni

Negli Stati Uniti, la decisione di Powell di non intervenire per abbassare l’aumento spontaneo dei tassi dei titoli di stato a lungo termine, assieme al rifiuto di emettere titoli di stato per compensare la loro scarsità che affligge il mercato repo (ne abbiamo parlato qui) in fondo è in linea con le misure degli altri paesi che abbiamo elencato sopra.

Per mantenere la narrativa dell’inflazione come segno positivo di prosperità economica, Powell non vuole intervenire apertamente.

Ma lasciare che i tassi a lungo termine aumentino spontaneamente vuol dire preparare il terreno all’aumento dei tassi a breve termine da parte della Fed, quando sarà necessario.

Cosi’ come il rifiuto di emettere nuovi titoli di stato per il mercato repo puo’ essere un anticipo di una futura riduzione (tapering) del QE, se la situazione dovesse richiederlo.

Aumento dei tassi a breve termine e “tapering” del QE: proprio quelle due misure che la Fed, per non turbare i mercati, dice di non voler implementare fino al 2023…

Due misure che pero’, in modo implicito, la Fed forse si sta già preparando a adottare in vista del momento in cui l’inflazione ufficiale supererà il 2% o il 3%.

Insomma, in America l’inflazione è il convitato di pietra che aspetta di essere invitato ufficialmente al banchetto, ma a cui è già riservato il posto d’onore nell’economia del prossimo futuro.

E in Europa?

Come abbiamo spiegato in questo articolo, l’Unione Europea ha un sistema tutto suo per trasformare gli incrementi di beni e servizi in incrementi fiscali, in modo da stralciarli dal calcolo dell’inflazione.

In questo modo i cittadini hanno comunque una perdita di potere d’acquisto, senza pero’ che questa si manifesti come un deprezzamento dell’euro e quindi un’inflazione.

Questa truffa di vasta portata diventa rischiosa di fronte alle crisi economiche, come quella dovuta al covid.

Un azzeramento rapido e quasi totale delle entrate fiscali e una caduta troppo veloce del PIL rischiano di rompere il giocattolo.

Per questo l’Unione Europea è stata costretta a varare un programma di aiuti (il Recovery Fund) che, come spiegato nell’articolo già citato, faccia da amplificatore ai meccanismi che mascherano l’inflazione, sovrastando le distorsioni dovute alla crisi.

Ma questa mossa ha un effetto collaterale: lo sforzo di generare questa liquidità in eccesso rischia di provocare un’inflazione a scoppio ritardato sull’euro.

Questo rischio ha reso necessario, come antidoto preventivo, una ulteriore stretta alla libertà di impresa e persino ad alcune libertà individuali.

Con quale scopo?

L’obiettivo è quello di tenere sotto controllo la ripresa dei consumi.

“Liberalizzare” i consumi in modo graduale, con la possibilità di limitarli e di estenderli a piacimento, secondo le necessità del momento, permette di contenere eventuali balzi in avanti dell’inflazione non previsti e improvvisi.

Un secondo “antidoto” è invece la riduzione del numero di imprese piccole e medie e una concentrazione di beni e servizi nelle mani di pochi soggetti pubblico-privati che fanno capo a multinazionali e altre entità globali private che obbediscono agli ordini degli stati.

Questo antidoto permette di rendere piu’ semplice il meccanismo con cui l’UE maschera l’inflazione (leggendo il nostro articolo si comprende meglio questa affermazione).

Riassumendo: l’Occidente inizia ad annusare l’inflazione (che in realtà è già tra noi), ma il modo con cui la sta affrontando è variabile.

In America, l’illimitata creazione di liquidità permette ai cittadini (per ora) di compensare la perdita di potere d’acquisto con gli investimenti di borsa, l’aumento degli immobili e un indebitamento poco rischioso (ufficialmente).

In Europa, la minore capacità di stampare euro rende invece necessario l’instaurarsi di un sistema che ricorda l’Unione Sovietica degli ultimi anni, dove l’unica misura rimasta per prevenire un crollo era congelare tutto a tempo indeterminato, fino a che una soluzione sarebbe piovuta dal cielo.

Perché la Fed ieri non è riuscita a riequilibrare le borse

Dopo il discorso di ieri di Powell, le borse USA hanno reagito in due modi opposti.

Da una parte, l’indice Dow si sta incrementando, mentre dall’altra lo S&P500 e il Nasdaq sono nuovamente in discesa.

Per quale ragione?

La prima parte dell’equazione è facile da spiegare: Powell ha magnificato le sorti delle future riaperture dell’economia americana, incoraggiando cosi’ a comprare i titoli del Dow, che di solito rappresentano aziende che potrebbero incrementare i loro profitti con la ripresa delle libertà di movimento e di consumo dei cittadini.

La seconda parte richiede qualche spiegazione in piu’, ma cerchero’ di farla semplice.

Il governo USA si ritrova con dei soldi in piu’ da spendere.

Il Tesoro americano ha un surplus di liquidità ereditato dal precedente governo, pari a circa 1,6 trilioni, residuo di un precedente pacchetto di aiuti al covid di 4,4 trilioni che non erano stati interamente spesi.

Già il governo precedente aveva deciso di usare questa liquidità spendendola in misure di sostegno all’economia e alla società.

Infatti, a partire dalla fine di dicembre, il Tesoro ha iniziato a spendere parte di questi soldi in un programma di stimoli da 600 miliardi che prosegue tuttora.

Questo modo di immettere liquidità nel sistema è del tutto nuovo, quindi faccio una ulteriore precisazione su questo…

Il governo USA spende direttamente questi soldi senza emettere titoli di stato, mantenendo sotto controllo il proprio deficit

Mentre di solito gli aiuti all’economia comportano un aumento di emissioni di titoli di stato che creano successivamente la liquidità necessaria, questa volta il governo ha potuto riversare direttamente liquidità nell’economia senza la necessità di emettere i titoli di stato corrispondenti.

Perché il governo ha deciso di fare questo?

Perché, usando direttamente liquidità e non titoli di stato, il governo, tra febbraio e marzo, ha potuto mantenere piatta la curva di indebitamento che si era letteralmente impennata nel 2020 (l’indebitamento del governo aumenta, ovviamente, quando vengono emessi piu’ titoli di stato).

Gli effetti collaterali di questo comportamento: scarsità di titoli di stato e squilibri del mercato repo

Tuttavia questa insolita misura sta avendo degli effetti collaterali:

– questi aiuti in forma di cash creano problemi di bilancio nelle banche che devono poi smistare il cash ai clienti. Infatti la liquidità che arriva nei conti correnti dei loro clienti è una passività per il bilancio delle banche.

– Le banche quindi, per evitare queste passività, trasferiscono queste somme sui loro account presso la Federal Reserve. In questo modo, pero’, aumentano le passività nel bilancio della Fed, che al momento è arrivata alla cifra record di 3,6 trilioni.

Riassumendo: mentre prima l’economia aveva un eccesso di titoli di stato e una scarsa liquidità, ora ha il problema opposto: una scarsità di titoli, specialmente quelli a lunga scadenza, e un eccesso di liquidità, sia nelle banche che nelle casse della Fed.

Questa scarsità di titoli di stato si ripercuote nel tasso di interesse di questi titoli nel mercato repo, cioè negli scambi giornalieri tra banche, istituti finanziari, multinazionali e banca centrale.

In questo mercato particolare, in cui i titoli di stato vengono usati come collaterale in prestiti di valuta che durano solo 24 ore, la scarsità di tali titoli ne ha fatto aumentare la domanda, provocando aumenti di prezzo a volte abnormi, come è accaduto un paio di volte col titolo a 10 anni, il cui rendimento (che è inverso al suo prezzo) è precipitato sotto il valore negativo di -3.

La soluzione scelta dalla Fed per riequilibrare il repo

Per aggiustare questi squilibri, la Fed avrebbe semplicemente potuto immettere piu’ titoli di stato su questo mercato.

Invece ieri Powell ha scelto un’altra modalità: incoraggiare gli istituti finanziari che partecipano al repo di immettere i titoli di stato che hanno nei loro bilanci.

In parole povere: invece di immettere lei stessa questi titoli, la Fed proverà a vedere se gli istituti finanziari lo faranno al suo posto. E per far questo, la Fed ha dovuto aumentare i limiti di partecipazione al mercato repo di queste controparti da 30% a 80%.

In questo modo, tali istituti avranno lo spazio legale necessario per aumentare i loro bilanci, a fronte delle eventuali maggiori emissioni di titoli di stato da essi posseduti.

La reazione dei mercati

Ad oggi, sembra che questa soluzione non sia piaciuta ai mercati.

In effetti, nessuno sa se i grandi fondi di investimento che partecipano al repo avranno davvero voglia di fare maggiori emissioni e di espandere i loro bilanci (considera che dovrebbero usare i titoli di stato che detengono per conto dei loro clienti).

Al momento infatti, il rendimento del titolo a 10 anni ha fatto un nuovo balzo giornaliero attestandosi sopra 1,7.

Questo potrebbe essere il preludio di una nuova scarsità di questo titolo, che potrebbe di nuovo squilibrare il suo prezzo nel mercato repo, se i grandi fondi non si degneranno di immettere sul mercato i titoli dei propri clienti.

Di certo, se fosse stata la Fed a emettere volta per volta questi titoli secondo le necessità, tutto sarebbe stato piu’ lineare. In questo modo invece, siamo sempre nell’incertezza, perché le operazioni dei fondi di investimento non saranno costanti e prevedibili come quelle della Fed.

Ecco quindi che la volatilità nelle borse USA è destinata a durare ancora per un po’.

Il Recovery Fund come trucco per ridurre l’inflazione

Mentre le borse nelle ultime settimane hanno avuto un aumento di volatilità a causa dei timori di inflazione da parte degli investitori, i cittadini comuni, specialmente quelli europei, non hanno avuto la stessa percezione di questo rischio. Soprattutto perché, storicamente, sono stati “educati” a non percepirlo.

L’ultima volta che l’inflazione è “apparsa” in Europa fra gli eventi della vita reale è stato negli anni ’80, quando ancora esistevano le valute nazionali.

Dopo l’introduzione dell’euro, che di fatto ha incrementato i prezzi di beni e servizi di quasi il 50%, i governi e la banca centrale europea hanno dovuto imparare a mascherare questi squilibri sui prezzi. E lo hanno fatto cosi’ bene che i cittadini non solo hanno accettato di buon grado la rivoluzione sui prezzi causata dall’euro, ma hanno completamente cancellato il pericolo dell’inflazione nella mentalità comune, relegandolo nei libri di storia come un relitto del passato.

L’inflazione viene mascherata non solo mantenendo artificialmente i tassi d’interesse dei titoli di stato a zero o sotto lo zero, ma anche con una vera e propria manipolazione dei dati statistici sugli aumenti dei prezzi, calcolati dall’autorità europea con l’indice Harmonised Index of Consumer Prices (HICP).

Ecco alcuni meccanismi con cui viene effettuata questa manipolazione.

  • Variazioni nazionali

L’indice HICP viene calcolato sulla base dei dati statistici provenienti dalle statistiche ufficiali di ciascun singolo paese membro.
Dal momento che l’inflazione è un elemento che puo’ fare la differenza, quando si tratta di decidere a quali stati dare aiuti e sovvenzioni e in che misura, è possibile che alcuni stati abbiano interesse a presentare i prezzi migliorati o peggiorati, secondo la convenienza del momento.
Non c’è alcun controllo, da parte dell’Europa, sulla correttezza di questi dati nazionali. Ogni stato è responsabile per conto suo.

  • Quality Changes

Lo spiego con un esempio. Mettiamo che una casa automobilistica produca una nuova versione del modello X di un’auto (chiamiamola X2).
Se X2 ha delle caratteristiche di serie che invece nel modello X erano limitate alle versioni di lusso, l’aumento di prezzo dovuto all’introduzione di queste caratteristiche di serie non verrà calcolato.
Non importa se dopo un po’ di tempo il modello X non è piu’ disponibile e quindi si è costretti a comprare per forza il piu’ costoso X2.

  • Modalità di raccolta dei dati

In molti casi i dati sull’aumento o la diminuzione dei prezzi di alcuni beni e servizi non vengono raccolti con statistiche oggettive, cioè calcolando l’effettiva variazione nel tempo dei prezzi, ma mediante interviste a campioni di popolazione (in cui si chiede se il prodotto Y pesa di piu’ o di meno sul budget familiare rispetto all’anno scorso) oppure sui dati delle agenzie delle entrate nazionali, che stimano quanto stanno spendendo i cittadini per un dato prodotto.

  • Transazioni Monetarie

Anche qui faccio un esempio. Mettiamo che l’acquisto del farmaco Z viene pagato al 60% dallo stato e al 40% dal ticket pagato dal cittadino, l’indice dei prezzi considererà solo il 40% del prezzo di quel farmaco.
In altre parole, l’indice deve considerare solo le “transazioni monetarie”, cioè i prezzi effettivamente pagati dai cittadini, escludendo i prezzi rimborsati dallo stato.
Questa e la manipolazione piu’ importante per quanto riguarda i prezzi dei servizi.
Essa infatti ha permesso in tutti questi anni di addebitare sul cittadino gli aumenti dei prezzi dei servizi sotto forma di aumenti di tasse, che vengono esclusi dal calcolo dell’inflazione sui prezzi.
In questo modo i cittadini hanno imparato ad accettare gli aumenti delle tasse come un fenomeno separato dall’inflazione e quindi meno preoccupante.
Se invece l’indice dei prezzi includesse l’aumento del prelievo fiscale per le voci riguardanti i servizi (ad esempio la parte dei contributi destinata al servizio sanitario), avremmo già riscontrato da tempo un aumento esponenziale dell’inflazione.

  • Esclusione di prodotti

Alcuni prodotti sono esclusi dal paniere su cui vengono calcolate le variazioni dei prezzi di beni e servizi.
L’esclusione piu’ clamorosa è quella degli immobili.
L’indice HICP infatti considera gli immobili come un asset da investimento, simile a una obbligazione o a un’azione di borsa. Ecco quindi che nel calcolo vengono inclusi i costi della manutenzione di un immobile, come anche le rate dei mutui e degli affitti, ma non i prezzi degli immobili.
Questo espediente è stato molto utile nei primi anni dell’introduzione dell’euro, quando vi fu l’ultima gamba di aumento del mercato immobiliare iniziato negli anni ’90.
Se l’inflazione fosse stata calcolata includendo il continuo aumento degli immobili in quel periodo, avrebbe raggiunto livelli allarmanti per la popolazione.
Ma anche nel dopo covid c’è stato un moderato aumento del mercato immobiliare, opportunamente occultato grazie a questo semplice trucco.

Ora che abbiamo piu’ chiari i meccanismi con cui in Europa è stato possibile mascherare l’inflazione per tutti questi anni, possiamo facilmente dedurre quanto sia importante il Recovery Fund per rafforzare questa manipolazione, in vista di un rischio ancora maggiore di inflazione dovuto agli sconvolgimenti valutari sul dollaro e agli sforamenti di spesa dei governi che hanno dovuto pagare i cosiddetti “ristori”.

Il Recovery Fund contribuirà a perfezionare soprattutto i seguenti trucchi:

  • Quality Changes

I maggiori contributi che verranno versati alle multinazionali per facilitare alcune linee di produzione, come ad esempio le auto elettriche o altri prodotti “green”, faranno uscire una quantità di nuove versioni “green” piu’ costose di alcuni beni.
Queste nuove versioni rimpiazzeranno gradualmente le versioni meno costose. Cosi’ noi pagheremo di piu’ per gli stessi beni, ma l’indice dei prezzi non terrà conto di questi aumenti forzati sul nostro budget familiare.

  • Transazioni Monetarie

In Europa, ma soprattutto in Italia, c’è la tendenza a includere alcuni servizi nell’area pubblica, invece che in quella privata.
Ad esempio, esistono già i provider telefonici in tutta Italia, ma lo stato si ostina a finanziare una inutile rete internet pubblica nazionale (miseramente fallita negli anni scorsi, ma che il Recovery Fund potrebbe portare a definitiva realizzazione).
Ogni volta che un servizio passa dal privato al pubblico, i costi che i cittadini pagano per quel servizio non vengono piu’ inclusi nel calcolo dell’inflazione.
Con la scusa della digitalizzazione (peraltro utile per certi versi, non lo nego), in Italia verranno “statalizzati” nuovi settori o parti di servizi già esistenti, contribuendo a stralciare nuove voci di spesa dall’indice ufficiale dei prezzi.

Oltre a questi trucchi di bassa lega, vi sono anche meccanismi economici fondamentali che il Recovery Fund potrà innescare per ridurre l’inflazione.

Ad esempio, il Recovery Fund si sostituirà ai “ristori” (pur essendo un programma per niente dedicato alle normali imprese e attività danneggiate dai lockdown). In questo modo gli stati, non dovendo piu’ spendere per gli aiuti a cittadini e imprese, potranno evitare di aumentare il loro indebitamento. E questo ridurrà la pressione inflazionistica sull’euro, almeno per alcuni anni (sempre che non intervengano altri meccanismi imprevisti di natura contraria).

In definitiva, prima di aprire nuovamente l’economia abolendo i lockdown col rischio di scatenare una inflazione dovuta a un aumento improvviso della “velocità monetaria” (vedi il nostro articolo sull’argomento), molti stati hanno la necessità di avere già in piedi un Recovery Fund ad essi dedicato, che li aiuti a mantenere ancora per un po’ la menzogna della “bassa inflazione” anche nel dopo covid.

Questo spiega il motivo per cui in alcuni paesi europei, diversamente che in America, i lockdown sono ancora (economicamente) necessari e non si vede ancora “la luce oltre il tunnell”, se non nelle vane parole dei politici.

Perché i lockdown fanno comodo alle banche centrali

Negli ultimi 12 mesi è stato stampato più del 25% di tutti i dollari USA che sono in circolazione in questo momento.

La Federal Reserve ha infatti aumentato l’offerta di biglietti verdi del 350% solo nell’ultimo anno:

Questo massiccio afflusso di nuova liquidità avrebbe potuto aggravare la già precaria situazione del dollaro.

Infatti, dopo oltre un decennio di continua stampa di nuova moneta, il valore del dollaro è già quasi una pura convenzione, del tutto scollegata dall’economia e bisognosa di sostegni artificiali, come la manipolazione a ribasso dell’oro e la lotta alle criptovalute.

Il fatto che, durante lo stesso lasso di tempo, il valore del dollaro USA e i tassi di inflazione a lungo termine siano rimasti relativamente stabili ha contribuito a mantenere in piedi la credibilità (convenzionale) di questa valuta.

Tuttavia, durante la pandemia COVID il nuovo afflusso di liquidità di cui parlavamo all’inizio poteva mettere in crisi questo delicato equilibrio.

Per fortuna, a sostenere il valore del dollaro USA e tenere sotto controllo l’inflazione secondaria in beni e servizi ci hanno pensato i seguenti fattori:

  • una drastica riduzione della produzione industriale,
  • un drammatico calo dell’occupazione e dei salari
  • e un rally del mercato azionario.

Tutti questi fattori e molti altri sono inclusi nella grande categoria economica della velocità del dollaro.

Possiamo dire quindi che è questa la causa principale che ha contribuito finora a non far sentire gli effetti della enorme quantità di dollari stampati dalla Fed negli ultimi 12 mesi.

La velocità del denaro è una misura del tasso al quale il denaro cambia di mano. Maggiore è la velocità, più il denaro viene scambiato con beni e servizi – e viceversa.

La pandemia COVID-19 ha quasi azzerato la velocità del denaro negli Stati Uniti, portandola al livello più basso mai raggiunto da quando esiste questo indicatore.

In parole povere: nonostante in 12 mesi siano stati stampati piu’ dollari che negli ultimi 10 anni, è come se nel mondo vi siano molti meno dollari che in qualsiasi altra epoca.

Questo paradosso è un toccasana per le banche centrali, perché evita che le loro politiche monetarie dissennate arrivino a un possibile punto di rottura.

Se fosse per la Federal Reserve, la BCE e altre banche centrali, questa situazione potrebbe durare in eterno. Magari fosse possibile!

Purtroppo per loro, vi sono altri settori ugualmente potenti nella società che invece premono per un rapido abbandono delle politiche basate sui lockdown.

Penso ad esempio a molti settori legati al World Economic Forum: banche commerciali, industria digitale, multinazionali dell’auto e dell’energia alternativa, ecc.

Se questa parte della società dovesse riuscire finalmente a far circolare almeno in parte il denaro in un’economia nuovamente attiva, nessuno sa quale sarebbe l’effetto finale di quella massa impressionante di dollari che ora è temporaneamente sparita dai radar degli indicatori economici.

Per questo assistiamo un po’ in tutto il mondo come a una sorta di incertezza sulle cosiddette “riaperture”.

Ogni tanto alcuni paesi, come gli USA, preannunciano una ipotetica ripresa dell’economia reale a seguito di un altrettanto ipotetico superamento delle misure di contenimento rigide della pandemia.

Ma finora nessuno ha avuto il coraggio di fare il primo passo in questa direzione (a parte alcuni stati poco influenti, come San Marino, la Tanzania, ecc.).

Con quella bomba inesplosa di una massa monetaria infinita pronta a scoppiare, è comprensibile che nessuno voglia innescare la miccia per primo.

E intanto l’incertezza si riversa anche nelle borse, che fluttuano in alto e in basso senza prendere una direzione precisa.

E’ un luogo comune dire che le borse odiano l’incertezza, ma in effetti è proprio cosi’.

Finché un gruppo di paesi che contano non si metterà d’accordo per programmare una vera riapertura dell’economia, le società, le borse, gli asset da investimento, i beni rifugio, ecc. resteranno nel limbo e non accadrà nulla.

Questa è la situazione che stiamo vivendo proprio ora.

Non ci resta che aspettare…

La Cina prepara un nuovo tsunami sui nostri mercati?

Nel lontano 24 marzo 2020, praticamente all’inizio dello scoppio della crisi del covid, quando tutti si soffermavano sugli effetti deflazionistici e recessivi di tale crisi, siamo stati fra i primi a ipotizzare un secondo tempo della crisi che si sarebbe basata invece sull’inflazione.

A giugno dello stesso anno, con i media ancora focalizzati sulla recessione, noi abbiamo ribadito la nostra ipotesi inflazionistica portando nuove prove.

A settembre poi, mentre i media ancora dormivano sonni beati, abbiamo allargato la visuale, informando i lettori che la Cina avrebbe accelerato l’inflazione sul dollaro accumulando una eccezionale quantità di materie prime.

Ora l’inflazione, almeno sul dollaro, è finalmente sulla bocca di tutti, ma noi in questo articolo cercheremo ancora una volta di andare oltre, anticipando un nuovo trend (o forse un vero tsunami) che potrebbe scatenarsi nel prossimo futuro.

Anche stavolta la Cina potrebbe esserne l’origine…ma andiamo con ordine…

Tutti sappiamo che la Cina ha quel fortissimo surplus commerciale che preoccupava Trump e che ora non fa dormire sonni tranquilli nemmeno a Biden.

Il surplus commerciale non è altro che un aumento indiscriminato delle esportazioni rispetto ai beni importati.

Il surplus di esportazioni è quando le aziende cinesi vendono tanta roba in piu’ all’estero, ricavandone tanti profitti in dollari.

Grazie all’inflazione sul dollaro, questo surplus sta avvenendo in uno scenario in cui lo yuan è piu’ forte che in passato.

Talmente forte che la banca centrale cinese deve preoccuparsi di non portare lo yuan a un sovrapprezzamento.

In che modo?

Finora il meccanismo usato dalla banca centrale è il seguente…

Le società cinesi che hanno dei profitti in dollari cambiano questi profitti in valuta locale (yuan) presso le loro banche per poter effettuare le loro operazioni di routine.

Ora, se le banche cambiassero tutti quei dollari usando le loro disponibilità di yuan, si potrebbe avere una riduzione generale di liquidità che farebbe aumentare troppo le già alte quotazioni di questa valuta.

Per tale ragione, ogni volta che vanno effettuati questi cambi, è la banca centrale cinese a fornire alle banche gli yuan necessari.

In altre parole, la banca centrale “fa finta” che ci siano yuan in eccesso, permettendo alle banche di non usare (e quindi non ridurre) la loro liquidità in yuan.

Abbiamo detto che questo è stato il meccanismo…finora

Negli ultimi due mesi pero’ è accaduto un fatto insolito che ha allertato molti esperti e pochissimi media specializzati.

Le aziende cinesi hanno aumentato le richieste di cambi dollari-yuan in vista dei festeggiamenti del nuovo anno (che in Cina durano settimane). Percio’ le banche hanno dovuto cambiare in yuan la cifra record di 107 miliardi di dollari.

Tuttavia questa volta la banca centrale non è intervenuta per calmierare la forte domanda di yuan.

In pratica, la banca centrale non si è ripresi i dollari dalle banche commerciali dando in cambio yuan freschi di stampa.

I dollari quindi si trovano ancora nei depositi delle banche centrali.

Secondo alcuni economisti e capi economici di multinazionali cinesi, questa mossa rivela l’inizio di un possibile cambiamento nelle modalità con cui la banca centrale vuole calmierare la salita dello yuan.

Le entrate commerciali in dollari stanno aumentando drammaticamente e continueranno ad aumentare nei prossimi mesi. Basta vedere all’estrema destra di questo grafico i picchi di gennaio e febbraio:

Se volesse continuare la politica monetaria corrente, la banca centrale dovrebbe rassegnarsi a effettuare i cambi dollari-yuan con le banche a una velocità e magnitudine molto superiore a quella attuale, stampando grandi quantità di nuovi yuan.

Ma secondo molti esperti, la Cina potrebbe non voler espandere troppo questi suoi interventi, sia per non risvegliare le antenne dei radar americani, sempre molto attenti a individuare le manipolazioni valutarie cinesi, sia per non alimentare meccanismi monetari troppo lontani dall’economia reale che replicherebbero gli errori fatti da noi occidentali.

L’aumento di disponibilità in dollari nei depositi delle banche cinesi potrebbe essere quindi la premessa di un meccanismo diverso scelto dalla banca centrale e dal governo per tenere sotto controllo lo yuan.

Quale?

La Cina potrebbe apprestarsi a liberalizzare gli investimenti all’estero, che favorirebbero cosi’ l’uscita spontanea di questi dollari liberando la banca centrale dal fardello di doverli ricambiare in yuan.

In questo modo la Cina colpirebbe due piccioni con una fava:

  • Lascerebbe in equilibrio il proprio bilancio senza venire accusata di manipolazione valutaria.
  • Invaderebbe il mondo di dollari, aumentando ulteriormente l’inflazione reale di questa valuta, già sopra i livelli di guardia.

Gli indizi di questo possibile cambiamento di politica già ci sono.

In realtà, la Cina sta già aumentando le quote cosiddette QDII, cioè le quote di investimenti all’estero permessi alle aziende nazionali.

Il passo successivo potrebbe essere quello di permettere a tutti i cittadini di investire all’estero, aumentando il tetto attuale di soli 50.000 dollari consentiti a tale scopo.

Il governo sa bene che la disponibilità di capitali detenuti dai Cinesi nelle banche (linea rossa) supera del 150% quelli detenuti dagli Americani:

La tentazione di scatenare con tutti quei soldi uno tsunami nei prezzi in dollari di molti asset è quindi piuttosto forte…

Nel 2017 i Cinesi furono i protagonisti di una delle piu’ famose bolle degli ultimi anni: quella di bitcoin.

Ma in quel caso si trattava di una fuoriuscita clandestina di capitali in fuga dalla svalutazione dello yuan.

Negli anni successivi poi i Cinesi, grazie al rafforzamento e al controllo delle restrizioni governative e alla distruzione di Hong Kong (la porta di tutti i flussi di capitali clandestini in uscita dalla madrepatria) sono rimasti semplici spettatori dei trend che si stanno sviluppando nei vari asset.

E noi abbiamo fatto presto ad abituarci alla loro assenza…

Ma cosa accadrebbe se i Cinesi, non piu’ in modo clandestino, ma addirittura aiutati dal governo, rientrassero in massa come nel 2017; e stavolta non solo nelle criptovalute, ma in tutti gli altri mercati e asset?…

Siamo appena agli inizi di questo possibile nuovo trend e non ci sono ancora prove conclusive a favore.

Ma se le nostre ipotesi si avvereranno come le altre volte, ne vedremo delle belle!

Come sempre, non daremo mai nulla per scontato e nella nostra newsletter monitoreremo tutti gli indicatori per poter volta per volta confermarla o smentirla.

Bitcoin e il suicidio dell’occidente

L’anno 2020 ha segnato una pietra miliare nella storia del deficit commerciale americano.

Mentre il resto del mondo, con la crisi del covid, ha tagliato gli acquisti di beni provenienti dagli USA, gli Americani, rifocillati dagli aiuti governativi a fondo perduto, hanno aumentato gli acquisti di beni di importazione.

Questo sbilancio tra import ed export ha portato il deficit commerciale USA alla cifra record di 916 miliardi:

Il deficit commerciale USA non esiste da oggi.

La politica trentennale di delocalizzazione e globalizzazione delle multinazionali USA ha costruito le basi che hanno permesso agli altri paesi di incrementare le esportazioni a scapito del bilancio commerciale americano, costringendo gli USA a difendere il dominio del dollaro come valuta globale, sia con la forza delle armi che con le politiche monetarie accomodanti.

La crisi del covid ha solo amplificato l’estensione del deficit commerciale e dei suoi effetti.

L’impressionante massa di liquidità creata dagli aiuti e dalle politiche monetarie americane legate al covid ha infatti portato la situazione ai livelli mostrati nel seguente grafico:

Come si vede, la massa monetaria M2 in dollari stampata dalla Federal Reserve (linea rossa) è una montagna, rispetto alla massa monetaria stampata dalla banca centrale cinese (linea verde).

Nell’economia reale, questa disparità sta provocando in oriente un dinamismo economico e sociale paragonabile a quello che esisteva da noi negli anni ’50, mentre in occidente porta ineguaglianze economiche e riduzione dell’”opportunity gap” (la possibilità di scalare da una classe inferiore a una superiore).

L’occidente si sta avvitando cosi’ in una spirale in cui il deficit commerciale, incrementando la disparità sociale e l’immobilismo economico, costringe all’adozione di politiche di redistribuzione della ricchezza che hanno effetti inflazionistici.

In sostanza: piu’ dollari, meno ricchezza, piu’ assistenzialismo, piu’ inflazione, piu’ dollari…e cosi’ via…

La situazione inizia a preoccupare persino un keynesiano come Lawrence Summers, segretario del Tesoro nella Presidenza Clinton e consigliere economico di Obama, che di recente ha criticato il nuovo piano di aiuti da 1,9 trilioni previsto da Biden, provocando le ire della Casa Bianca.

La capacità di ottenere alti rendimenti nelle borse o investendo in asset anti-inflazione, come i preziosi e le criptovalute, è diventata una forma compensatoria di questa situazione.

Gli asset anti-inflazione stanno assumendo un ruolo economico sempre piu’ ampio che in America assume risvolti socio-economici.

Una parte considerevole del settore finanziario e produttivo, ma anche ampie fasce di millennials che si affacciano sul mondo del lavoro e iniziano ad avere un reddito e dei risparmi, si proteggono in modo piu’ o meno consapevole contro il dollaro usando gli asset anti-inflazione.

Per la classe politica e per gli organismi di controllo, si apre quindi un dilemma:

Gli asset anti-inflazione vanno combattuti o incoraggiati?

Da una parte, l’uso di tali asset limita gli effetti negativi delle loro stesse politiche monetarie. Altri antidoti studiati a tavolino non sarebbero cosi’ efficaci e a buon mercato; quindi scoraggiare l’uso dei preziosi e delle cripto in modo drastico non è piu’ consigliabile come in passato.

Dall’altra, a lungo andare una “scommessa” in massa contro il dollaro potrebbe un giorno raggiungere un livello oltre il quale si avrebbe lo stesso effetto della scommessa di Soros contro la sterlina.

Nella celebre operazione tanto cara ai complottisti, Soros non fece altro che usare tassi d’interesse favorevoli per ottenere sterline in prestito con cui compro’ marchi.

Alla lunga, la valuta piu’ stabile (il marco) batté la valuta soggetta ad inflazione (la sterlina).

Allo stesso modo, la società civile americana, aprendo in massa posizioni in criptovalute (il “marco” di oggi) e vendendo dollari (la “sterlina” di oggi), potrebbe senza volerlo creare una situazione analoga.

Attualmente, la liquidità impiegata dalle istituzioni (fondi di investimento, multinazionali, banche) per comprare bitcoin è ancora trascurabile (ad esempio, le posizioni in bitcoin aperte da Tesla, per quanto ci sembrino un’enormità, ammontano solo allo 0,2% delle riserve di liquidità di quest’azienda).

Ma se un giorno si dovesse anche solo intravedere la possibilità di un esito letale per il dollaro, vedremo gli organi di controllo e il Congresso USA di nuovo alla carica contro le cripto e i preziosi.

Godiamoci quindi i pochi anni che ci separano da questa nuova, possibile crisi…

Una visione panoramica dei mercati dopo il caso Gamestop

I “retailers” (traders individuali) stanno entrando in massa nei mercati che fino a poco fa erano dominati dagli investitori istituzionali (hedge funds, fondi pensione, fondi comuni, ecc.).

Solitamente, quando i retailers iniziano ad affollare le borse, si avvicina la fine di un ciclo o di una “bolla”. Vogliamo percio’ capire se siamo già a questo punto oppure se ci sono ancora margini di crescita per le borse, prima dell’inevitabile fine.

Il “caso” Gamestop è la parte piu’ visibile di questo fenomeno. Dunque analizziamo meglio questa vicenda.

Contrariamente a quanto si pensa, i 5 milioni di retailers coinvolti nell’operazione (5 milioni è il numero di utenti dell’account Reddit da cui è partito l’attacco alle posizioni short di Gamestop) non avrebbero potuto portare le quotazioni del titolo a un incremento del 400% intraday senza la “collaborazione” dei grandi fondi e dei brokers.

Le operazioni effettuate da grandi masse di retailers  sono state amplificate dalle operazioni fatte in contemporanea dai fondi e dai brokers per evitare perdite, per coprire la leva concessa agli utenti e per approfittare della volatilità.

In questo caso quindi gli utenti di Reddit hanno innescato la miccia e gli investitori istituzionali hanno portato all’eccesso le conseguenze.

Piu’ difficile da capire invece è l’azione dei retailers sul mercato dell’argento.

Infatti, mentre sui futures dell’argento avvenivano le stesse dinamiche che abbiamo appena detto, un insolito aumento di acquisti si è verificato anche nel mercato dell’argento fisico, portando all’esaurimento le scorte di molti rivenditori di monete e lingotti.

Ma quelli che hanno comprato in massa i futures dell’argento sono proprio gli stessi che si sono accaparrati monete e lingotti dai rivenditori, lasciando questi ultimi con i magazzini vuoti?

Se fosse cosi’, dovremmo concludere che questa volta l’attacco da parte dei retailers di Reddit avesse un obiettivo diverso dal semplice guadagnare in fretta tanti soldi.

Comprare sia argento di carta (futures) che argento fisico implica infatti una finalità diversa, che è quella di mettere a nudo la disparità dei due mercati, con il mercato fisico sempre a corto di materia prima e quello di carta che registra false quantità in eccesso, manipolando cosi’ a ribasso il prezzo ufficiale.

Molti media hanno ipotizzato proprio questa finalità, che pero’ potrebbe essere confermata solo se si sapesse con certezza che proprio gli stessi retailers di Reddit abbiano comprato sia il fisico che la carta. Cosa ben lontana dall’essere provata.

Un altro aspetto del tutto ignorato dai media è che queste scosse telluriche hanno alterato alcune metriche con cui monitoriamo i mercati.

Sull’argento ad esempio, il blitz dei retailers ha (avrebbe) decretato la fine di un decennale trend ribassista, perché, come si vede in figura, il future ha rotto a rialzo, e di molto, il canale ribassista indicato dalle linee nere:

Sarebbe un risultato storico. Ma dobbiamo considerarlo autentico, oppure si tratta di un movimento apparente, destinato a svanire non appena gli effetti del “push” dei retailers verrà assorbito dal mercato?

Le stesse domande dovremmo farci riguardo agli altri trend “apparenti”, come l’aumento della volatilità del 10% (VIX) o il ribasso di fine mese dello S&P500, che hanno marchiato gennaio come mese “ribassista”, nonostante altri indicatori dicano il contrario.

Un inizio anno “ribassista” getta una luce ribassista su tutto l’anno, mettendo sulla “difensiva” gli algoritmi e le strategie dei gestori di fondi. E tutto questo avrebbe un effetto “calmante” sulla bolla dei mercati, facendo raffreddare l’euforia che di solito porta velocemente allo scoppio della bolla stessa.

In tal caso quindi, la narrativa che abbiamo citato all’inizio, secondo cui le speculazioni dei retailers portano sempre alla fine di un ciclo, dovrebbe essere rivista.

Questi movimenti speculativi potrebbero avere avuto in questo caso un potere “ritardante” sull’andamento del ciclo attuale e forse non ci stanno affatto avvicinando allo scoppio della bolla, ma al contrario ce ne stanno allontanando.

Non sappiamo con certezza se sia davvero cosi’. Ma un indizio sembra suggerire che i mercati non siano ancora pronti per l’euforia finale che precede la fine, ed è il fatto che il mercato delle criptovalute non sia stato toccato da queste “follie”.

Non solo le quotazioni delle cripto hanno mostrato un’eccellente stabilità, ma anche le metriche piu’ approfondite, come quelle di Glassnode, continuano a mostrare un mercato fondato sull’investimento conservativo, piu’ che sulla speculazione.

A inizio febbraio, nel pieno della speculazione su GameStop, abbiamo visto una accelerazione dei bitcoin tolti dal mercato e riversati su varie forme di deposito a lungo termine:

Inoltre, il numero degli account attivi sugli exchanges è tornato a livelli molto bassi per il periodo, senza pero’ provocare una caduta delle quotazioni. Segno che queste ultime sono determinate dai movimenti conservativi (gli investimenti a lungo termine, i depositi da “cassettista” e non ultime le forme di stacking e di farming), piu’ che dalla follia speculativa:

Infine, quest’altro indicatore, chiamato SOPR, mostra che le vendite sono arrivate al fattore 1, cioè al punto minimo della speculazione, da cui di solito ripartono altre ondate di acquisti:

Un mercato solido ed equilibrato, insomma, quello delle cripto – sempre che fra qualche mese i nuovi inquilini del Tesoro e della SEC non lo rovinino con qualche norma irrazionale e anticiclica.

Sta di fatto pero’ che al momento l’unico mercato che non ha avuto le metriche alterate dalle speculazioni targate Reddit mostra di avere un ciclo ancora ben strutturato e senza traccia di degenerazione.

Ma se si guarda meglio ai trend economici fondamentali, tutto il mercato finanziario, non solo quello cripto, mostra ancora una tendenza conservativa, a dispetto dei “diversivi” creati dalla breve saga Reddit.

Nel primo trimestre del 2020 infatti, l’impressionante cifra di 3 trilioni provenienti dai capitali investiti in borsa erano confluiti nei piu’ conservativi e poco rischiosi fondi monetari.

Poi, nel secondo trimestre, un altrettanto impressionante ritorno di capitali nelle borse (1 trilione circa) aveva innescato la ripresa del ciclo rialzista interrotto dalla pandemia.

Allo stesso tempo, l’aumento della massa monetaria a circa 7 trilioni provocata dalle politiche di aiuti del Tesoro USA e le politiche della Fed mettevano a disposizione altra liquidità al ciclo.

Questa liquidità pero’ non è ancora entrata nelle borse, mentre allo stesso tempo esistono ancora 2 trilioni nei fondi monetari che non sono stati ancora messi a “rischio” nel ciclo.

E’ vero poi che una piccola parte di questa liquidità si sta riversando nelle cripto, ancora una volta pero’ con tattiche conservative piu’ che speculative (le defi e i moderni sistemi di “interest farming” sono la nuova moda).

Cosa ci dice tutto questo?

Ci dice che la massa monetaria che sta fuori dai movimenti speculativi è molto maggiore di quella impiegata negli episodi speculativi (e questo non solo nelle cripto, ma proprio in tutto il mercato in generale).

Non è statisticamente possibile trovarci alla fine della bolla, quando un’immensa quantità di valuta sta ancora ai margini e non viene investita.

A mio avviso, i retailers non stanno (ancora) esasperando la bolla-di-tutte-le-cose, ma si limitano ad azioni mirate non necessariamente distruttive. La loro liquidità è in ogni caso marginale rispetto a quella che non è ancora entrata sul mercato.

Le loro azioni rendono inoltre piu’ difficile interpretare i dati che permettono di prendere decisioni di trading e quindi costringono tutti ad essere piu’ prudenti. E la prudenza, se non erro, è il contrario dell’euforia.

A una visione piu’ approfondita, quindi, il ciclo attuale mostra ancora tendenze conservative e liquidità inespressa del tutto incompatibili con un possibile imminente scoppio di una bolla.

Tutta la verità sul caso Gamestop

Tutti i media hanno parlato dell’incredibile “short squeeze” provocato da migliaia di traders che hanno eseguito acquisti contemporanei sul titolo Gamestop (GME) dopo aver coordinato i loro movmenti nella chat di Reddit.

Uno short squeeze avviene quando la quotazione di un titolo aumenta bruscamente, costringendo i trader che hanno posizioni a ribasso ad acquistare azioni per coprire le perdite che si materializzano man mano che il titolo sale.

Gli utenti di Reddit, accorgendosi che GameStop era uno dei titoli con piu’ posizioni a ribasso sul mercato, hanno deciso di sfruttare l’opportunità e, con un’efficace messaggistica online, hanno coinvolto migliaia di traders per portare il prezzo delle azioni GME oltre il punto di svolta che ha costretto i traders short a iniziare la copertura.

Grandi società di investimento, come Melvin Capital, si sono trovate tra l’incudine e il martello, cioè tra il dover vendere altri titoli per coprire le perdite oppure attingere a riserve di liquidità per coprire le loro posizioni short su Gamestop, aggiungendo ancora più benzina sul fuoco.

Questa è la parte della storia raccontata dai media, oltre al fatto che in 24 ore semplici traders sono riusciti a creare delle fortune sottraendo soldi alle grandi società di Wall Street che avevano accumulato gli short saltati in aria.

C’è pero’ un’altra parte della storia che i media non raccontano e che riguarda alcune conseguenze impreviste di questo episodio.

Prima conseguenza: un colpo sferrato al trend di lungo termine della borsa USA

Mentre questa folle azione stava andando in porto, l’S&P 500 scendeva di circa l’1% e ha continuato a scendere anche il giorno successivo, raggiungendo un ribasso di circa il 3%.

Non penseresti che un rialzo, anche se enorme, su un singolo titolo possa causare un sell-off in tutto il mercato, ma è esattamente cio’ che è successo.

Infatti, poiché le azioni GME sono aumentate di oltre il 400%, la quantità di denaro necessaria a istituzioni e gestori di hedge fund per coprire le posizioni short sul titolo è stata ottenuta grazie alla chiusura di posizioni in grandi titoli come Apple, Microsoft, ecc.

E tutti sappiamo che questi pochi titoli ad alta capitalizzazione dominano gli indici di borsa. Per cui basta un’ondata di vendite su di essi per buttare giu’ l’intero indice.

Ma c’è di piu’.

Questo ribasso dell’indice, assieme al rialzo del VIX di circa 10 punti tra il mercoledi e il giovedi successivo, potrebbe aver compromesso il trend annuale di tutto il mercato.

I robot che attualmente, come si sa, dominano il mercato, hanno infatti registrato questi valori sull’indice e sul VIX, influenzando cosi’ le “decisioni” che verranno prese dai loro algoritmi nei prossimi mesi.

I movimenti di gennaio spesso sono usati dagli algoritmi come indicatori per prevedere l’andamento dell’anno.

Lo short squeeze quindi potrebbe aver indotto gli algoritmi a considerare negativo l’intero mese di gennaio, con imprevedibili conseguenze nella loro operatività nel resto dell’anno.

Seconda conseguenza: ancora una volta Wall Street ha giocato sporco

Il giorno dopo lo short squeeze, quindi a partire da giovedì mattina, le due piattaforme Robinhood e TD Ameritrade hanno bloccato la possibilità di fare ordini di acquisto su GME.

Per intenderci: la SEC non ha mai detto di interrompere le negoziazioni su GME. Si tratta di una iniziativa del tutto arbitraria e illegale dei due brokers, che ha dato il tempo ai grandi fondi di coprire le proprie posizioni short, mentre l’esercito dei traders di Reddit perdeva il controllo delle posizioni long.

A detta poi di alcuni post non confermati apparsi su Twitter, sembra che il giorno dopo i due brokers abbiano anche impedito operazioni di vendita su GME, costringendo alcuni dei “ragazzi” di Reddit a tenere le loro posizioni mentre le quotazioni scendevano.

Va detto che è in corso un’interrogazione parlamentare sulla condotta di Robinhood, mentre già due class actions sono state intentate contro la piattaforma

Ma chi sono stati i beneficiari della mossa illegale decisa dai due brokers?

Il sospetto maggiore ricade su Citadel, la potente società di investimento globale che notoriamente aveva accumulato posizioni short su GME. La società ha legami diretti con Melvin Capital, azienda che a sua volta possiede quote di controllo proprio di Robinhood, uno dei due brokers protagonisti di questa opaca vicenda.

E.. a proposito, diversi media americani hanno anche ricordato che Janet Yellen (il nuovo capo del Tesoro USA nominato da Biden) aveva effettuato consulenze proprio per conto di Citadel, ricevendone la sostanziosa cifra di 800.000 dollari. E sembra che la Yellen sia stata al telefono tutto il giorno giovedì con i dirigenti di Wall Street…

Tutto questo ci porta a fare le seguenti conclusioni su questa storica settimana di trading.

  1. Come al solito, quando Wall Street inizia a perdere al proprio gioco, semplicemente cambia le regole, sicura della propria impunità. Per fortuna stavolta potrebbero esserci delle noie legali, anche se non credo che le inchieste e le denunce arriveranno a toccare i piani alti…
  2. Per quanto romantica appaia l’iniziativa dell’esercito di Reddit, c’è anche una parte di irresponsabilità e di sprovvedutezza nell’azione di questi presunti Robinhood del trading, che rischia di rovinare l’intero anno di contrattazioni.
  3. Ora che gli indici hanno chiuso in negativo anche venerdi, ultimo giorno di contrattazioni del mese, gli algoritmi hanno archiviato gennaio come un “mese negativo”, ridimensionando le stime a rialzo dell’intero 2021, con conseguenze imprevedibili nelle loro reazioni ai futuri movimenti del mercato.

Un motivo di preoccupazione in piu’ per chi ogni giorno cerca di fare trading in modo equo e senza tanti grilli per la testa…

In America si vedono i primi effetti dell’inflazione. E da noi?

La IHS Markit, uno dei principali istituti di ricerca economica nel mondo, ha pubblicato il suo rapporto periodico sull’indice dei responsabili degli acquisti (PMI).

Il rapporto segnala un aumento dei prezzi alla produzione in America:

  • “Le pressioni inflazionistiche si sono intensificate poiché i ritardi e le carenze dei fornitori hanno spinto al rialzo i prezzi alla produzione”.
  • “Il tasso di inflazione dei costi di produzione a gennaio è stato il più veloce mai registrato (da quando la raccolta dei dati è iniziata nell’ottobre 2009), poiché è stato notato anche l’aumento vertiginoso dei costi di trasporto e DPI”.
  • Tra una maggiore espansione della produzione e nuovi ordini, i produttori hanno sperimentato “significativi ritardi nella catena di approvvigionamento, carenza di materie prime e accumulo di scorte presso i produttori” che “hanno spinto verso l’alto i prezzi”.

E tali aumenti stanno trasmettendosi anche ai prezzi alla vendita:

  • I produttori hanno aumentato i prezzi di vendita “al ritmo più rapido dal luglio 2008 nel tentativo di trasferire parzialmente gli oneri dei costi più elevati ai clienti”.
  • “Un certo numero di aziende è stato in grado di trasferire in parte maggiori oneri sui costi … poiché il ritmo dell’inflazione si è accelerato a un ritmo elevato”.
  • “L’impatto è stato meno marcato nel settore dei servizi poiché le aziende hanno cercato di aumentare le vendite”.

Queste pressioni sui prezzi si sono risvegliate a giugno, dopo il crollo della domanda nei mesi precedenti, e da allora sono aumentate soprattutto nei prodotti alimentari, acciaio e materiali da costruzione.

I prezzi di grano, mais e soia sono aumentati a livelli che non si vedevano da oltre sei anni a causa della forte domanda dalla Cina e delle scorte basse degli Stati Uniti. Tali aumenti stanno già trasferendosi ai prezzi al dettaglio.

Secondo l’indice delle costruzioni commerciali della Camera di commercio degli Stati Uniti, nel quarto trimestre 2020 il 71% dei costruttori ha segnalato una carenza del 54% di prodotti e materiali, in particolare acciaio, prodotti elettrici diversi dal filo di rame e prodotti per l’illuminazione.

I prezzi del legname (legato a doppio filo al settore delle costruzioni) hanno iniziato a salire lo scorso giugno e hanno raggiunto i record di tutti i tempi fra agosto e settembre. Sebbene i prezzi si siano leggermente ritirati a gennaio, essi superano ancora tutti i record precedenti, mentre il 31% dei costruttori segnala una carenza di legname dell’11% nell’ultimo trimestre”.

Le pressioni sui prezzi vengono ora segnalate anche nel settore dei servizi – principalmente finanza, assicurazioni, sanità, servizi di informazione e servizi professionali (qui una disamina nel distretto di New York).

È interessante notare che queste pressioni sui prezzi negli USA si stanno verificando anche se l’economia non è certo in espansione, con il PIL in calo del 2,8% nel terzo trimestre rispetto a un anno prima e la sparizione di 10 milioni di posti di lavoro.

Quando l’economia migliora, la salita dei prezzi è conseguenza di un aumento delle attività produttive e della capacità individuale di procacciarsi delle entrate.

Nel nostro caso invece la salita dei prezzi è dovuta a una scarsità di offerta e distribuzione di prodotti, unito a una perdita di potere d’acquisto del dollaro rispetto alle valute dei paesi dove vengono prodotte le materie prime.

In Europa vi sono diversi meccanismi che mascherano ancora l’inflazione. Ma l’eccezione non resterà tale a lungo.

Quando l’Europa dovrà necessariamente riaprirsi al mercato e alla produzione, i prezzi (aumentati) delle materie prime e dei prodotti produrranno uno shock socio-economico.

Per questo dalle nostre parti si cerca di allungare i tempi del “contagio” a tempo indefinito.

Meglio restare ancora un po’ nella campana di vetro della pandemia e dei ristori economici, piuttosto che dover nuovamente affrontare il mondo reale li’ fuori…

Il Re è nudo: Bloomberg scopre che la BCE puo’ manipolare lo “spread”

Quasi tutti gli Italiani, anche i meno “complottisti”, hanno sempre sospettato che lo “spread”, cioè la differenza dei tassi d’interesse tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi, venisse manipolato in occasione di particolari situazioni politiche particolarmente avverse alle élites che controllano il parlamento e la commissione europea.

Il fatto che questo spread aumentasse proprio in tali circostanze per poi tornare sotto controllo magicamente una volta che la situazione politica veniva ricomposta, è un indizio indiretto troppo palese per non creare forti dubbi anche in chi non è propenso a “pensare male”.

Ebbene ora Bloomberg ha scritto un articolo che conferma candidamente questo dubbio inconfessabile.

Nello stile da “Le Carré” che a volte assumono i media mainstream quando vogliono divulgare notizie scomode, Bloomberg afferma di aver saputo la cosa da una fonte attendibile, ma che i rappresentati della BCE interpellati dal quotidiano non hanno voluto rilasciare commenti…

Vediamo di chiarire meglio il meccanismo di cui stiamo parlando.

Tutte le banche centrali mantengono sotto controllo la curva dei tassi d’interesse, facendo si che i tassi a breve siano sempre inferiori a quelli a lungo termine.

Una curva dei tassi “in ordine” rassicura gli investitori dei titoli di stato ed evita pericolosi scompensi di mercato che si ripercuoterebbero sui bilanci dei governi che emettono tali titoli.

Diversamente che per le altre bance centrali, per la BCE il controllo della curva dei tassi è molto piu’ complicato.

Infatti le altre banche centrali devono regolare i tassi dei titoli emessi da un solo paese di riferimento.

La BCE invece deve calibrare i tassi su ben 19 titoli diversi, emessi da tutti i paesi che hanno come valuta l’euro.

Mettiamo che il tasso ufficiale a lungo termine per l’eurozona venga fissato allo 0,5%. Dal momento che ciascuno dei 19 paesi che hanno l’euro emette i suoi propri titoli di stato a lungo termine, è necessario che i tassi di tutti questi paesi si armonizzino tra loro in modo da rispettare nel complesso il tasso ufficiale allo 0,5%.

Visto che le obbligazioni emesse da paesi come Italia, Spagna, Grecia, ecc. tendono ad avere tassi maggiori in relazione alle loro economie piu’ deboli, ecco che la BCE deve acquistare maggiori quantità di questi titoli, per rendere i loro tassi paragonabili a quelli di paesi come la Germania, l’Olanda ecc.

Se la BCE non facesse questo, il mercato percepirebbe che i tassi di questi titoli sono destinati a salire e quindi venderebbe i titoli in questione, innescando un effetto a cascata in cui le vendite aumentano i tassi, e questi incrementano vendite, e cosi’ via…

Finora la BCE è sempre riuscita ad evitare eventi del genere, modulando gli acquisti dei titoli di stato dei vari paesi in modo da “pareggiarne” i tassi.

Stranamente, come dicevamo, in occasione di alcune crisi politiche italiane particolarmente invise alle élites, questo equilibrio è sembrato andare fuori controllo, per poi ricomporsi una volta che la crisi era risolta.

Ci siamo sempre chiesti se questi squilibri “a comando” fossero intenzionali.

L’articolo di Bloomberg ce lo conferma, dichiarando che la BCE effettua realmente questo tipo di manipolazione e quindi ha realmente il potere di modificare i tassi relativi dei vari paesi a proprio piacimento.

Da parte nostra, aggiungiamo solo queste osservazioni:

– se tutti sanno che i tassi di certi paesi europei sono mantenuti bassi in modo artificiale, come mai le economie di questi paesi non vengono screditate dai media e continuano a godere della “stima” dei mercati e dei consessi internazionali?

– anche se la BCE sembra avere il controllo di tutto, esiste un caso in cui questo controllo potrebbe fallire (e stavolta per davvero, non per finta, come nelle crisi politiche italiane): il ritorno di una inflazione sull’euro.

Per ora la pandemia sta creando pressioni inflattive solo sul dollaro, ma chissà che in futuro anche l’euro dovrà capitolare…

In tal caso, le élites perderebbero la loro arma principale di ricatto politico sui paesi come l’Italia.

I tassi salgono, ma nessuno vede la valanga che sta arrivando…

Abbiamo sempre detto fino alla noia che l’incremento dei prezzi di tutti gli asset da investimento (azioni, derivati, etf, criptovalute, ecc) è dovuto all’incredibile massa di liquidità versata sia dalla Federal Reserve sui mercati che dal Tesoro sull’economia reale.

In totale, parliamo di circa 6 trilioni, da sommare a quelli che verranno versati nel 2021 (probabilmente il doppio o il triplo di tale cifra, visto che giovedi Biden si è già fatto avanti con una proposta da 1,9 trilioni).

Da poche settimane pero’ si è affacciato un nuovo fattore inaspettato che potrebbe rendere ancora piu’ stupefacente questa bolla generalizzata dei mercati. Questo fattore è il rialzo dei tassi d’interesse dei titoli di stato USA a lungo termine.

Nel nostro canale telegram avevamo già fatto notare che il rendimento del Tesoro a 10 anni è salito oggi sopra l’1% per la prima volta da marzo, evidenziando il lato potenzialmente negativo di questo fenomeno (ma niente paura: questa negatività verrà annullata dall’enorme disponibilità di dollari che abbiamo citato sopra).

Non abbiamo ancora spiegato invece il meccanismo che, in questa particolare fase storica, farà in modo che il rialzo dei tassi a lungo termine diventi un inaspettato moltiplicatore di ottimismo nelle borse.

In effetti è rarissimo che un aumento dei tassi avvenga in circostanze tali da innescare questo meccanismo virtuoso. E cio’ rende questa bolla generalizzata, già stupefacente per la sua forza e durata, qualcosa di davvero unico nella storia.

Vediamo quali sono gli ingranaggi di questo meccanismo…

Una insperata rifioritura delle banche americane

Tutti sappiamo che le banche guadagnano denaro prendendo in prestito a tassi di interesse a breve termine e poi prestando a tassi di interesse a lungo termine, di solito maggiori dei primi. Lo spread tra i due è chiamato margine di interesse netto (“MIN“).

Da diversi anni, con la Federal Reserve che mantiene i tassi di interesse a breve termine vicini allo zero, le banche americane non devono pagare molto per prendere in prestito denaro.

Ora pero’, con i tassi di interesse a lungo termine in aumento, le banche potranno anche vedere espandere il loro MIN a livelli mai sognati negli ultimi dieci anni.

Quindi, la combinazione di tassi d’interesse a breve vicini allo zero e tassi a lungo termine in aumento permetterà a molte banche americane di avere finalmente dei bilanci in perfetta salute e renderà molto piu’ facile alle aziende prendere denaro in prestito da queste banche.

Il rally in borsa dei titoli bancari USA ci conferma che anche il mercato ha intuito che la decennale fragilità del sistema bancario-creditizio americano sta per avere termine, almeno per un certo periodo, e che l’economia reale verrà a sua volta beneficiata da questa nuova situazione.

L’inversione della curva dei rendimenti è scongiurata

La “curva dei rendimenti” rappresenta la differenza tra i tassi di interesse a lungo e breve termine.

Nella “normalità” delle cose, i tassi d’interesse a lungo termine sono sempre piu’ alti di quelli a breve termine, in quanto il rischio di impegnare soldi per un tempo piu’ lungo deve essere compensato da un rendimento maggiore.

Forse ricorderai che a fine agosto 2019 diversi media finanziari parlavano allarmati di una “inversione della curva dei rendimenti”, cioè una inversione di questo rapporto tra tassi a breve e tassi a lungo termine (i tassi a breve stavano diventando paradossalmente piu’ alti di quelli a lungo termine).

Nella storia recente questa inversione, verificatasi otto volte, è sempre stata seguita da una recessione. Ed anche quella volta, con una relazione causa-effetto ancora difficile da valutare, l’inversione dei tassi anticipo’ di sei mesi la recessione dovuta alla pandemia.

Oggi per fortuna, sempre grazie al rialzo dei tassi a lungo termine, le cose stanno in modo molto diverso…

La situazione attuale, che combina liquidità illimitata e illimitata possibilità di mantenere i tassi a breve sotto controllo, assieme alla possibilità che una ripresa economica mantenga a lungo l’ottimismo che sta provocando la salita spontanea dei tassi a lungo termine, contiene la migliore combinazione di fattori capaci di scongiurare la temuta inversione dei tassi che aveva tanto allarmato gli esperti due anni fa.

Il tasso “overnight” non è mai stato cosi’ sotto controllo

Anche la brusca salita dei rendimenti dei tassi “overnigh” (i tassi ai quali le banche si prestano denaro giornalmente) era stato a fine 2019 un inquietante indicatore della recessione poi puntualmente verificatasi col covid.

In quelle settimane convulse, la Federal Reserve, constatando di non riuscire a riprendere il controllo di questo tasso, si sostitui’ alle banche come prestatore giornaliero di ultima istanza (un evento che ha pochi precedenti nella storia) e solo nella primavera del 2020 riusci’ a ristabilire la liquidità delle banche.

Oggi invece, come abbiamo già spiegato nel punto precedente, la combinazione di liquidità illimitata e tassi a lungo termine in rialzo dovrebbe far dimenticare alle banche qualsiasi problema di liquidità, per un tempo piuttosto lungo. Percio’ anche il tasso overnight dovrebbe diventare un incubo del passato.

È importante notare che questi 3 ingranaggi stanno già iniziando a funzionare ben prima che ulteriori stimoli raggiungano le tasche della maggior parte degli americani e che la Fed immetta ulteriore liquidità nei mercati.

Cio’ vuol dire che il nuovo pacchetto di stimoli, che potrebbe oscillare tra i 3 e i 4 trilioni di dollari, una volta adottato potrebbe fare l’effetto della benzina gettata su un incendio, portando l’attuale “bolla-di-qualsiasi-cosa” a livelli piu’ alti di quelli già fuori misura che avevamo previsto finora.

Ma c’è un ultimo ingranaggio che dobbiamo citare. Ed è forse il piu’ sorprendente di tutti…

Il collasso programmato del dollaro

I titoli di stato sono delle obbligazioni. Quindi il loro rendimento si riflette su quello delle altre obbligazioni private presenti sul mercato.

Ora, come accade con l’oro, le azioni, le materie prime, ecc., anche le obbligazioni hanno i loro corrispettivi nel mercato dei derivati.

I derivati obbligazionari valgono, nel loro complesso, 500 trilioni di dollari (per fare un paragone, il mercato dei CDS che provoco’ la crisi del 2008 ne valeva solo 50).

Se quindi l’aumento dei tassi nei titoli di stato a lungo termine dovesse provocare un effetto a catena anche nei tassi delle altre obbligazioni, il terremoto che ne deriverebbe verrebbe amplificato mille volte nei derivati corrispondenti, provocando una crisi peggiore di quella del 2008.

Per evitare il ripetersi di un evento simile, che sarebbe molto piu’ distruttivo, sia per i mercati che per le banche, la Fed non ha scelta: deve far collassare il dollaro.

Ma come si effettua un collasso programmato del dollaro?

Qualcuno ha mai fatto una cosa del genere prima d’ora?

Nella storia vi sono molti esempi di inflazione programmata di una valuta, ma l’esempio piu’ recente e piu’ simile per modalità e circostanze è senz’altro il crollo dello yen provocato dalla banca centrale giapponese.

Nel 2016 la Bank of Japan annuncio’ un QE illimitato per tenere sotto controllo i tassi dei titoli di stato a 10 anni, in particolare, ad ogni risalita di questi tassi sopra lo 0%.

Il risultato fu che in un paio di mesi lo yen scese di oltre il 15%: un valore fuori misura per una valuta, dato che nel forex i movimenti non superano di solito l’1% -2%.

Qualcosa di simile potrebbe anche accadere oggi al dollaro, una volta che la Fed si sarà fatta carico dei tassi a lungo termine in modo ufficiale.

In realtà già ora il mercato sta segnalando questa possibilità, avendo portato il dollaro a un supporto critico (linea nera), rotto il quale la discesa verso i 70 punti è molto probabile:

Inutile dire che una discesa del genere farebbe schizzare i prezzi dei preziosi, delle materie prime e di altri asset non inflazionabili come le criptovalute.

La bolla-di-qualsiasi-cosa non è dunque per niente finita e, anzi, il meglio deve ancora venire…

 

Oro, bitcoin e obbligazioni: inizia la dura partita dell’inflazione USA

Ieri il rendimento dei titoli di stato USA a 10 anni è salito di 8 punti base e si è attestato all’1,04%, il più alto dai giorni di panico di metà marzo 2020 e il doppio dal minimo storico di 0,52% toccato il 4 agosto:

Il motivo di questa ripresa dei rendimenti in un ecosistema che dovrebbe essere a tassi tendenti a zero è che il mercato obbligazionario sta annusando la possibilità di un aumento dell’inflazione.

Le prospettive di inflazione dipendono dalla possibilità di ulteriori pacchetti di stimolo da parte del Tesoro USA per l’economia in difficoltà, che si aggiungeranno a quelli che il Congresso ha già approvato nel 2020.

Tali misure vengono finanziate, come sempre, dall’emissione di debito, esercitando quindi una maggiore pressione a rialzo sui rendimenti e dunque una pressione sull’inflazione.

Il presidente della Fed di Chicago Charles Evans, un membro votante quest’anno del FOMC, ha detto ieri in una riunione virtuale che “francamente se ottenessimo un’inflazione del 3% non sarebbe così male”.

Tuttavia un’inflazione del genere sarebbe una minaccia per coloro che in estate hanno acquistato titoli di stato USA a 10 anni con un rendimento dello 0,6% o anche per coloro che li hanno acquistati oggi con un rendimento dell’1,04%; per non parlare di coloro che hanno acquistato titoli del Tesoro a più lunga scadenza.

Tali rendimenti sarebbero sempre molto al di sotto di questa possibile inflazione futura. E cio’ distruggerebbe il potere d’acquisto del denaro investito in questi titoli.

L’unica soluzione sarebbe che la Fed riprendesse ad aumentare i tassi d’interesse. Ma cio’ è fuori questione, per le ragioni che abbiamo spiegato in questo articolo. Per cui il denaro investito in quei titoli ha il destino segnato, a meno che non venga spostato su altri asset capaci di maggiori rendimenti.

Ecco il motivo per cui oggi c’è la corsa ad accaparrarsi qualsiasi altro asset di investimento che non sia un titolo di stato USA, quindi: azioni, derivati, Etf, preziosi e bitcoin.

Ci sono, beninteso, differenze nei volumi e nell’entità negli acquisti di questi asset. Ad esempio l’oro si incrementa molto meno di bitcoin. Ma cio’ dipende solo da fattori non strutturali, come la manipolazione nei derivati o semplicemente la “moda”.

Si sa ad esempio che l’oro deve sempre subire il peso dei derivati denominati in oro che ne trascinano in basso le quotazioni (anche se con minore efficienza di prima), mentre bitcoin è molto meno manipolabile coi derivati e quindi sale con maggiore costanza.

Le quotazioni degli Etf legati alle materie prime, tanto per fare un altro esempio, potrebbero incrementarsi molto di piu’, come effettivamente sta avvenendo in quelli legati al frumento e al legname (qui di seguito, ad esempio, il grafico di Teucrium Wheat ETF):

L’inflazione legata ai prodotti alimentari è un ottimo indicatore di una possibile inflazione generalizzata.

Quindi il fatto che la FAO abbia registrato preoccupanti aumenti a breve termine di questo indicatore (come spiegato in questo articolo), collegherebbe direttamente le prospettive di inflazione al mercato dei beni alimentari.

Nonostante cio’, gli Etf legati a questi mercati scontano la fascinazione degli investitori su bitcoin, pompata da una parte dell’élite finanziaria per ragioni solo parzialmente individuabili (abbiamo fatto delle ipotesi nella nostra newsletter gratuita), quindi ricevono molti meno capitali di quanto potrebbero.

Nel lungo periodo pero’ dovremmo vedere un livellamento di queste differenze. Nel senso che prima o poi anche gli asset che sono cresciuti di meno avranno il loro momento di gloria.

Mi sembra inevitabile…

Un Congresso USA finalmente riunificato sotto l’ala democratica non avrà certo problemi a far passare l’ulteriore pacchetto di aiuti da 463 miliardi finora bloccato dalle attese sull’esito del voto in Georgia.

Se cio’ avvenisse, un totale di $1.3 trilioni ($908 + $463) inonderebbe l’economia nelle prossime settimane e si aggiungerebbe ai 162 miliardi della Fed già stampati nelle ultime due settimane.

Con queste premesse è lecito ipotizzare che i circa 6 trilioni totali spuntati dal nulla negli ultimi 12 mesi – pari al 31% del PIL americano – verranno raddoppiati o triplicati nel 2021…

Come dubitare che questo tsunami farà aumentare i prezzi di tutti gli asset possibili e immaginabili?

Perché un nuovo QE della Federal Reserve è inevitabile (assieme all’inflazione)

La Federal Reserve ha un problema.

A causa della crisi del covid, il Tesoro americano ha emesso ogni trimestre titoli di stato pari a circa 500-600 miliardi. Ma di questi, la Federal Reserve è riuscita a monetizzare (cioè a comprare) solo la metà:

Se la Fed continua a ricomprare titoli di stato per un valore pari solo alla metà dei titoli emessi dal Tesoro, alla fine del 2021 l’emissione totale del tesoro, pari a circa 2,4 trilioni, verrà riassorbita dai riacquisti della Fed per poco meno della metà, ossia per circa 960 miliardi.

E questo senza contare che nel 2021 il Tesoro potrebbe fare ulteriori programmi di emissione di titoli che incrementerebbero il già stellare ammontare di quei 2,4 trilioni già emessi.

Cosa vuol dire questo?

Nel linguaggio dei mercati obbligazionari, un debito pubblico in continuo aumento che viene monetizzato solo della metà porta inevitabilmente a una cosa sola: l’aumento del tasso d’interesse dei titoli di stato.

Ma un aumento di questi tassi, determinerebbe a cascata una catena di aumenti dei tassi anche nelle obbligazioni “corporate”, cioè quelle emesse dalle aziende.

E questi aumenti avverrebbero in un momento in cui centinaia di aziende americane avrebbero seri problemi a ripagare gli interessi ai loro creditori, anche se vi fosse un aumento di solo l’1% dei tassi.

Guardiamo nel grafico sotto cosa vuol dire questo in pratica:

All’estrema destra del grafico, la linea nera tratteggiata mostra che in caso di problemi ai tassi, il livello di fallimenti delle aziende arriverebbe ad eguagliare quello che vi fu nella crisi del 2008 (il grande picco della linea nera al centro del grafico).

Infatti, se la Fed dovesse perdere il controllo dei debiti di stato, lo spread tra i tassi dei titoli di stato e quelli delle obbligazioni emesse dalle aziende (linea azzurra) supererebbe il picco di marzo scorso (l’ultimo picco a destra del grafico) ed eguaglierebbe il picco ben piu’ alto raggiunto nel 2008 (quello grande al centro del grafico), trascinando con sé la linea nera, cioè innescando una catena di fallimenti societari.

L’unico modo per evitare questa tragedia è che la Fed annunci un altro QE, cioè un altro programma di riacquisti dei titoli di stato, in modo da ricomprare l’altra metà al momento invenduta di questi titoli.

Di recente, sia la banca centrale britannica che la BCE hanno già annunciato un nuovo QE, percio’ è solo questione di tempo perché la Fed prenda una decisione analoga.

Un nuovo QE della Fed è inevitabile.

Facciamo allora due conti.

Abbiamo detto che al QE attualmente in corso, del valore di 125 miliardi al mese la Fed dovrà affiancarne un altro di pari valore.

Allo stesso tempo, Jerome Powell ha anche detto che la politica dei tassi a zero verrà proseguita almeno fino al 2023…

Cosa producono questi due “ingredienti” messi insieme?

Anzitutto, una inflazione galoppante.

La Goldman Sachs prevede che arrivi al 6% nel 2021 e al 15% nel 2024 (la continuazione dei due grafici sotto dopo la linea tratteggiata verticale):

In secondo luogo, ci sarà un aumento ulteriore degli indici di borsa USA a livelli impensabili.

Infatti, l’ultima volta che la Fed fece una politica di tassi a zero pluriennale operando allo stesso tempo dei QE aggressivi, è stata fra il 2008 e il 2015.

E cosa fece lo S&P500 durante quegli stessi anni? Praticamente triplico’ il suo valore:

Se lo S&P500 dovesse muoversi allo stesso modo a fronte del prossimo doppio QE della Fed e dei tassi zero manenuti fino al 2023, arriverebbe a 6.000 punti entro i prossimi 5 anni.

Ma lo S&P500 potrebbe anche fare una mossa piu’ spettacolare, come fece in occasione dei tardi anni ’90, arrivando a 10.000 punti e oltre.

Puo’ sembrare esagerato, ma un rapido aumento del 140% di questo indice è già accaduto altre volte, come ad esempio nei 4 anni del secondo mandato alla presidenza di Clinton:

In conclusione, se dobbiamo basarci sui dati oggettivi della politica monetaria, la “bolla” azionaria americana non ha alcuna intenzione di scoppiare, anzi deve ancora farci vedere il suo lato piu’ spettacolare e potrebbe durare piu’ del previsto.

Ovviamente, a condizione che le politiche della Fed riescano ad impedire lo scoppio della bolla obbligazionaria, l’aumento dei tassi e la cascata di fallimenti aziendali che deriverebbero.

Nessuno ha la sfera di cristallo e quindi non possiamo sapere se la linea tracciata dalla Fed da qui al 2023 avrà ad un certo punto un intoppo che manderà tutto in frantumi.

L’unica cosa che possiamo fare è avere in mente questo schema rialzista di lungo periodo e allo stesso tempo monitorare lo stato di salute del mercato obbligazionario per anticipare eventuali problemi.

Per tenerti sempre aggiornato su questo argomento, nel nostro canale Telegram pubblichiamo ogni giorno le nostre valutazioni in tempo reale su questo e altri trend e indicatori di mercato importanti.

Il mercato dei futures è a una svolta storica grazie alla Brexit

Secondo gli ultimi dati trimestrali della Bank of International Settlements (BIS, la “banca centrale delle banche centrali”), i volumi giornalieri del mercato dei derivati ammonta a $ 9 trilioni. In confronto, nel 2018 le esportazioni di beni e servizi a livello globale ammontavano a meno di $ 100 miliardi al giorno.

Quando si dice che il mondo finanziario ha surclassato l’”economia reale”, è principlamente a questo che si fa riferimento…

Questo immenso mercato è piu’ grande di qualsiasi settore economico “reale”, di qualsiasi bilancio statale o federale e di qualsiasi altro mercato finanziario,

Le grandi banche continuano ad essere i maggiori partecipanti di questo mercato. Fra queste spiccano le 6 maggiori banche al mondo: Bank of America, Citibank, Deutsche Bank, Goldman Sachs, JPMorgan e Morgan Stanley.

Attraverso di esse, le banche centrali possono controllare sul mercato dei derivati i prezzi di molte materie prime, settori industriali e beni di vario tipo.

Manipolando questo mercato è possibile far credere che un settore o un certo bene siano in salute o in disgrazia, secondo le esigenze delle banche centrali (emblematico è l’esempio dell’oro di cui ci siamo occupati molte volte in altri articoli).

Sempre secondo la BIS, il 43% delle transazioni dei futures avvengono su piattaforme e istituti finanziari che risiedono in UK. E una percentuale rilevante di questi derivati è denominata in euro.

Ora, ecco la svolta: a causa della Brexit, l’autorità europea dei mercati di borsa, l’ESMA, ha decretato che dal 31 dicembre Londra non sarà piu’ abilitata a gestire le transazioni dei futures denominati in euro o che vengono tradati per conto di investitori, traders e fondi di investimento europei.

Per capire l’assurdità di questa decisione, basti pensare che a Londra vi sono 2.079 società abilitate a gestire le transazioni dei futures, mentre in tutti i 27 paesi europei messi insieme ve ne sono appena 703

Negli ultimi 47 anni le società londinesi hanno accumulato tutta l’esperienza, la conoscenza e gli strumenti necessari a dominare questo complesso mercato, gestendo le innumerevoli problematiche relative alle varie giurisdizioni, ai delicati equilibri fra i vari istituti bancari e ai rapporti confidenziali fra questi e le banche centrali.

Possiamo solo immaginare quanti anni ci vorranno per le aziende europee, soffocate dal delirio di regolamentazione burocratica del Leviatano a cui sono sottoposti, prima di raggiungere la semplicità di esecuzione, l’affidabilità e la puntualità degli istituti londinesi.

Già Scott O’Malia, direttore esecutivo dell’International Swaps and Derivatives Association (ISDA) ha pubblicato un allarmato articolo che prospetta una possibile frammentazione della liquidità nei derivati a seguito di questo assurdo conflitto di stampo medievale innescato dal Leviatano europeo.

Ma i rischi maggiori si potrebbero presentare nella delicatissima funzione di “clearing” assunta in decenni di esperienza dalla maggiore “clearing house” londinese, la LCH.

Il clearing avviene quando una società (in questo caso la LCH) lavora come intermediario nel dietro le quinte delle transazioni dei derivati, preoccupandosi che tutto il valore nominale dei titoli transati sia coperto dal collaterale necessario.

In sostanza, il clearing è cio’ che conferisce credibilità ai derivati. Senza il clearing non potremmo fidarci se davvero 100 quote di un certo future sul rame corrispondono davvero al prezzo del rame sottostante.

E’ vero che in tanti articoli abbiamo messo in discussione tale credibilità per quanto riguarda le quotazioni dell’oro (e si potrebbe dire lo stesso per le quotazioni del petrolio). Ma, siamo realistici: anche per manipolare ci vuole l’esperienza necessaria a evitare che tutto ci crolli addosso…nessuno, compreso noi, si augura che un giorno tutto il mercato dell’oro vada a farsi benedire a causa dell’inaffidabilità del clearing.

Il rischio che questa funzione cosi’ delicata, attualmente gestita da una società che ha impiegato decenni per metterla a punto (la LCH ogni giorno certifica transazioni per un valore di 1 trilione di dollari!), venga delocalizzata nelle multiple giurisdizioni del balcanizzato settore finanziario europeo sta diventando un vero e proprio incubo nei salotti buoni della finanza.

Al punto che, per il bene supremo della stabilità dei mercati (e, aggiungo, per la stabilità dell’intera economia, ormai dipendente dai derivati quasi all’80%), Londra e Bruxelles hanno dovuto trovare un compromesso, rimandando di 18 mesi la realizzazione di quest’incubo.

Nel frattempo, Bruxelles spera di poter raggiungere (in soli 18 mesi) l’expertise necessaria per sostituire la LCH in questa funzione capace di far cascare il mondo. La stessa funzione che la LCH ha impiegato quasi 50 anni a sviluppare…auguri…!

Mentre stiamo col fiato sospeso in attesa degli sviluppi di questa infernale vicenda, non possiamo non osservare che, fra i due contendenti, potrebbe esserci un terzo escluso destinato a vincere la partita…

Si tratta forse della borsa italiana, piu’ volte celebrata nei telegiornali pecorecci come la prossima erede di Londra?

Niente affatto…

In realtà, c’è una sola piazza dotata di esperienza, capacità e strumenti paragonabili alla piazza di Londra, ed è ovviamente quella di New York.

Per le banche europee sarebbe piu’ facile fare le transazioni sulle piattaforme americane, che hanno già la stessa affidabilità ed esperienza di quelle londinesi, piuttosto che dover aspettare che le piattaforme europee in una notte diventino improvvisamente capaci di gestire il mercato piu’ grande del mondo.

E’ vero che anche in questo caso sarebbe necessario risolvere problemi di giurisdizioni legali e anche di compatibilità tecnica. Ma il risultato sarebbe garantito.

New York alla fine potrebbe diventare il punto di convergenza di tutte le nuove correnti finanziarie che il mondo post covid sta facendo emergere, a cominciare da quella delle criptovalute, per finire con quelle dei derivati.

Speriamo che gli USA si mostrino all’altezza di governare la svolta in questi anni cruciali.

 

 

Aggiornamento sui trend di medio e lungo periodo dell’oro

Ieri Pfizer ha annunciato che il suo vaccino contro il coronavirus è più del 90% efficace nel prevenire la malattia tra le persone senza prove di infezione precedente, proclamando la sua scoperta come “un grande evento per la scienza e l’umanità”.

Alla notizia, i futures Dow Jones sono balzati di oltre 1.400 punti, totalizzando uno dei maggiori aumenti intraday della storia, mentre nel frattempo, anche i futures S&P hanno guadagnato oltre il 3,5%.

Il più grande perdente di ieri è stato il settore dei metalli preziosi.

L’oro, tradizionalmente visto come una copertura contro le turbolenze economiche, è stato oggetto di vendite nel corso di una reazione istintiva alla notizia, scendendo da quasi $ 65 a meno di $ 1.890 l’oncia. E l’argento ha perso più del 5%, scambiando a 24,30 $ l’oncia.

Nel nostro canale Telegram, dove seguiamo in tempo reale diversi trend di borsa, abbiamo anche ipotizzato una manovra manipolativa a ribasso che ha approfittato dell’occasione per peggiorare il trend intraday dei preziosi, riportandoli al di sotto delle loro medie mobili a 100 giorni.

Si tratterebbe della terza operazione manipolativa delle ultime tre settimane (tutte prontamente segnalate nel nostro canale Telegram). Ma, come abbiamo ripetuto in altri articoli, l’efficacia di tali manovre è ormai sempre piu’ scarsa, di fronte ai tanti fattori fondamentali che invece premono, nel medio e lungo periodo, per portare l’oro a quotazioni molto superiori, come abbiamo detto in quest’altro articolo di luglio, ancora valido nelle sue linee essenziali.

Uno di tali fattori di medio-lungo periodo è senz’altro la presenza di stimoli monetari senza precedenti, da parte della Federal Reserve, che provocano una pressione inflattiva sul dollaro altrettanto forte e prolungata.

L’oro e l’argento potrebbero essere scesi ieri anche perché alcuni investitori pensano che il vaccino sia la panacea di tutti i mali dell’economia e che quindi potrebbe non esserci un secondo stimolo monetario da parte della banca centrale (o il secondo stimolo potrebbe essere molto ridotto, rispetto alle attese). Questo ridurrebbe l’effetto inflattivo sul dollaro e la tendenza a rialzo dell’oro e di altre materie prime.

A mio avviso, chi la pensa cosi’ puo’ continuare a sognare, perché tutto questo non accadrà mai…

Non credo che ci sia alcuna possibilità di un annullamento del secondo stimolo. Sotto Trump, il primo stimolo era un sussidio alle imprese e ai ricchi. Adesso è il turno dei Democratici. Sotto Biden, il prossimo stimolo sarà un sussidio ai poveri.

Gli stimoli monetari sono ormai uno status irrinunciabile del potere ed è improbabile che i democratici vogliano rischiare di passare alla storia come quelli dal “braccino corto”.

In ogni caso, non è la prospettiva di un secondo pacchetto di stimoli ad avere spinto finora i prezzi dell’oro a rialzo negli ultimi mesi. Ciò che ha spinto l’oro sono i soldi già introdotti nel sistema col primo stimolo monetario.

La Fed ha già aggiunto $ 2,3 trilioni all’offerta di moneta in sole nove settimane tra il 9 marzo e l’11 maggio.

Anche se non ci fosse un secondo stimolo, la Federal Reserve ha già ampliato l’offerta di moneta statunitense a un livello storico senza precedenti. E per di piu’, gli effetti inflattivi di questo primo stimolo ancora non si sono visti nella loro drammaticità.

In altre parole: gli effetti di questa massa monetaria sull’oro devono ancora arrivare. E quando cio’ accadrà, il rialzo delle quotazioni sarà inarrestabile.

Per quale motivo?

La teoria quantitativa della moneta afferma che i prezzi delle materie prime (tra cui i preziosi) salgono all’aumentare dell’offerta di moneta. Tuttavia ci sono molte variabili nel mondo reale che mediano gli effetti di tale correlazione.

La più importante di queste variabili è la velocità del denaro, che misura il tasso al quale il denaro viene utilizzato realmente dalle persone. Maggiore è la velocità del denaro, più esso viene scambiato con beni e servizi, maggiore è la tendenza dei prezzi a salire.

Ora, la pandemia COVID-19 ha creato la situazione paradossale che possiamo rappresentare nei due grafici seguenti.

Il primo grafico ci mostra l’incredibile immissione di liquidità di cui abbiamo parlato, cioè i 2,3 trilioni creati dal nulla dalla Federal Reserve:

 

Il secondo grafico invece ci mostra che la velocità con cui tale denaro viene utilizzato è  al suo livello più basso da almeno 60 anni:

Tuttavia, una volta che la velocità del denaro aumenterà (e prima o poi lo farà, soprattutto in presenza di un vaccino anti covid), quei trilioni che la Fed ha appena creato faranno improvvisamente crollare il valore del dollaro USA (molto piu’ di quanto non sia crollato già ora), producendo nei metalli preziosi il piu’ grande bull market della storia dopo quello degli anni ’80.

In effetti, contrariamente a quanto alcuni pensano, una rapida ripresa economica, insieme a un rapido aumento della velocità del denaro, dovrebbero essere visti come un aspetto positivo per l’oro.

Per tale ragione, ieri l’oro non sarebbe dovuto scendere di $ 65, ma al contrario, sarebbe dovuto salire di $ 65 (ma, tranquilli: il ralzo è solo rimandato).

La conclusione è che, a parte le reazioni irrazionali dei traders e qualche azione manipolativa nel mercato dei futures, ieri non c’era alcun motivo concreto per cui l’oro sarebbe dovuto scendere. Per questo il ribasso di ieri è stato un ottimo punto d’ingresso per chi voleva aprire nuove posizioni sui preziosi.

L’oro è destinato a salire in qualsiasi caso, sia se l’economia migliorerà (a causa della velocità della moneta), sia se questa peggiorerà (a causa della pressione inflattiva di nuovi stimoli monetari). Non esiste al momento un trend in borsa piu’ affidabile e sicuro di questo.

 

Facciamo il punto sulla guerra al contante

Mentre in Europa la guerra al contante è in “standby”, negli Stati Uniti sta avendo un’accellerazione che non promette nulla di buono.

Nuove leggi sono in vigore nei singoli Stati, come ad esempio la RS 37: 1866 della Louisiana, dove l’acquisto di metalli preziosi con denaro contante è punibile con l’arresto.

Alcune banche si stanno già affrettando a vietare il contante in alcune circostanze, come la Chase, una delle più grandi banche degli Stati Uniti, che ora non permette ai mutuatari di utilizzare contanti per effettuare pagamenti su carte di credito, mutui e leasing.

Ma è a livello federale che sono state emanate le due leggi che incidono maggiormente sulla libertà e la privacy delle persone.

La prima è la legge sul “Rapporto sulle transazioni in contanti” che prescrive alle banche di segnalare al governo qualsiasi prelievo in contante dei loro correntisti che sia superiore a 10.000 dollari.

La seconda è un perfezionamento della prima, perché è volta a perseguire i prelievi in contanti inferiori a 10.000 dollari, effettuati dai correntisti per eludere la legge precedente.

Si tratta della legge sul “Rapporto sulle attività sospette”, che obbliga le banche a segnalare prelievi inferiori a 10.000 effettuati in modo piu’ o meno continuativo da un conto corrente.

Secondo le statistiche, è quest’ultima norma a pesare maggiormente sulla privacy e l’autonomia di imprese e singoli individui in America.

Una recente indagine mostra infatti che qualsiasi persona trovata a effettuare regolari prelievi di contanti o depositi inferiori a $ 10.000 pur non avendo utilizzato il denaro per scopi illegali, viene inserita in un archivio governativo dove diventa facile bersaglio di controlli fiscali, indagini sulle attività lavorative e ricreative, ma anche sulle convinzioni politiche e religiose.

Questi cosiddetti “crimini in denaro” stanno creando una nuova classe di “presunti delinquenti” in tutta l’America.

Il proprietario di un minimarket della Carolina del Nord si è recentemente messo nei guai per aver semplicemente portato i suoi soldi dal negozio alla banca.

La banca ha riferito che stava effettuando grandi transazioni in contanti – circa $ 8.000 ciascuna, non così tanto per un’azienda – e il governo ha cancellato il suo conto in banca da $ 107.000.

Quando l’uomo si è lamentato, il governo gli ha inviato una lettera in cui si dichiarava un’offerta “prendere o lasciare” per restituirgli solo il “50% dei suoi soldi”.

In un altro esempio, durante un normale controllo della polizia stradale, un falegname di 40 anni del New Jersey ha avuto il sequestro dell’auto perché i $ 18.000 che trasportava erano stati ritenuti una somma troppo alta per una sola persona.

Il proprietario di un ristorante di 35 anni è stato perseguito perché aveva ritirato dalla banca $ 17.500 destinati a pagare i suoi dipendenti e le spese generali.

Tutte queste persone hanno affrontato lunghe battaglie legali per riavere il denaro o gli altri beni sequestrati.

Il Washington Post, in una indagine chiamata “Stop and Seize”, ha rilevato che, grazie a questo nuovo “crimine”, il governo degli Stati Uniti sta già incassando”centinaia di milioni di dollari” da persone che non hanno mai violato la legge.

Un altro rapporto ha rilevato che, anche se non si viene accusati di un crimine, il semplice ingresso nei database governativi compromette  per sempre la privacy e la libertà dei malcapitati. In altre parole, i controlli su queste persone verranno effettuati per tutta la loro vita.

Di solito, si dice che la “guerra al contante” esiste per proteggere le politiche dei tassi di interesse negativi perseguiti dalle banche centrali (negli USA sono negativi i tassi d’interesse reali, cioè i tassi ufficiali meno l’inflazione, mentre in Europa sono negativi i tassi d’interesse nominali).

Come ha efficacemente riassunto la rivista Time: ” Instaturare i tassi di interesse negativi vuol dire addebitare ai risparmiatori il costo delle politiche di indebitamento dei governi e delle banche centrali.”

I clienti delle banche che ritirano i contanti dai loro conti cercano di evitare questo costo pianificato sui propri soldi. Per questo si tenta in tutti i modi di scoraggiare tale pratica.

La Svizzera nel 2015 ci ha fornito un esempio di questo nesso tra tassi negativi e tendenza dei risparmiatori a evitarli.

Quando la banca centrale svizzera instauro’ per la prima volta tassi di interesse negativi allo 0,75%, la reazione delle persone fu immediata.

Il Wall Street Journal ci racconta che la domanda per le banconote da 1.000 franchi svizzeri aumento’ a dismisura, mentre i clienti delle banche iniziarono a ritirare i contanti dai loro conti. Secondo Bloomberg, in questa corsa al contante alcune aziende svizzere accumularono scorte di liquidità per un valore di almeno 500 milioni di franchi.

Oggi pero’ in Svizzera i tassi negativi sono la norma e non producono piu’ queste corse al contante. Lo stesso avviene anche negli altri paesi con tassi negativi, come ad esempio quelli dell’area euro.

Il motivo è che basta una semplice commissione bancaria sui prelievi in contanti per neutralizzare in un colpo solo l’efficacia di una eventuale corsa ai bancomat.

Ormai tutte le carte di credito online e offline o le app di nuovissima generazione, che consentono ancora prelievi in contanti, prevedono già una commissione, spesso abbastanza salata, sulle somme prelevate.

In questo modo è possibile per il sistema bancario imporre un “tasso negativo” al contante che in molti casi supera quello ufficiale imposto sulla valuta di riferimento.

Grazie a questa semplice misura, la corsa ai bancomat per difendersi dai tassi negativi è stata resa inefficace.

Eppure la tendenza a ritirare contanti non è del tutto scomparsa, anzi aumenta di fronte alle crisi improvvise, come è avvenuto durante i primi mesi della pandemia di covid.

Il contante continua ad avere un certo fascino sulle persone, anche se la sua utilità è molto limitata rispetto al passato.

Questo impulso irrazionale di assalire i bancomat nei momenti di crisi puo’ sempre portare squilibri anche gravi alle banche e rischia di produrre masse di capitale che possono in seguito essere usate dalla popolazione al di fuori da qualsiasi controllo.

Questa è una delle ragioni per cui la lotta al contante da parte dei governi non è affatto finita.

La seconda ragione è che le politiche di allentamento monetario delle banche centrali stanno diventando sempre meno efficaci e prima o poi dovranno fare un salto evolutivo.

Specialmente in America, la Federal Reserve sta prendendo in considerazione la possibilità di gestire in modo diretto la distribuzione della liquidità creata dal nulla, evitando la necessità di acquistare buoni del tesoro dalle banche (anche in Cina è in atto un esperimento del genere, testato sul terreno in diverse grandi aree metropolitane).

Saltando il passaggio dalle banche e separando la liquidità dal collaterale dei titoli di stato (e quindi dalle manovre sui tassi d’interesse) si potrebbe interrompere la lunga erosione sul valore della moneta prodotta in tutti questi anni.

Ma questo “salto evolutivo” è possibile solo se il dollaro diventasse del tutto digitale. Ossia se il governo avesse il controllo sull’intera massa monetaria, senza alcuna eccezione.

E questo sarebbe possibile solo se il contante venisse del tutto abolito, senza alcuna eccezione.

Mentre la Cina si sta avvicinando a grandi passi verso questo obiettivo, in America la Federal Reserve e in Europa la BCE hanno sempre dichiarato -anche in tempi assai recenti- che il contante ha ancora una funzione “sociale” e quindi non puo’ essere del tutto abolito.

In soldoni, questo significa che la popolazione europea e americana non è digitalizzata come quella cinese e pertanto un euro o un dollaro digitali sarebbero uno shock che rischierebbe di aggravare le tensioni sociali che già si tagliano col coltello sia in America che da noi.

I governi e le banche centrali hanno imparato che la lotta al contante va fatta con cautela, perché puo’ portare a gravi squilibri.

La lezione dell’India resterà indelebile nella memoria dell’establishment, che non ripeterà mai piu’ quell’errore…

Quando infatti il 9 novembre 2016 il governo indiano pubblico’ di notte uno scioccante decreto che rese prive di valore le banconote da 500 e 1.000 rupie – che costituivano il 90% della moneta circolante in India-, le banche e gli ATM furono chiusi immediatamente.

Ma cio’ non impedi’ alla nazione di colare a picco.

Le aziende di qualsiasi dimensione all’improvviso non avevano piu’ i soldi per pagare fornitori e dipendenti. Furono persi all’istante centinaia di migliaia di posti di lavoro. Il valore della rupia crollo’ e l’oro fisico arrivo’ a costare 2.294 dollari l’oncia mentre nel resto del mondo valeva circa la metà.

Come dicevo, i governi hanno imparato questa “lezione”.

Europa e America non hanno ancora avuto il coraggio di proclamare il divieto dei tagli da 100 delle loro rispettive valute, anche se tale misura è in discussione da anni.

Forse la crisi del Covid poteva essere l’occasione giusta per portare a compimento alcune misure particolarmente drastiche come questa.

Ma oggi è sempre piu’ evidente che la società civile (e soprattutto quella “incivile”, cioè le fasce di criminalità e di emarginazione cresciute a dismisura in tutti i paesi occidentali) reagisce ai “lockdown” in modo piu’ deciso di quanto si potesse prevedere.

Un’ondata di preoccupazione sta attraversando le istituzioni occidentali, soprattutto quelle europee. Per cui si puo’ pensare a un temporaneo rallentamento di tutte le misure liberticide che erano state programmate, compresa la lotta al contante.

Al momento, per gli scopi dei governi e delle istituzioni finanziarie occidentali è sufficiente incrementare la vigilanza sui prelievi di contante e instaurare forme di persecuzione o di tassazione analoghe a quelle già esistenti in America e Svizzera.

Prepariamoci ad avere anche in Europa un “adeguamento” alle misure americane e svizzere, cioè l’instaurazione di tasse patrimoniali in varie forme e una riduzione della privacy e della libertà personale per chi usa il contante.

Per l’euro o il dollaro digitali invece, penso che la strada sia ancora in salita.

>