mercoledì, Luglio 16, 2025

I 4 scenari post elezioni USA e come tradarli

Mancano ormai 2 settimane alle elezioni USA, e il Comitato per la Ricerca e gli Investimenti della Bank of America ha pubblicato delle indicazioni su come investire nei 4 possibili scenari che ne potrebbero risultare:

Facciamo un breve riassunto di queste raccomandazioni, che sono state pubblicate in chiaro da Zero Hedge qui.

Democratici alla Presidenza e al Senato

Prospettiva già prezzata dal mercato, con prevedibile espansione della liquidità e iniziale crescita economica. Ci sarà in borsa una possibile rotazione dei flussi di capitale dai blue chips, difesa, tech e bond verso quei titoli che funzionano bene con l’inflazione: small cap, ciclici e materie prime.

Democratici alla Presidenza e Repubblicani al Senato

Stagnazione nella crescita economica e nei profitti delle aziende a causa di impedimenti reciproci da entrambi i partiti su ogni possibile nuovo provvedimento legislativo, ma anche con possibili nuovi stimoli da parte della Fed. In un ambiente di maggiore volatilità, la BofA consiglia di ridurre le posizioni e aumentare il cash e l’obbligazionario corporate.

Repubblicani alla presidenza (qualunque sia la composizione del senato)

Scenario da status quo. Gli stimoli della Fed continueranno, ma non ci saranno leggi capaci di stimolare l’economia. Ci sono tuttavia alcune misure volute da democratici e repubblicani che potrebbero vedere finalmente la luce, come una stretta sulla Silicon Valley e i FAANG e nuove misure anticinesi.
In questo ambiente sono favoriti i titoli tech, i blue chips, i beni voluttuari e le obbligazioni corporate non rischiose.

Elezioni contestate

Assieme al primo scenario, quest’ultimo è fra quelli considerati piu’ probabili dai mercati (e anche da noi), che dunque si aspettano grande volatilità a dicembre. Durante tutta la durata delle contestazioni (difficile dire quanto dureranno e quale sarà la loro gravità, in un range compreso tra semplici contestazioni e guerra civile) ogni forte ritracciamento andrà trattato come opportunità di acquisto nell’azionario, specie nelle small caps e per shortare il Vix.

Fin qui, la Bank of America.

Da parte nostra aggiungiamo poi un altro elemento importante, cioè il fatto che c’è un settore che risulterebbe avvantaggiato in tutti gli scenari considerati. Ed è quello dei metalli preziosi.

Tutti gli scenari infatti confermeranno la tendenza a indebolire il dollaro, che è il driver fondamentale di questo bull market dell’oro.

Ma l’oro è anche il candidato ideale per rivalutarsi in caso di elezioni contestate. E potrebbe farlo piu’ di quanto ci si aspetta.

Infatti, a differenza del primo scenario considerato (doppia vittoria dei Democratici), l’ultimo scenario non è stato adeguatamente prezzato dai mercati.

Perché?

Perché, a mio parere, le elezioni contestate non sono un evento che si possa separare dagli altri scenari, ma al contrario potrebbe essere lo sfondo di tutti e tre gli altri scenari post elettorali. Per tre ragioni:

  1. Entrambi i partiti che si contendono la Casa Bianca sono arrivati a un grado di delegittimazione reciproca mai raggiunto nella storia degli USA.
  2. Gli schieramenti che combattono nelle strade per i rispettivi partiti (Suprematisti Bianchi e Black Lives Matter) a differenza delle elezioni precedenti, si sono armati fino ai denti.
  3. Il voto per posta, che ha raggiunto un’importanza molto maggiore rispetto alle elezioni precedenti, è già da ora oggetto di accese contestazioni e, come spiegato in questo articolo, rende scontata l’eliminazione di almeno una diecina di milioni di voti.

Quindi, sia che vincano i Democratici, sia che vincano i Repubblicani, questa volta l’esito puramente democratico del voto non basterà e dovrà essere confermato anche dalla strada e dalla Corte Suprema (come accade del resto oggi in quasi tutti i paesi del mondo dove vi sono delle elezioni).

E i mercati sono preparati solo alle varianti meno drammatiche di questa molto probabile evenienza.

Pochi si aspettano mesi e mesi di contestazioni senza via d’uscita, oppure scontri generalizzati con decine di morti, o varie situazioni di caos istituzionale difficili da prevedere oggi. E pochi si aspettano che cio’ accada anche in caso di un risultato abbastanza netto di uno dei due candidati.

Il nostro consiglio percio’ è di avere in portafoglio titoli legati ai metalli preziosi per un controvalore che equivalga come minimo a 1/3 degli altri titoli detenuti, qualunque essi siano.

Una mossa del genere ti garantisce la tenuta del portafoglio in caso di volatilità, ma ti mette anche in pole position per avere guadagni dal lungo bull market dell’oro che è appena iniziato.

Chi vuole solo proteggersi dalla volatilità elettorale dovrà tenere conto dei movimenti di breve-medio termine che avranno i suoi titoli legati ai preziosi. Cioè:

  1. un rialzo molto forte, direttamente proporzionale alla durata dell’incertezza post elettorale e alla gravità degli eventi che l’accompagneranno.
  2. un ribasso di medio termine successivo (quando cioè l’incertezza sarà risolta) la cui forza sarà direttamente proprozionale al rialzo precedente.

In base ai due punti precedenti, è ovvio che dovrai disfarti dei titoli legati ai preziosi nel momento di massima incertezza e gravità della crisi.

Se invece l’obiettivo temporale di questo investimento è a lungo termine, ti basta seguire il consiglio che abbiamo già dato su Telegram, cioè quello di aprire posizioni su qualsiasi titolo legato ai preziosi ogni volta che l’oro o il future corrispondente toccano la media moblie a 100 giorni e mantenere poi le posizioni per almeno un anno.

Nella nostra newsletter gratuita e nel canale Telegram daremo tutte le informazioni necessarie per prendere decisioni sui preziosi durante tutta la durata delle elezioni e oltre.

L’infinita crisi bancaria europea

Il pretesto dei mercati per far crollare ancora una volta il settore bancario europeo fino ai minimi di marzo 2009 è stata la pubblicazione di un rapporto dell’International Consortium of Investigative Journalists sugli istituti di credito che avevano facilitato $ 2 trilioni di transazioni sospette.

HSBC, Deutsche Bank, Standard Chartered, JPMorgan Chase e Bank of New York Mellon sono le banche citate nel documento che, in quasi due decenni, si sono arricchite facilitando il lavoro di terroristi, boss della droga, capi di stato, ecc.

Ma la crisi bancaria europea non puo’ essere ridotta solo a questo.

Il grafico qui sotto mostra bene come il settore bancario europeo sia in crisi da almeno un decennio e non si è mai ripreso del tutto; anzi, ha raggiunto livelli di vendite record negli ultimi anni:

I mali di cui soffre questo settore sono molteplici:

Anzitutto, il settore è stato cronicamente debilitato dalla politica monetaria sempre più aggressiva della BCE, che ha spinto i suoi tassi di riferimento e molte obbligazioni societarie verso rendimenti negativi, con conseguenze in gran parte indesiderabili per le banche, come l’annullamento del loro margine di interesse e la distruzione della loro capacità di generare un buon profitto.

In questo contesto cosi’ distruttivo, il recente contentino da parte della BCE che ha permesso alle banche di allentare i requisiti per la leva finanziaria fino a luglio appare come un moscerino di fronte a un elefante.

L’altro rischio sistemico è l’esposizione delle banche al debito dei paesi europei, che ultimamente, a causa della pandemia, è aumentato a 210 miliardi di euro. Tale esposizione mette ogni grande banca nelle condizioni di diventare una bomba pronta ad esplodere, in quanto un suo eventuale crollo contagerebbe l’intero sistema finanziario dell’eurozona.

E’ questa la ragione principale per cui il sistema vuole a tutti i costi mantenere in vita il corrotto e dispendioso settore delle banche, a dispetto di tutto e di tutti.

L’ultima scialuppa di salvataggio lanciata dalla BCE è la spinta ad accelerare le fusioni tra banche indebitate di piccole e medie dimensioni con banche indebitate di grandi dimensioni, nella speranza che 0 + 0 sia uguale a due, anziché a 0.

Ma a questi rischi sistemici, che stanno corrodendo il sistema da un decennio, oggi si aggiungono anche rischi connessi ad alcune singole banche, come l’esposizione eccessiva di alcune banche europee, in particolare spagnole, alle economie emergenti in difficoltà, Turchia compresa.

Non ultimo citiamo l’enorme rischio che grava sulla HSBC a causa delle sue relazioni sempre piu’ tese con la Cina, che purtroppo è anche il suo mercato di riferimento principale.

Non importa quanto la banca ora si inchini a Pechino, dopo aver perso la protezione di cui godeva a causa dell’autonomia di Hong Kong, ora andata in frantumi. La vendetta del governo cinese nei confronti della banca per aver denunciato Huawei alle autorità statunitensi lo scorso anno pesa come una spada di Damocle sempre piu’ minacciosa…

Questo fine settimana infatti sono emerse notizie secondo cui la Cina potrebbe inserire la banca nell’elenco delle “entità inaffidabili”, una punizione inflitta alle società straniere considerate un pericolo per la sicurezza nazionale. E data l’enorme dipendenza di HSBC dal mercato cinese, che insieme a Hong Kong rappresenta la parte principale dei suoi profitti, un evento del genere, per quanto impensabile possa sembrare, cancellerebbe questa grande banca dalla storia.

Insomma, gli ingredienti per una catena di fallimenti e di crolli epocali ci sono tutti.

Bisogna vedere fino a quando il sistema riuscirà a metterci ancora una pezza.

Inutile tentare di prevedere i tempi di questa resa dei conti.

Il sistema bancario sarebbe dovuto crollare già 10 anni fa, ma le capacità di intervento da parte di banche centrali e governi sono state molteplici, almeno fino a che la pandemia non ha tirato troppo la corda rischiando di farla spezzare…

Nel frattempo, accumulare oro fisico e criptovalute, in misura del 10% del proprio capitale, appare una misura sempre piu’ necessaria a livello individuale per tentare (e dico: tentare) di proteggersi da una crisi del genere.

La Cina sta volontariamente innescando un’inflazione sul dollaro?

L’insolito accumulo di materie prime e altri materiali industriali, nonché di cibo e altre forniture agricole, intrapreso dalla Cina in questi ultimi mesi è stato notato da alcuni media internazionali.

Ad esempio i Cinesi, oltre a importare le quantità di rame sufficienti a soddisfare le attuali esigenze di consumo, ne stanno aggiungendo altri 600-800kt per le loro catene di approvvigionamento e altri 500kt per le scorte nazionali. Il risultato di questi acquisti è tale che lascerà il mercato globale del rame in una spirale inflazionistica per i prossimi due anni.

Questa misteriosa strategia cinese è stata finora spiegata come un modo per proteggersi da un eventuale inasprimento delle sanzioni commerciali da parte degli Stati Uniti.

Ma se si osserva il momento in cui la Cina ha iniziato questi acquisti straordinari, un’altra spiegazione molto meno semplicistica potrebbe profilarsi all’orizzonte.

I Cinesi infatti hanno iniziato a comprare materie prime subito dopo il cambiamento di politica monetaria della Fed di fine marzo, quando cioè la Federal Reserve ha annunciato che il controllo dell’inflazione non era piu’ una priorità per la banca centrale.

Tale coincidenza farebbe pensare al fatto che questa misura potrebbe anche essere un modo per provocare danni alla bilancia dei pagamenti americana e al potere d’acquisto del dollaro.

Se l’ipotesi fosse giusta, allora l’acquisto di materie prime sarebbe solo la prima mossa, necessariamente seguita dalla seconda: una vendita straordinaria di riserve in dollari da parte della Cina.

Ma andiamo con ordine…

Finora Trump ha potuto tranquillamente aumentare le tariffe doganali delle merci cinesi,  senza il pericolo di innescare un aumento dei prezzi generalizzato (cioè un’inflazione sul dollaro), sapendo che l’aumento di prezzo dei beni cinesi in America sarebbe stato controbilanciato da queste condizioni:

  • l’aumento della produzione dei beni prodotti da ditte americane (e quindi la diminuzione del prezzo di questi beni)
  • il controllo dei prezzi delle materie prime (attraverso la manipolazione a ribasso ottenuta nel mercato dei derivati)
  • l’aumento delle riserve in dollari detenute dai paesi esteri (e quindi il controllo dell’inflazione sul dollaro nella bilancia dei pagamenti americana)

La prima delle due condizioni è al momento fuori gioco, in quanto la produzione di beni in America si è fermata del tutto nei primi mesi della crisi del covid e ora si sta riprendendo a fatica.

La seconda condizione è sempre meno efficace (come dimostra l’aumento dei prezzi dei metalli preziosi e del rame, che erano quelli piu’ influenzati dai corrispettivi derivati finanziari).

La terza condizione è ancora sotto controllo, in quanto molti stati esteri hanno addirittura aumentato le loro riserve in dollari, ma certamente diventa piu’ vulnerabile man mano che la creazione di nuova moneta da parte della Federal Reserve aumenta in dimensioni e in durata. Non parliamo poi se questa diventa illimitata!

I Cinesi quindi potrebbero voler sfruttare il fatto che a casa loro la crisi economica post covid è già superata ed è stata molto meno pesante che in occidente.

Con un massiccio programma di investimenti in infrastrutture e di aiuti di stato, il governo sta riuscendo a incrementare la propensione alla spesa e i risparmi dei Cinesi, invertendo l’annoso deprezzamento dello yuan rispetto al dollaro, che produceva continue emorragie di denaro al di fuori del Paese (anche la distruzione di Hong Kong come piazza principale di questa fuga di capitali ha dato un cospicuo aiuto…).

Contemporaneamente, le riserve di yuan detenute da paesi esteri sono aumentate, mentre la Cina ha iniziato a vendere una parte (ancora molto modesta) delle sue riserve di dollari.

Cio’ sta producendo un apprezzamento sul dollaro delle riserve di yuan detenute all’estero:

Da notare la precisa coincidenza temporale di questo incremento di valore dello yuan (il grafico inizia a impennarsi da metà maggio) con l’inizio del massiccio acquisto di materie prime da parte della Cina (evidentemente pagate in yuan, almeno per una parte rilevante)…

Direi che niente mostri con piu’ evidenza come l’acquisto insolito di materie prime sia stata una mossa “classica” per incidere sulla bilancia dei pagamenti cinese, altro che accumulare riserve nei bunker antiatomici, come alcuni complottisti hanno ipotizzato!

Finché la creazione di dollari dal nulla da parte della Fed continuerà a un ritmo cosi’ forsennato, il riequilibrio della bilancia di pagamenti cinese a fronte dell’ancora squilibrato bilancio americano, rende la minaccia cinese di vendere massicciamente buoni del tesoro e riserve in dollari molto meno “fantasiosa” di quanto creduto finora.

Quando infatti l’ormai famoso articolo del quotidiano cinese Global Times del 7 settembre aveva ventilato una vendita in grande stile delle riserve in dollari da parte del governo, quasi tutti i media occidentali avevano parlato di minacce vuote e irrealizzabili che la Cina mai avrebbe potuto trasformare in realtà.

Tuttavia, se si connettono tutti i puntini, è evidente che la Cina stia creando tutte le condizioni affinché una mossa del genere, per quanto emergenziale e di ultima istanza, diventi molto meno controproducente per il bilancio cinese di quanto si è sempre creduto…

E per mantenere nel tempo queste condizioni favorevoli sulla bilancia dei pagamenti, l’inflazione sul dollaro sarà ancora per molto tempo la priorità del governo cinese…

Un altro tassello a supporto della nostra ipotesi, fatta fin da questo articolo di marzo, che la crisi del covid avrebbe prodotto a lungo andare un’inflazione nei paesi occidentali, nonostante questi ultimi credano di esserne ormai immuni per diritto divino…

Come l’oro batterà la volatilità pre elettorale USA

Ieri i mercati ci hanno dato un assaggio di come sarà l’atmosfera da oggi fino alla fine delle elezioni americane.

Una dichiarazione attendista e priva di soprese di Powell, Chairman della Federal Reserve, è bastata per far andare in rosso le borse, che fino a quel momento avevano iniziato la settimana in positivo.

I media, la finanza e le banche centrali resteranno attendisti e rimanderanno ogni decisione a quando sarà chiaro chi sarà il prossimo Presidente USA.

Fino a quel momento, la volatilità senza direzione precisa delle borse, tipica di questi momenti di attesa, renderà inutile qualsiasi strategia di trading, eccetto per quelle che riguardano i metalli preziosi:

Nel mese di settembre è iniziata questa fase di volatilità e di debolezza del mercato azionario (nel grafico in giallo l’andamento dello S&P500), mentre l’oro, dopo il picco toccato ad agosto, è in una fase di stabilità che gli ha permesso di reggere bene anche il forte ribasso di circa il 10% delle borse (cerchio verde).

Inoltre, dal picco di agosto l’oro è entrato in una fase di consolidamento (triangolo nero) con buoni volumi di acquisti che preparano una probabile rottura a rialzo del lato superiore del triangolo.

Tutto questo ci dice che si puo’ approfittare di ogni ribasso temporaneo nei titoli legati all’oro o all’argento, sfruttandoli come punti d’ingresso per aprire posizioni che potranno avere dei rendimenti interessanti a fine anno.

 

La vera causa del ribasso di ieri e dove ci porterà

In questo fine settimana c’è stato un ribasso generalizzato in tutti i settori della borsa, senza che pero’ vi fosse alcuna notizia o evento particolare che lo giustificasse.

In realtà, una situazione ben precisa, che va avanti da qualche settimana, sta dietro a questo ribasso.

Uno strano fenomeno rivelatore aveva anticipato questa situazione, ma pochi lo avevano messo in relazione con quanto stava succedendo dietro le quinte…

Uno strano aumento della volatilità

Forse anche tu hai sentito parlare dello strano aumento dell’indice di volatilità e il contemporaneo aumento delle borse registrato nei giorni precedenti il ribasso.

In effetti, era molto atipico…

Di solito la volatilità aumenta quando le borse scendono, non quando salgono…

Alcuni blogger catastrofisti si sono affrettati a notare, sulla base delle statistiche del passato, che la volatilità e le borse aumentano insieme quando ci si avvicina ad un crollo di borsa. Ma dubito che abbiano capito il meccanismo che c’è dietro.

Meccansimo che ti spieghero’ qui di seguito…

Le vere cause dello strano aumento di volatilità

In questo articolo Bloomberg, raccogliendo le opinioni di diversi analisti, ricerca le cause, sia della volatilità che del ribasso, nel mercato delle opzioni.

Questo mercato, come tutti i mercati in genere, è fatto da compratori (traders, investitori, ehedge fund, robots, ecc.) e venditori (banche, piattaforme di trading ecc.).

Tuttavia il ruolo di compratori e venditori non è rigido, ma spesso di ribalta.

Quando infatti i traders shortano dei titoli di borsa, è la piattaforma a doverli comprare. In questo caso il venditore diventa compratore…

In piu’, questi venditori/compratori, una volta obbligati a mettersi in pancia dei titoli, devono neutralizzarne il peso sui loro bilanci. E questo non solo per non subire perdite indesiderate, ma anche per non influenzare in modo scorretto il mercato.

Quindi, volendo calmierare questi acquisti di opzioni, le banche e gli altri dealers ogni giorno effettuano continui acquisti e vendite di asset che vanno nel senso contrario ai titoli posseduti.

Nel mercato delle opzioni ci sono due modi di fare questo, chiamati delta hedging e short gamma hedging

Delta Hedging

Mettiamo che dei traders shortano opzioni call sull’azione X. A quel punto, la loro banca è costretta a comprare queste opzioni.
Per non alterare, con tale acquisto “obbligato”, il “delta” delle opzioni, cioè la loro probabilità che vadano in guadagno alla scadenza, la banca inizia a fare “delta hedging”, cioè inizia a  comprare il sottostante dell’opzione (cioè quote dell’azione X) quando il suo prezzo scende e a venderlo quando il prezzo sale.
In questo modo neutralizza il possibile effetto distorsivo derivante dall’acquisto delle opzioni corrispondenti.

Short Gamma Hedging

Se invece la banca è costretta a comprare opzioni put dell’azione X shortate dai traders, allora dovrà vendere quote di azioni X se il loro prezzo scende e comprarle se il loro prezzo sale. Anche questi acquisti servono a neutralizzare gli effetti delle opzioni put acquistate dai traders.

Il delta e lo short gamma hedging di solito non influenzano il mercato azionario, ma se diventano una pratica predominante, possono avere degli effetti, anche se diversi tra loro.

Il delta hedging, puo’ contribuire a moderare la volatilità (facire intuirlo, visto che gli acquisti e le vendite delle azioni vanno nella direzione opposta a quella dei loro prezzi).

Il gamma hedging al contrario, puo’ esasperare la volatilità (in quanto gli acquisti e le vendite delle azioni vanno nella stessa direzione dei loro prezzi, aumentandone la portata).

Le anomalie riscontrate in questi giorni (sia l’insolito aumento della volatilità, sia il ribasso di questo fine settimana) derivano proprio da vari intoppi avvenuti nel delta e nel gamma hedging.

I bassi volumi nelle borse, consueti nel mese di agosto, combinati con gli insoliti aumenti di alcuni titoli chiave, come Tesla e i FAANG, su cui si concentrano gli acquisti ombra fatti da Blackrock per conto della Federal Reserve, hanno colto di sorpresa gli operatori che effettuano questi hedging, provocando delle asimmetrie che hanno esasperato gli effetti di queste pratiche.

Ecco cosa puo’ essere successo, secondo le ipotesi degli analisti citati da Bloomberg…

Le pietre d’inciampo del mercato di fine agosto manipolato dalla Fed

  • l’aumento della volatilità atipico (come abbiamo detto, avvenuto in presenza di un aumento, non di un ribasso delle borse) forse è dipeso dal fatto che le banche e le piattaforme non sono riuscite a trovare sempre i sottostanti (ad esempio, le azioni) per fare hedging, percio’ hanno cercato di ottenere lo stesso effetto comprando opzioni basate sulla volatilità degli indici azionari (NDX, SPX).
    L’aumento di acquisti in queste opzioni avrebbe provocato una “illusione ottica”, facendo aumentare la volatilità implicita (implied volatility, misurata proprio su queste opzioni) anche in assenza di un ribasso nelle borse, ma anzi in conseguenza di un loro rialzo troppo veloce.
  • Sia l’aumento della volatilità che il successivo ribasso di ieri possono invece essere stati una conseguenza di uno short gamma hedging eccessivo a cui sono stati costretti i dealers (banche e piattaforme) a fronte di un abnorme vendita di opzioni short da parte di traders, hedge fund ecc.
  • Come ultima ipotesi, la crescente abitudine dei compratori di shortare le opzioni call o put invece di (o assieme ad) aprire semplicemente opzioni put o call, potrebbe aver provocato un aumento di opzioni call o put shortate che il dealer è obbligato a ricomprare, con il conseguente aumento di hedging, delta o gamma, che ci riporta alla situazione spiegata nel punto precedente.

So che per alcuni si tratta di meccanismi un po’ difficili da capire, ma il concetto importante che deriva da tutta questa spiegazione e che dovresti tenere a mente è il seguente.

La morale della favola è: niente panico, siamo a settembre!

Tutti i fenomeni elencati nel paragrafo precedente sono stati provocati da:

  • Un aumento improvviso di investitori e traders (e di operazioni fatte da hedge fund, robot ecc.) rientrati dopo la consueta latitanza di agosto.
  • Un aumento troppo rapido delle quotazioni di alcuni titoli chiave (i cosiddetti FAANG ecc.) su cui si concentrano gli acquisti della Blackrok e di altri fondi che comprano per conto della Federa Reserve allo scopo di tenere alta la bolla.
  • Una impostazione long generalizzata, cioè letteralmente troppi traders, hedge fund, robot “ottimisti” che aprono posizioni long e troppo pochi “pessimisti” che li compensino. A quel punto devono essere i dealers (banche, piattaforme ecc) a stare dall’altra parte del mercato e assumere il ruolo di shorter pessimisti.
  • Una carenza di disponibilità di titoli (opzioni, azioni, futures) usati intraday sia dai compratori che dai venditori in modo sempre piu’ massiccio per le rispettive velocissime operazioni di copertura e ricopertura. Quindi parliamo di una vera e propria carenza di liquidità nelle 24 ore.

Alla luce di tutto questo, non c’è da stupirsi che questi eventi siano avvenuti in passato proprio nelle vicinanze di scoppi di bolle.

Le condizioni riportate nell’elenco qui sopra si verificano a volte in un mercato che si avvicina all’euforia.

Ma un conto è limitarsi a notare questa costante storica, senza capirla, un altro è invece capire bene il meccanismo sottostante.

Come abbiamo visto, queste distorsioni possono avvenire anche in condizioni di bassi volumi abbinati a manipolazioni del mercato insolitamente concentrate nelle 24 ore, come sono quelle dei fondi che comprano per conto della Fed.

Ed è proprio cio’ che è successo questo fine settimana.

Il destino del dollaro e dell’economia globale fino al 2021

Siamo stati i primi a marzo a parlare in questo articolo dell’inflazione come del principale elemento di novità nell’economia del prossimo futuro.

Nella nostra newsletter abbiamo approfondito l’argomento in diversi articoli riservati agli iscritti, soprattutto in relazione al mercato dei preziosi e delle borse.

Ora in questo articolo desidero tracciare lo schema definitivo di questo trend economico, chiarendone il meccanismo di fondo.

E’ ormai possibile fare una cosa del genere, dal momento che la politica monetaria della Federal Reserve è arrivata al suo punto di massima influenza nel mondo ed è capace di riflettersi con molta prevedibilità su tutto cio’ che esiste.

Lo schema è cosi’ chiaro, i fattori in gioco cosi’ evidenti, che dopo aver letto l’articolo non avrai bisogno d’altro per capire qualsiasi sviluppo successivo in qualsiasi settore economico, dai preziosi alle materie prime, dalle borse all’economia reale.

Partiamo dalla domanda principale, da cui scaturisce il resto del discorso…

Perché gli stimoli della Federal Reserve ora possono generare inflazione, mentre nella crisi del 2008 non lo hanno fatto?

Il motivo è che dopo la crisi del 2008 l’ingente liquidità creata dalla Fed per i dieci anni successivi (circa 12 trilioni) non è mai arrivata all’economia reale.

In questa crisi invece una parte ingente di questa liquidità (che in totale ammonta già a circa 7 trilioni in soli sei mesi) è arrivata e arriverà all’economia reale.

Di quanta liquidità stiamo parlando?

Negli USA il governo ha già varato un programma di stimolo diretto all’economia reale del valore di 3 trilioni (parliamo proprio di soldi arrivati direttamente nelle casse delle imprese e dei lavoratori, non di prestiti bancari in stile europeo).

Ora è sempre piu’ probabile un secondo programma identico del valore di 1 trilione.

Parliamo quindi in totale di 4 trilioni di soldi veri, a cui dobbiamo aggiungere altri 1,6 trilioni di credito agevolato concesso dalla Fed., per un totale di oltre 5 trilioni destinati proprio a imprese e lavoratori, non alle borse o al mercato obbligazionario.

Vediamo dunque il semplice meccanismo con cui questa liquidità (oltre 5 trilioni) fa scendere il dollaro.

Il semplice calcolo per capire dove arriverà il dollaro nei prossimi sei-dodici mesi

L’economia americana, cioè il suo PIL, vale circa 22 trilioni.

I circa 5 trilioni destinati all’economia reale ammontano a circa il 25% di questo PIL.

Quindi, dal momento che il valore del dollaro è un’espressione del PIL, anche il dollaro deve ridursi, se non esattamente del 25%, almeno di un fattore comparabile.

Infatti, se leggiamo correttamente il grafico dell’indice del dollaro (DXY), vediamo che la valuta americana non è scesa solo del 4%, come si direbbe a prima vista, ma è già al di sotto di ben il 12%:

Nota infatti che tra marzo e aprile, cioè all’inizio della pandemia, l’indice è schizzato di oltre il 6%.

In quel momento infatti le banche di tutto il mondo si erano trovate a corto di dollari, rischiando di bloccare tutte le normali transazioni economiche che nel mondo vengono fatte in questa valuta.

Quindi quel picco riflette la corsa iniziale al biglietto verde, non solo per cercare un bene rifugio, ma proprio perché stava mancando il “carburante” che fa andare avanti l’economia globale.

Ma quel picco rischia di falsare la nostra percezione della discesa attuale del dollaro, se calcoliamo quest’ultima, come si fa di solito, tenendo conto di tutto il periodo che va da febbraio a oggi.

Se invece mettiamo da parte quel picco e iniziamo a calcolare la discesa del dollaro nel periodo successivo fino a oggi, abbiamo (freccia rossa nel grafico sopra) appunto una perdita di valore del 12%, non piu’ del 4%.

Ed è questo il dato che riflette con maggior precisione la realtà, in quanto si avvicina al deprezzamento del 25% del PIL americano che poco alla volta eroderà ulteriormente il dollaro entro un’ordine di grandezza paragonabile:

Allargando l’orizzonte temporale, il dollaro infatti si sta avvicinando al minimo che era stato toccato nel 2018, ed è molto probabile che romperà questo supporto per scendere ulteriormente.

La prospettiva del dollaro nel quadro realistico delle cose

Bisogna mettersi l’animo in pace: il governo USA dovrà continuare a stimolare l’economia reale almeno fino a metà del 2021, a prescindere da come evolverà la pandemia nel paese.

I nostri contatti in America ci confermano che in tutte le aziende, grandi e piccole, qualsiasi conferenza, mostra, esibizione ecc. programmata da qui a metà 2021 verrà fatta in ambiente virtuale. Nessuno si sogna ancora di programmare eventi dal vivo.

La maggior parte delle scuole e delle università americane ormai ha scelto la didattica virtuale o al massimo quella mista (parte virtuale e parte dal vivo).

Quanto alle multinazionali, Google, Facebook, Twitter, Square e compagnia hanno già concordato coi loro dipendenti di proseguire il lavoro a distanza fino ad almeno la metà del 2021.

Negli Stati Uniti non c’è quindi alcuna traccia di una volontà di tornare alle attività normali. Al contrario, sembra quasi che il Covid stia per essere considerata una presenza permanente o semi permanente nella società, con le conseguenze prevedibili in termini di disoccupazione e di altri fattori economici negativi, che dureranno piu’ a lungo di quanto pensiamo.

Mettendo insieme tutto questo, la discesa del dollaro e la conseguente inflazione, provocata dagli stimoli monetari diretti verso l’economia reale, che sicuramente non cesseranno per i prossimi 6-12 mesi, sono praticamente dei dati assodati.

Non ne vediamo ancora gli effetti in modo evidente, ma con l’andar del tempo ce ne accorgeremo nei prezzi delle materie prime e dei preziosi e poi via via anche nei beni di consumo americani.

Come cio’ si rifletterà nelle altre economie, come quella europea, è ancora tutto da vedere…

Mistero SURE: l’Italia aderisce a un fondo che non c’è…

Ieri si è saputo che due ministri italiani hanno richesto a Bruxelles l’attivazione di un fondo, chiamato SURE, per ottenere liquidità da impiegare per pagare la cassa integrazione ai dipendenti che rientrano nel programma di sospensione dei licenziamenti varato dal governo.

Peccato pero’ che questo fondo non esiste ancora e non è detto che esisterà in futuro.

Perché? Andiamo con ordine…

Anche in questo caso, come per il Recovery Fund, cerchiamo di riassumere il meccanismo del fondo in pochi semplici punti…

Disponibilità totale del fondo

100 miliardi di euro

Somma richiesta dall’Italia

28,5 miliardi

Condizioni primarie del fondo

L’Italia deve versare alla BCE 3 miliardi a garanzia per finanziare il fondo.

La somma ricevuta dall’Italia (28,5 miliardi) è un prestito che va restituito entro un tempo ancora non definito.

Come fa l’Italia a restituire i soldi del fondo

L’Italia vende sul mercato titoli di stato (obbligazioni), ricavando dalla vendita la liquidità necessaria per la restituzione.

Come fa la BCE a trovare i soldi del fondo

La BCE riceve dagli stati membri UE dei soldi a garanzia del fondo. Ma la liquidità maggiore proviene dai titoli di stato europei che la BCE vende sul mercato.

Condizioni che permetteranno al fondo di funzionare (e perché il fondo potrebbe non attivarsi)

Tasso d’interesse

I titoli di stato a lungo termine dei singoli paesi europei sono la moneta di scambio per reperire la liquidità in entrata e in uscita dal fondo.

Ad esempio, i soldi ricavati dalla vendita sul mercato dei titoli di stato italiani servono sia alla BCE per finanziare il fondo, sia al governo italiano per restituire i soldi ricevuti dal fondo.

Quindi il tasso d’interesse di questi titoli di stato devono essere sufficientemente alti, cioè superiori allo zero, per attirare compratori sul mercato, ma abbastanza bassi (non troppo lontani da zero) per permettere all’Italia di spendere poco per il pagamento degli interessi ai compratori di tali titoli.

Attivazione del fondo

Il fondo SURE si attiverà solo se i vari stati membri avranno depositato somme a garanzia per un valore totale di 25 miliardi.

Al momento, la disponibilità del fondo è ancora pari a zero e nessuno stato ha ancora versato somme a garanzia.

La contribuzione di queste garanzie è del tutto volontaria e quindi, non sapendo ancora quali stati parteciperanno al fondo, non c’è alcuna possibilità di sapere se la cifra dei 25 miliardi verrà mai raggiunta e quindi se il fondo sarà mai attivato.

Costi totali per l’Italia

Il costo per l’Italia derivante dall’uso del fondo SURE è composto da:

  • gli interessi che l’Italia pagherà alla BCE sulle somme da restuire al fondo SURE
  • la garanzia dei 3 miliardi da anticipare al fondo
  • gli interessi sui propri titoli di stato che l’Italia dovrà pagare per reperire i soldi da restituire al fondo

Trattandosi di un prestito per una somma che verrà devoluta a fondo perduto alle aziende senza probabili conseguenze positive sul PIL, la partecipazione al fondo sarà un costo netto per il Tesoro e un aumento netto del debito pubblico e del deficit sul PIL.

Come il Recovery Fund, anche questo fondo quindi, aggravando la situazione del deficit italiano, peggiorerà la debolezza dell’Italia e il suo futuro potere di negoziazione nei confronti di altri stati membri che hanno un deficit migliore.

E per finire, rispondiamo a una domanda che ricorre spesso, soprattutto nei blog “sovranisti”:

Perché l’Italia non trova i 28,5 miliardi sul mercato, emettendo i propri titoli di stato, piuttosto che farseli prestare dalla BCE?

Il tasso d’interesse richiesto dalla BCE per la restituzione dei soldi del SURE è piu’ basso del tasso d’interesse che l’Italia deve pagare a chi compra i propri titoli di stato.

Quindi all’Italia conviene pagare interessi piu’ bassi chiedendo soldi alla BCE, piuttosto che pagare interessi piu’ alti a eventuali creditori che comprano i propri titoli di stato.

In conclusione, lo scambio di liquidità tra la BCE e i vari stati membri si basa sulla reciproca convenienza che la BCE e gli stati hanno nell’emettere prestiti e nel decidere i tassi d’interesse da richiedere per la loro restituzione.

La BCE è in definitiva il centro decisionale dove vengono stabiliti questi tassi d’interesse a cui letteralmente è legata la sopravvivenza dei singoli stati membri.

Perché la BCE sta aiutando anche aziende non europee?

In questi tempi in cui la BCE viene spesso additata come unico baluardo di salvezza dalla crisi a fronte dell’insensibilità delle politiche UE, forse vale la pena restare coi piedi per terra e farci un’idea di come vanno veramente le cose.

E’ vero che la BCE ha varato il famoso PEPP, cioè il programma di acquisto di obbligazioni delle società dei paesi membri in difficoltà, ma non tutti sanno che la BCE aveva ed ha un altro programma di acquisto di obbligazioni private che dura già da quattro anni e ha speso finora circa 224 miliardi di euro.

Mentre il PEPP è un programma emergenziale destinato ad avere un termine, questo programma, che pochi conoscono, non avrà mai fine, e la sua caratteristica straordinaria è che le aziende “salvate” non sono necessariamente europee.

Infatti, per ottenere questo tipo di aiuto dalla BCE è sufficiente che un’azienda sia:

  • investment grade (cioè le sue obbligazioni siano ritenute solide)
  • abbia una succursale in Europa
  • emetta obbligazioni in euro

Cosi’, da quando esiste tale programma, un numero crescente di multinazionali si è affrettata a soddisfare questi requisiti e ha ottenuto (e tuttora ottiene e otterrà sempre) questo genere di aiuto, come ad esempio le divisioni finanziarie dei colossi svizzeri Nestlé e Novartis, i giganti statunitensi Coca Cola e John Deere, la British American Tobacco e la WPP con sede nel Regno Unito; e perché no? anche il conglomerato CK Hutchison Group, con sede a Hong Kong e registrato nelle Isole Cayman.

Prima di pensare che la BCE sia l’unica cosi’ scema da buttare via i soldi dei contribuenti europei per salvare aziende non europee, sappi che anche le altre banche centrali hanno programmi analoghi.

La Federal Reserve acquista obbligazioni di società non americane che abbiano filiali negli USA, come la Nestlé (che attinge contemporaneamente fondi dalla BCE, dalla Fed e dalla Banca nazionale svizzera), la Daimler, la Volkswagen, la BMW e la BP.

A sua volta, la banca centrale britannica ha addirittura avuto la sfrontatezza di mettere a disposizione il programma di acquisto di emergenza post covid per aziende non inglesi.

Per l’elenco completo delle multinazionali che godono degli aiuti di banche centrali straniere, leggi questo articolo.

Qual è lo scopo di questi acquisti incrociati da parte delle banche centrali?

Anzitutto, c’è la necessità di sostenere la propria valuta di riferimento. Per questa ragione è necessario che i beneficiari degli aiuti emettano obbligazioni nelle valute su cui le banche centrali hanno giurisdizione.

In secondo luogo c’è pero’ anche l’esigenza di sostenere un tessuto economico che globalmente non potrebbe tenersi in piedi.

Molte aziende beneficiare di questi aiuti (che ricordiamolo, NON sono emergenziali, quindi da quattro anni a questa parte andranno avanti a tempo indeterminato, bruciando parte dei soldi dei contribuenti) sono di fatto aziende in difficoltà.

Grazie al supporto delle banche centrali, tuttavia, queste società possono sopravvivere al brusco calo delle entrate molto più comodamente rispetto alle società che non emettono obbligazioni.

Questo mette le aziende beneficiarie in una posizione molto più forte per resistere alla crisi e magari anche per acquistare le aziende più piccole falciate dai debiti.

In sostanza, ecco il quadro generale che emerge:

Esiste una stretta correlazione tra la sopravvivenza delle valute fiat e delle multinazionali.

Entrambi i contesti sono praticamente alla frutta, ma sopravvivono grazie ai soldi che le banche centrali drenano dai singoli stati (e in ultima analisi, dai contribuenti di quegli stati).

Viviamo percio’ in un sistema economico dominato da multinazionali che non devono piu’ preoccuparsi delle leggi economiche o della concorrenza e possono quindi decidere quali prodotti o servizi fare a prescindere dalla loro utilità per le persone.

Queste aziende devono restare in piedi a tutti i costi per mantenere il sistema delle valute fiat basato sull’emissione di obbligazioni denominate in tali valute.

L’altra parte del meccanismo sono le obbligazioni emesse dagli stati, anche queste acquistate dalle banche centrali.

Le banche centrali sono quindi il perno che sorregge, attraverso le valute fiat basate sul debito (obbligazioni aziendali e di stato), un sistema economico ormai privo di regole che premia solo chi appartiene al club dei programmi di acquisto di tale debito.

Almeno adesso sappiamo come stanno veramente le cose, no?…

Il team di Strategie Economiche

Il Recovery Fund spiegato ai (quasi) principianti

Vorrei tanto poter scrivere un articolo semplice e breve su questo argomento, per doppiare il successo che ha avuto il mio precedente “L’accordo stato-Benetton spiegato ai principianti”, ma questo argomento è un tantino piu’ complesso e non potro’ cavarmela in poche righe.

Partiamo con il riassunto dell’accordo chiuso ieri dai Paesi dell’UE.

Riassunto dell’accordo

1. Arco Temporale degli aiuti:

Le somme saranno erogate e spese dal 2021 al 2026

2. Quote relative tra prestiti e sovvenzioni a fondo perduto:

somma totale a fondo perduto: ridotta da da 500 a 390 mld

somma totale da erogare come prestiti: aumentata da 250 a 360 mld

Somme destinate all’Italia:

fondo perduto: da 90 a 81,4 mld

prestiti: da 90 a 127,4 mld

Totale: 208,8 mld

3. Data di inizio dell’ erogazione: 

Secondo trimestre 2021. La parte erogata sotto forma di prestiti potrà anche coprire retroattivamente le spese sostenute dal governo da febbraio 2020 in poi.

4. Condizioni:

Per ricevere i fondi l’Italia dovrà presentare un Piano nazionale di riforme 2021-2023 entro l’autunno 2020.

Entro due mesi dal ricevimento del piano, la Commissione Europea valuterà il documento e il parere finale dovrà essere approvato dal Consiglio Europeo (formato dai capi di stato e di governo dei Paesi membri) entro 1 mese.

Durante l’erogazione dei fondi, qualora uno o piu’ stati membri del Consiglio riscontrino gravi scostamenti dai target intermedi del piano di un paese, l’approvazione dell’erogazione dei fondi successivi potrebbe essere rinviata a riunioni successive del Consiglio (con un ritardo di non oltre 3 mesi).

5. Sconti:

Alcuni paesi hanno ottenuto degli sconti sui soldi che dovranno versare ogni anno nel bilancio generale europeo:

Olanda: 2 miliardi circa l’anno

Austria: 565 milioni l’anno

Svezia: 1 miliardo l’anno

Germania: 4 miliardi l’anno

Totale:

7 mld e 565 mln l’anno in meno in bilancio (circa 42 mld totali in 6 anni).

Cifra che dovrà essere compensata dagli altri Paesi, Italia compresa.

6. Come verranno erogati e spesi i soldi in pratica:

Bisogna tenere presente che questo NON è un programma di aiuti diretti allo Stato, ai cittadini o alle imprese nello stile ad esempio da quanto fatto dal Tesoro americano o dalla Federal Reserve.

L’unico programma che si avvicina a questo tipo di aiuti (ma con moltissime differenze di fondo) è il MES, che pero’ non è argomento di questo articolo.

Lo schema del Recovery Fund invece ricalca quasi fedelmente quello dei “Fondi Strutturali Europei” che l’UE ha già erogato negli ultimi 25 anni ai vari paesi.

Lo schema è il seguente.

L’Italia dovrà presentare il Piano di riforme di cui al punto 3.

Si tratta di un insieme di obiettivi generali destinati a soddisfare le “raccomandazioni europee” su:

– sanità

– tutela occupazione

– spese causate dalla pandemia

– digitalizzazione e ambiente

– sistema amministrativo e giudiziario

– politiche di bilancio

Come nei precedenti programmi di finanziamento europeo, in tutto il territorio nazionale nasceranno migliaia di Società create apposta per pianificare dei progetti legati a tali obiettivi da presentare all’Europa per avere i finanziamenti.

Le Regioni saranno come sempre il crocevia di questi finanziamenti.

Vediamo ora le possibili conseguenze del Recovery Fund.

Come il Recovery Fund diventa una perdita per lo Stato e un incremento del peso fiscale per imprese e cittadini

Il Recovery Fund deve essere finanziato dai singoli stati con un contributo straordinario da pagare per i prossimi 7 anni (i dettagli in questo documento).

L’Italia dovrà versare un contributo straordinario di 96,3 mld in 7 anni.

Come abbiamo detto, nello stesso lasso di tempo (7 anni), l’Italia riceverà a fondo perduto dal Recovery Fund 81,4 mld (vedi il paragrafo precedente).

Quindi in realtà questa cifra a fondo perduto servirà a coprire (peraltro solo in parte) il versamento straordinario di 96,3 mld.

Alla fine all’Italia resterà di versare un contributo netto di 14,9 mld (96,3 – 81,4) senza ricevere alcuna somma reale a fondo perduto.

Questi 14,9 mld vanno poi sommati alle tasse ordinarie che l’Italia dovrà pagare all’Europa nei prossimi 7 anni, pari a 47 mld.

In totale quindi l’Italia dovrà versare nei prossimi 7 anni (47 + 14,9) 61,9 mld.

L’unica voce attiva netta nel bilancio degli aiuti sarà quella sotto forma di prestiti, pari a 127,4 mld.

Questi prestiti non verranno utilizzati per coprire i 61,9 mld che lo Stato dovra versare. Al contrario, verranno erogati a favore delle grandi aziende protette dallo Stato,

Quei 61,9 mld invece verranno coperti con tasse nazionali a imprese e cittadini.

A queste tasse dovranno aggiungersi anche nuovi carichi fiscali che l’Europa varerà per coprire lo sforamento sul budget creato dal Recovery Fund (carbon tax e tasse ambientali di vario genere).

Per la stessa ragione, le tasse europee già esistenti (come i dazi doganali) verranno aumentate dal 20% al 25%.

Il risultato netto di questi aiuti del Recovery Fund quindi sarà:

  • un contributo netto positivo in forma di prestiti bancari alle grandi aziende protette dallo Stato.
  • Un aumento di tasse sia a livello nazionale che europeo a carico di imprese e cittadini.

Come il Recovery Fund modifica l’assetto finanziario europeo (nascita degli eurobond)

Il Recovery Fund introduce un importante cambiamento nell’economia europea, cioè l’emissione di eurobond che dovranno coprire le cifre erogate a fondo perduto ai vari Stati.

Condizioni e effetti degli eurobond:

  1. Gli eurobond avranno come compratore unico la BCE e le banche dei singoli paesi.
  2. La BCE compenserà le spese di tali acquisti riducendo progressivamente e portando a chiusura il suo programma di acquisto straordinario di obbligazioni di alcuni paesi, soprattutto l’Italia (PEPP), entro il 2021 (1350 mld di acquisti entro giugno 2021).
  3. I singoli Stati, tra cui l’Italia, dovranno supportare il valore degli eurobond con emissioni di bond nazionali (quindi emissione di nuovo debito, che verrà compensato con nuove tasse, come abbiamo detto nel paragrafo precedente).
  4. Gli interessi da pagare per gli eurobond verranno compensati con un aumento del prelievo fiscale a livello europeo (come abbiamo detto nel paragrafo precedente).
  5. Gli effetti degli eurobond sul mercato dei cambi (cioè sulla tenuta dell’euro rispetto alle altre valute, soprattutto il dollaro) sono un’incognita, ma saranno certamente determinanti.

Effetti sul bilancio dello Stato italiano

Se gli (eventuali) effetti del Recovery Fund sull’economia reale si vedranno tra qualche anno, le emissioni nazionali di bond da fare in anticipo per permetterne l’erogazione (vedi i paragrafi precedenti) accresceranno già ora la pressione sul Tesoro, che già ha il suo bel da fare per rifinanziare l’elevato debito in scadenza (aumentato a causa delle spese anti-covid e per colmare i grossi “buchi” di bilancio provocate dalla pandemia).

Le banche italiane, come quelle degli altri paesi, dovranno riempirsi degli eurobond detenuti dalla BCE. Questi bond, che andranno in competizione con i bond emessi dai singoli paesi, avranno abbastanza presto una caduta dei rendimenti, provocando perdite nei bilanci delle banche.

Riassumendo, grazie al Recovery Fund, tra il 2021 e il 2026, l’Italia ha accettato di:

– Accollarsi delle spese nette aggiuntive per compensare il bilancio europeo aumentato a causa del Recovery Fund (vedi i paragrafi precedenti).

– Accollarsi per 7 anni la parte delle spese per il bilancio europeo che è stata scontata ad altri paesi (circa 42 mld totali, vedi il punto “4. Sconti” del primo paragrafo)

– Aumentare il prelievo fiscale a imprese e cittadini per compensare queste spese e le spese di interessi per gli eurobond.

– Rimborsare entro il 2026 la parte non a fondo perduto degli aiuti, rendendo improbabile la possibilità che l’Italia possa ridurre il deficit tra debito e PIL, che è una precondizione necessaria proprio per non avere noie dall’Europa.

Queste nuove voci di spesa andranno ad aggravare il bilancio italiano, già sotto il peso di:

– una sensibilmente minore raccolta fiscale

– una eccezionale caduta del PIL

– un aumento del debito sotto forma di titoli di stato

Effetti sull’economia reale italiana

Al punto “5. Come verranno erogati e spesi i soldi in pratica” del primo paragrafo, abbiamo visto che questi fondi saranno gestiti col vecchio sistema dei “Fondi Europei” che conosciamo almeno dagli anni ’90.

In pratica: l’Europa fornisce a grandi linee delle aree di interesse dove si dovrebbero spendere de soldi. I Paesi europei presentano dei progetti che hanno obiettivi in quelle aree e l’Europa li finanzia entro un certo numero di anni.

Abbiamo avuto quasi 30 anni di tempo per valutare l’efficacia di questo sistema, che ha dimostrato un impatto nullo sull’economia italiana.

Senza andare a indagare le cause e senza descrivere tutte le carenze di questi programmi, è evidente che l’ininterrotta linea discendente dell’economia italiana degli ultimi 30 anni non è stata per nulla intaccata dagli altrettanto ininterrotti aiuti dei “Fondi Europei”.

Non abbiamo quindi alcuna prova storicamente fondata che questo genere di aiuti riescano ad avere un impatto sull’economia reale.

Bliancio netto finale

Per concludere quindi, il bilancio netto che possiamo trarre dal Recovery Fund è:

  • Aumento di tasse nazionali ed europee per imprese e cittadini
  • Aumento di prestiti alle grandi aziende protette dallo Stato
  • Aumento delle sofferenze bancarie italiane ed europee
  • Incertezza sulla tenuta dell’euro e sulla sua reputazione internazionale
  • Scarse possibilità di impatto del Recovery Fund sull’economia reale

 

L’accordo Stato-Benetton spiegato ai principianti

Spieghiamo qui in pochi semplici punti l’accordo trovato tra lo Stato e i Benetton. In modo che ciascuno possa poi farsi l’opinione che crede.

I Benetton, tramite una holding che si chiama Edizione, detiene il 30% di Atlantia, che a sua volta detiene l’88% di ASPI (la società che gestisce le autostrade italiane).

L’accordo stipulato dal governo non revoca la partecipazione di Atlantia (e quindi dei Benetton), ma piuttosto prevede la riduzione delle sue quote di partecipazione, dall’ 88% fino all’11%.

Per fare questo, la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), cioè la cassaforte del governo, comprerà il 51% delle azioni di Atlantia, in modo da assumerne il controllo e avere cosi’ l’autorità per iniziare lo smantellamento delle quote di Aspi.

Lo smantellamento dell’88% delle quote Aspi di Atlantia avverrà in questo modo:

30% andranno in automatico alla CDP in quanto azionista di maggioranza di Atlantia

22% verrà ceduto ad azionisti privati ( tra cui grandi fondi come Blackstone)

– il restante 36% verrà liquidato con la quotazione del titolo in borsa.

Cosa paga lo Stato

La CDP pagherà l’acquisto del 51% delle azioni Atlantia per diventarne il socio di maggioranza.

In pratica, lo Stato, con soldi pubblici, si ricompra Atlantia dopo averla venduta (privatizzata) nel 1999.

Cosa guadagnano i Benetton

– le somme che lo Stato pagherà per ricomprarsi Atlantia

– le somme derivanti dalla vendita delle altre quote destinate ai soggetti privati

– le somme (elevatissime) derivanti dalla quotazione in borsa del resto delle quote

– il controllo dell’11% di Atlantia (e i proventi derivanti dalle attività connesse, inclusi eventuali aiuti pubblici che certamente il governo provvederà a destinare a questa società nei prossimi anni a venire, nello stile Alitalia).

Cosa ottiene l’Italia

– una nuova voce di spesa pubblica (che nel bilancio andrà a pesare negativamente nel già grave differenziale tra PIL e debito pubblico)

– una nuova società da mantenere con i soldi pubblici (che rende improbabili eventuali progetti di riduzione del carico fiscale).

 

 

La Fed inizierà un nuovo QE comprando azioni di borsa? Ecco le prove…

Il programma di acquisti di titoli di borsa della Federal Reserve è uno degli argomenti meno compresi dalla stampa ufficiale.

In questo articolo parlero’ di due importanti novità che potrebbero innescare una fase di euforia nei mercati azionari USA:

  • la Fed potrebbe varare un nuovo QE
  • questa volta, nel nuovo QE la Fed potrebbe ufficialmente acquistare titoli azionari, non solo obbligazioni e Etf come fatto finora

Finora la Fed ha sostenuto i mercati finanziari in tre modi.

Gran parte della ripresa dei mercati avvenuta tra marzo e aprile è stata dovuta all’attività degli investitori istituzionali (grandi fondi comuni, hedge fund, fondi pensione, assicurazioni ecc.) che hanno compiuto, sullo slancio dei proclami rassicuranti della Fed, la maggior parte degli acquisti dei titoli di borsa (come abbiamo detto qui).

Una seconda strategia, che abbiamo spiegato ai lettori della nostra newsletter, è stata perseguita dalla Fed tra aprile e maggio con acquisti indiretti della Fed nel mercato obbligazionario delle società private quotate.

Gli acquisti sono avvenuti attraverso istituti appositi, chiamati Special Purpose Vehicles (SPV), che la Fed finanzia allo scopo di effettuare acquisti di obbligazioni di aziende americane.

In questo modo la Fed è riuscita a sostenere indirettamente il mercato azionario, comprando le obbligazioni emesse dalle società quotate in borsa.

Il terzo meccansimo, meno conosciuto ai piu’ e di cui abbiamo parlato molto tempo fa nel nostro canale Telegram, ultimamente aveva ceduto il posto ai primi due che abbiamo appena spiegato, ma ora potrebbe tornare alla ribalta.

Con questo meccanismo la Fed riesce ad aggirare i limiti del suo statuto, che le vietano acquisti diretti di titoli azionari.

Come avviene questo? Si tratta di un’azione in due mosse:

  1. La Fed emette linee di credito a favore del Tesoro americano
  2. Il Tesoro utilizza parte della liquidità cosi’ ottenuta delegando al fondo BlackRock l’acquisto di titoli azionari in borsa

In questo modo, ufficialmente è il Tesoro, non la Fed, a “investire” fondi nella borsa azionaria.

Ora, la notizia importante è che la Federal Reserve (non il Tesoro) ha appena firmato un contratto con BlackRock (che si puo’ leggere qui) con cui il fondo di investimento diviene uno strumento per effettuare acquisti in borsa per conto della Fed.

Questa è già una importante novità: per la prima volta BlackRock esce dall’anonimato e diventa un agente ufficiale della banca centrale americana.

Ma la seconda novità è ancora piu’ importante.

Leggiamo infatti nel contratto la seguente clausola:

“Subject to this Agreement, including the Investment Guidelines (as defined in Section 5.1), the Manager is hereby appointed as the FRBNY’s agent in fact, and it shall have full power and authority to act on behalf of the Account with respect to the purchase, sale, exchange, conversion, or other transactions in any and all stocks, bonds, other securities, or cash held for investment subject to the Agreement.”

Come puoi leggere, il fondo BlackRock è autorizzato a comprare anche “stocks” (evidenziato in grassetto nel testo), cioè azioni di borsa.

Si tratta di una novità importante, perché finora il direttore della Fed, Powell, ha sempre e solo parlato ufficialmente di voler effettuare acquisti in obbligazioni e in Etf (puoi rileggere qualsiasi articolo di giornale sull’argomento per confermare questo dato). Non aveva mai parlato di acquisti nel mercato azionario.

Il fatto che invece questo contratto contempli tale possibilità fa prevedere tre cose:

  • che ci sarà un secondo QE, cioè un secondo programma di acquisti di titoli di borsa
  • che a questo nuovo QE parteciperà anche il fondo BlackRock
  • che in questo nuovo QE sarà previsto anche l’acquisto diretto di titoli azionari, non solo obbligazioni e Etf.

Questi nuovi, straordinari ingredienti nella strategia della Fed formano la ricetta perfetta per quella fase di euforia dei mercati (forse nel 2021) da noi prevista in articoli precedenti (il piu’ completo qui).

Se la Fed è riuscita a imporre una cosi’ forte ripresa ai mercati semplicemente manipolando i mercati obbligazionari, cosa sarà capace di fare una volta che potrà manipolare apertamente e legalmente anche il mercato azionario?

Quello che potrebbe succedere è che la maggior parte degli investitori che sono ancora ai margini del mercato azionario (e sono una frazione enorme, in quanto attualmente i maggiori investitori scesi in campo sono solo i grandi fondi) entreranno finalmente in gioco, scatenando una stagione di euforia simile a quella che abbiamo visto nel 2017.

Nessuno puo’ permettersi di perdere questo appuntamento coi mercati, percio’ ti consiglio, se non lo hai già fatto, di iscriverti subito alla nostra newsletter gratuita e al nostro canale Telegram per avere sempre il polso della situazione e non essere preso alla sprovvista quando tutto questo accadrà.

Il team di Segnali di Borsa

Inizia negli USA la stagione dei fallimenti. E in Italia?

Stiamo entrando nel periodo tanto atteso in cui i danni strutturali causati dal Covid in America verranno alla luce.

Ad aprile infatti ci fu un accordo tra le banche e altre istituzioni finanziarie e le imprese che pagano loro gli affitti, di sospendere i pagamenti per 90 giorni.

Ora che il periodo di tolleranza è scaduto, le imprese dovrebbero riprendere i pagamenti. Ma solo quelle che nel frattempo hanno avuto una vera ripresa delle attività riescono a farlo. Le altre iniziano a mostrare segni di crisi, oppure sono destinate a vere e proprie bancarotte.

Ecco il motivo per cui iniziamo a leggere sui giornali economici sempre piu’ notizie che riguardano fallimenti o altri eventi negativi nell’economia reale americana, come ad esempio:

  • previsti tagli di migliaia di posti di lavoro alla Wells Fargo.
  • circa 36.000 posti di lavoro a rischio nel settore delle compagnie aeree.
  • le bancarotte di Brook Brothers, Muji, GNC e 24 Hour Fitness.

In Italia il governo ha vietato per decreto i licenziamenti, almeno per quelle aziende che vorranno ricevere aiuti governativi.

Questo implica che le ditte desiderose di ricevere i sussidi della UE stanno stringendo i denti, rimandando i licenziamenti e addirittura pagando ai loro dipendenti la cassa intergazione (sperano che il governo si decida prima o poi a pagarla al posto loro).

A causa di questa messa in scena, migliaia di dipendenti fantasma restano ufficialmente occupati, ma in realtà sono già in cassa integrazione.

Ecco il motivo per cui, mentre in America iniziano le bancarotte, in Italia tutto sembra stranamente filare liscio.

Grazie alle “arti magiche” del governo e alla acquiescenza delle aziende, non abbiamo ancora la possibilità di vedere le cose come stanno.

Ma dal momento che nessun governo puo’ vietare i licenziamenti in eterno, prima o poi i dati ufficiali sull’occupazione si schianteranno… e apprenderemo in modo molto piu’ traumatico la verità…

L’oro è arrivato al suo appuntamento con la storia

Alla fine l’oro è tornato a toccare il livello di 1800 dollari l’oncia. Livello al quale era arrivato nel lontano biennio 2011-2012, testando per tre volte quella soglia senza superarla (le tre frecce verdi sulla sinistra):

Il livello di 1800 dollari l’oncia è di gran lunga il piu’ importante nella storia recente, non solo dell’oro, ma di tutta l’economia moderna.

Forse vale la pena rievocare cosa accadeva nel periodo in cui l’oro testo’ per tre volte quella soglia….

In quel lontano 2011, l’Italia iniziava ad essere sotto quell’attacco speculativo culminato con la caduta del governo Berlusconi (la prima defenestrazione di un governo compiuta apertamente con mezzi finanziari), mentre le banche centrali di tutto il mondo stabilivano il nuovo standard economico che avrebbe cambiato il volto delle società occidentali.

Già nel 2008 infatti, la crisi dei subprime e il fallimento della banca Lehman-Brothers avevano convinto le banche centrali di tutto il mondo occidentale a prendere il controllo della creazione di valuta, dei tassi d’interesse e dei debiti dei governi.

Appena 3 anni dopo, era apparso chiaro che quel sistema non poteva essere una misura temporanea, ma doveva diventare un assetto permanente da mantenere a tutti costi – anche con l’uso della forza -, per evitare il ritorno di nuove crisi.

Fu cosi’ che nel 2011 il mondo occidentale ebbe uno shock nello scoprire di essere finito sotto un dominio economico-finanziario permanente che avrebbe impoverito sempre piu’ l’economia reale e quindi le condizioni di vita dei cittadini.

Il nuovo assetto finanziario aveva il solo scopo di permettere ai governi di autosostenersi per mezzo di un indebitamento all’infinito, affrancandosi sempre piu’ dal dovere di assicurare prosperità economica al popolo per mantenere il consenso democratico.

La Grecia e l’isola di Cipro furono sacrificate sull’altare di questa nuova forma di dominio, nato come versione cruenta dell’assetto adottato con la crisi del 2008.

Nello stesso tempo, si fece strada nell’opinione pubblica il concetto di “fiat money”, cioè del denaro creato dal nulla dalle banche centrali. Un puro e semplice bit digitale senza alcuna connessione con l’economia reale e del tutto incapace di produrre prosperità e benessere, se non per i governi e i circoli chiusi delle istituzioni (e delle aziende) da essi sostenute.

Ecco perché a un certo punto, una parte crescente del mondo finanziario e degli investitori inizio’ a considerare l’oro come rifugio di ultima istanza, pensando che un giorno le valute fiat sarebbero implose provocando una reazione a catena dalle conseguenze incalcolabili.

La salita vertiginosa del prezzo dell’oro (e il triplo test del livello di 1800 dollari l’oncia evdenziato nel nostro grafico) fu quindi una conseguenza di questa convinzione, che non si fermava al solo ambito finanziario, ma aveva implicazioni politiche e sociali, anche se spesso inconsapevoli.

Le banche centrali capirono subito che l’oro stava diventando un pericoloso antagonista del sistema di potere politico-finanziario che si voleva affermare sui popoli.

Il grafico mostrato all’inizio dell’articolo mostra infatti che dopo il triplo test dei 1800 l’oncia, il metallo giallo inizio’ una lunga e decisa discesa durata oltre sei anni.

Questa discesa fu il risultato di una complessa rete di controllo che le banche centrali assunsero sulle quotazioni dell’oro, utilizzando le “bullion bank”, cioè le banche che forniscono il collaterale al mercato dei futures legato ai metalli preziosi, per mantenere il prezzo dell’oro e dell’argento sotto una soglia ben definita.

Il resto è storia ben conosciuta, soprattutto dai nostri lettori, che negli anni hanno potuto apprendere dai nostri articoli tutti i meccanismi e le battaglie legali legate a questo sistema criminale, purtroppo solo parzialmente scalfito dalle condanne del Dipartimento di Giustizia americano.

Recentemente, pero’, la pandemia del Covid sembra stia mettendo in crisi questo sistema che sembrava invincibile.

I nostri lettori hanno appreso dai nostri ultimi articoli (ad esempio, questo, ma molto piu’ e con maggiori dettagli negli articoli inviati via email alla nostra newsletter gratuita) quanto sia diventato insostenibile per le “bullion bank” mantenere sotto controllo il prezzo dell’oro.

Poi è entrata in gioco l’incredibile scarsità di oro fisico che il Covid ha creato negli store di tutto il mondo (ne abbiamo parlato qui).

Ma il fattore a mio avviso piu’ determinante è stato il fatto che, a partire dall’aprile del 2019, la Bank of International Settlements (BIS, cioè la “banca centrale delle banche centrali”), aveva modificato la norma “Basel III” che regola i depositi di oro delle banche, portando il metallo giallo al livello tier-1, cioè alla pari degli asset principali che possono essere citati nei bilanci bancari ufficiali.

E’ stato quello il “segnale convenuto” che ha innescato da parte delle banche un moderato accaparramento di oro e il contemporaneo allentamento della “morsa” sulle quotazioni, che sono state innalzate al di sopra dei 1600 dollari l’oncia (il “livello di guardia” precedente era 1300-1400).

L’obiettivo di questo importante cambiamento era quello di dare alle banche, in crescente crisi di liquidità, un asset in piu’ da usare per sostenere i propri bilanci sempre piu’ precari.

La crisi del Covid ha pero’ fatto precipitare le cose, spingendo nuovamente investitori di ogni genere (fra loro anche le stesse banche) ad acquistare titoli di borsa legati all’oro, riportando cosi’ il prezzo di questo metallo alla fatidica soglia storica dei 1800 l’oncia.

Questa volta pero’, diversamente dal 2011-2012, il sistema di controllo basato sulle valute fiat, sul debito come asset principale dei governi e sulla manipolazione a ribasso dell’oro non è stato appena creato e rafforzato. Al contrario, questo sistema si è indebolito, arrivando ormai alle sue fasi estreme, in cui le banche centrali devono aumentare all’inverosimile il denaro creato dal nulla e sono costrette a sostenere con questa valuta fiat tutti i settori economici, compresi quelli dell’economia reale.

Se prima la valuta fiat riusciva a creare l’illusione che il sistema socio-economico avesse ancora una sua concreta esistenza, oggi tutto appare sempre piu’ come una semplice partita di giro, in cui lo stesso denaro viene assegnato temporaneamente a tutte le categorie economiche, per poi tornare di nuovo nel bilancio delle banche centrali, che lo riutilizzano all’infinito per un nuovo giro di giostra.

In altre parole, l’intera società, con i suoi settori produttivi, i suoi servizi e le sue categorie, per continuare a sopravvivere dovrebbero diventare una mera convenzione tenuta in piedi dalle banche centrali, mentre i grandi organismi internazionali decideranno volta per volta quali di questi settori o categorie meritano ancora sostegno e quali invece devono essere lasciati morire togliendo loro liquidità.

Per quanto si possa avere “fiducia” nelle capacità repressive delle banche centrali, dei governi e degli organismi internazionali, è lecito avere dei dubbi sulla tenuta di tali capacità qualora dovessero essere estese a tutto il pianeta…

Ecco perché questa volta la storia potrebbe andare diversamente.

La soglia storica dei 1800 dollari l’oncia, questa volta potrebbe essere rotta e superata.

L’oro potrebbe arrivare a quotazioni ben superiori, se nel frattempo il sistema che lo aveva messo sotto controllo arriva a un importante snodo di crisi e inizia a fallire i suoi obiettivi.

Succederà davvero, oppure le banche centrali si inventeranno qualcosa, innescando un nuovo lungo mercato orso di chissà quanti anni?

Non abbiamo alcuna possibilità di prevedere in anticipo l’esito di questa nuova sfida cruciale.

Possiamo solo dire che…ci siamo arrivati… L’ora della resa dei conti tra l’oro e il sistema corrotto che lo aveva tenuto sotto controllo è proprio adesso!

Non possiamo fare altro che aprire occhi e orecchie e stare a vedere quello che succede…

Nel frattempo, per ricevere via email i nostri approfondimenti sull’oro, che non sempre riusciamo a pubblicare sul blog, iscriviti alla nostra newsletter gratuita.

La Federal Reserve manterrà la promessa di comprare corporate bonds?

Questa settimana i mercati sono stati rivitalizzati dall’annuncio di Powell, presidente della Federal Reserve, di voler comprare corporate bond in modo diretto anziché solo attraverso gli Etf.

Questa notizia ha riportato l’attenzione sui programmi di acquisto della Federal Reserve e sui miti che purtroppo continuano a circolare nei media.

I media infatti, soprattutto quelli europei, tendono a dipingere la banca centrale americana come una divinità onnipotente, capace di sostenere tutti i mercati con una quantità illimitata di dollari.

In questo articolo invece analizzeremo alcuni grafici che ci rivelano le reali dimensioni degli acquisti finora effettuati dalla banca centrale e che ci fanno capire come la Federal Reserve stia al contrario risparmiando saggiamente le “munizioni” (cioè i soldi spesi per sostenere i mercati), conservandole forse per tempi peggiori.

La verità infatti è che finora la Federal Reserve ha utilizzato una parte infinitesimale degli oltre 4 trilioni di dollari del suo programma di aiuti anti covid per bilanciare i mercati.

Prima di leggere i grafici che seguono, premetto che la Federal Reserve effettua tutte le operazioni di salvataggio attraverso degli istituti separati, chiamati Special Purpose Vehicles (SPV), che fungono da braccio operativo.

Il grafico qui sotto mostra l’entità di tutte le operazioni effettuate dai 10 SPV che sono stati finora attivati a questo scopo:

Come si vede, agli inizi della crisi del covid, ossia da marzo a metà aprile, erano stati attivati solo 3 SPV (colori nero, grigio e blu) che si sono occupati di comprare sia titoli di breve termine a sostegno della liquidità giornaliera di fondi monetari e banche, sia obbligazioni vendute direttamente dalle aziende (non quindi i famosi bond quotati in borsa).

Dopo la seconda metà di aprile, le operazioni di questi tre SPVs sono andate riducendosi, mentre è entrato in attività un quarto SPV (in rosso) che compra dalle banche obbligazioni governative garantite.

Solo a fine maggio sono entrati in attività altri quattro SPVs, uno dei quali (quello contrassegnato in giallo) acquista effettivamente le famose obbligazioni corporate sul mercato secondario, cioè nei listini di borsa.

Questo è dunque il primo (e finora unico) SPV che si stia realmente occupando dei mercati di borsa.

Il grafico mostra che questo SPV, chiamato CCF, ha incrementato la sua attività, passando da acquisti per 1.5 miliardi il 20 maggio ad acquisti per 38.9 miliardi il 17 giugno.

Ora, ti chiedo di confrontare questi quasi 40 miliardi spesi ogni settimana con i 4 trilioni (4 milioni di miliardi) stanziati complessivamente dalla Fed nel programma di supporto alla crisi.

Non trovi che sia una cifra del tutto trascurabile?

Anche se volessimo poi considerare l’attività di tutti gli SPVs finora attivati (nessuno dei quali comunque, tranne il CCF, ha mai avuto a che fare con le borse) vediamo che nel complesso non ha superato i 196 miliardi, che ancora una volta sono una parte minimale dell’immenso programma di aiuti della banca centrale.

Anche gli acquisti dei titoli di stato da parte della banca centrale sono andati rapidamente riducendosi, come mostra quest’altro grafico:

Dopo il picco di 362 miliardi stanziati ad aprile per comprare questi titoli, la Fed ha drasticamente ridotto gli acquisti, toccando il minimo di 9 miliardi il 10 giugno, oggi leggermente incrementati a 26 miliardi.

Tutto cio’ dimostra che, diversamente da quanto si crede, la gran parte dei 4 trilioni stanziati dalla Fed è andata a finire nell’economia reale, cioè nelle misure di sostegno al credito di imprese e cittadini, in vari strumenti di sostegno sociale, nel salvataggio dei governi locali (stati, municipalità ecc.) e nel sostegno alle altre banche centrali dei paesi alleati.

Solo una piccolissima parte di questi soldi è stata impiegata – e solo di recente – per comprare titoli quotati in borsa o titoli di stato.

Questo ci fa capire due cose:

  1. Lo stato di salute delle borse USA, sia azionarie che obbligazionarie, è molto migliore di quanto ci si immagina. Infatti, la liquidità necessaria per l’avvenuta ripresa quasi totale delle quotazioni è venuta dal mercato stesso e non dalla banca centrale.
  2. L’uso dei fondi della banca centrale è molto piu’ oculato e socialmente responsabile di quanto venga dipinto dai media.

Ma allora perché i media, soprattutto europei e italiani, tendono a darci una visione del tutto diversa?

Possiamo ipotizzare i seguenti motivi:

  • Dal momento che la banca centrale europea compra direttamente titoli di stato e obbligazioni corporate già da diversi anni, senza alcun successo, si vuole nascondere il fatto che questo tipo di sostegno funziona in un’economia mediamente sana, ma è del tutto fallimentare in un’economia di pura sopravvivenza qual è quella europea.
  • Conformemente al punto precedente, si tenta di passare il messaggio che non dobbiamo preoccuparci troppo se l’economia reale va male, perché per la ripresa è sufficiente il “bazooka” delle banche centrali.
  • Si tenta di preparare i cittadini all’ineluttabilità delle misure della BCE e delle conseguenze che potrebbero portare (non necessariamente positive).
  • Si tenta di convincere l’opinione pubblica che tutte le economie sono ugualmente colpite dalla crisi del covid e che quindi le politiche economiche fin qui attuate non hanno commesso errori e non hanno peggiorato gli esiti dovuti al covid (al contrario, è evidente che USA, Cina e molti altri paesi sono messi meglio dei paesi europei, perché le loro politiche economiche pre-covid erano migliori).
  • Si presenta come ineluttabile il fatto che un governo o una banca centrale non possono far nulla per aiutare direttamente l’economia reale, nascondendo il fatto che negli USA la banca centrale ha fatto tutto per l’economia reale (anche quella dei paesi alleati), destinando solo risorse minimali per i cosiddetti “mercati”.

Credo che tutto questo ci dia molto su cui riflettere per i prossimi mesi e anni…

Il dollaro sta per scatenare qualcosa di grosso…

In questo articolo di fine marzo avevamo ventilato la possibilità che questa crisi potesse portare prima o poi a un periodo di inflazione.

Naturalmente gli analisti e gli articolisti poco abituati a interpretare le basi di economia fondamentale che si studiano all’università insistono ancora sugli effetti deflattivi di questa crisi.

Ma per chi sa andare un po’ al di là del proprio naso, i sintomi precursori di una possibile inflazione ci sono tutti, anzi, rispetto a marzo scorso sono persino aumentati, almeno nell’area del dollaro.

La Federal Reserve ha già stampato 4,8 trilioni di dollari nelle ultime 12 settimane. Una cifra pari al 25% del PIL americano.

Continuando di questo passo, la banca centrale USA si appresta a stampare per il 2020 una quantità di denaro pari a tutto il PIL del paese.

Non c’è da stupirsi percio’ che il dollaro abbia imbroccato un deciso trend discendente di breve-medio termine:

…e che nel medio-lungo termine, l’ascesa di questa valuta stia reggendo a malapena, andando a testare per la seconda volta un importante supporto:

Sono pero’ i titoli di stato americani a darci i segnali piu’ evidenti di una possibile inflazione.

Bisogna considerare infatti che la Federal Reserve, come qualsiasi altra banca centrale, è in grado di controllare solo fino a un certo punto i tassi d’interesse.

Se i tassi dei titoli di stato a breve termine sono di facile controllo, quelli dei titoli a lungo termine sono di gran lunga influenzati dal mercato e poco o nulla dalle banche centrali.

Ecco quindi che, nonostante la Fed abbia iniziato ad imitare la banca centrale giapponese e quella europea sulle politiche di tassi d’interesse tendenti a zero, i titoli di stato a 30 e a 20 anni stanno sfuggendo al controllo, mostrando una decisa ripresa dei rendimenti:

Questo fenomeno puo’ essere visualizzato meglio mettendo in relazione tutti i rendimenti dei titoli di stato, da quelli a brevissima scadenza a quelli a lunghissimo termine, come fatto in questa figura:

Le prime due curve in alto, di colore verde e nero, mostrano la sequenza dei rendimenti di questi titoli come appariva a marzo e a novembre scorsi.

Invece la curva rossa piu’ in basso mostra la curva attuale, molto piu’ ripida delle due precedenti a causa dell’impennata dei rendimenti dei titoli a 10, 20 e 30 anni (che rendono, rispettivamente, 0,82, 1,38 e 1,61 in percentuale).

Ora, secondo le banali leggi economiche che si studiano all’università, i tassi d’interesse possono aumentare solo per due ragioni: un sensibile miglioramento dell’economia (ma non è il nostro caso), oppure l’aspettativa di una incipiente inflazione

Ma in quali settori si riverserà questa ondata inflattiva?

E’ ancora presto per dirlo.

Negli ultimi dieci anni, le politiche monetarie della Fed sono riuscite a scatenare una forte inflazione limitata ai soli titoli di borsa (e infatti, nel nostro articolo di ieri abbiamo cercato di prevedere i tempi di questa prossima impennata delle quotazioni).

Questa volta pero’ non è detto che l’inflazione si limiterà solo alle borse.

I mercati del forex e dei titoli di stato ci stanno dicendo che la dimensione della liquidità che sta per essere messa in gioco è talmente fuori misura da poter cambiare le carte in tavola.

L’economia a cui ci siamo abituati per anni, basata sui tassi a zero, con prezzi bassi al consumo e alti rendmenti nelle borse, potrebbe presto lasciare il posto a un nuovo assetto di cui non conosciamo ancora i dettagli.

Siamo alle porte di grandi cambiamenti che andranno valutati nel corso dei prossimi mesi, per individuare opportunità e rischi che ora non siamo ancora in grado di prevedere.

Su questo blog, nella nostra newsletter gratuita e nel nostro canale telegram, ti daremo tutte le informazioni in anticipo sui tempi, per consentirti di stare sempre al passo con le novità epocali che si stanno svolgendo sotto i nostri occhi.

Il team di Strategie Economiche

Le possibili fasi delle borse nei prossimi due anni

Ormai sappiamo tutti che le borse sono del tutto scollegate dall’economia reale, perché vengono sostenute dalle misure di salvataggio delle banche centrali.

In praticolare, dal 2009 a oggi, il 90% dei profitti ottenuti nello S&P500 provengono dai dividendi e dalle misure di sostegno della Federal Reserve.

E ora che la banca centrale americana si prepara a raddoppiare la liquidità già immessa sul mercato da febbraio a oggi (pari a circa 4 trilioni di dollari), non possiamo non aspettarci una ulteriore ondata di rialzi.

Esiste infatti una legge fondamentale in economia, secondo cui l’aumento della moneta circolante provoca una inflazione dei prezzi.

E se c’è un settore dove questa legge ha funzionato benissimo nell’era delle banche centrali, è proprio quello finanziario, come dimostra l’ininterrotto aumento delle quotazioni di bond e azioni negli ultimi dieci anni, alimentato appunto dall’immissione di denaro fatto dalla Fed nello stesso lasso di tempo.

Paul Tudor Jones ha pubblicato un grafico che mette in relazione la massa monetaria M2, fatta di tutto il denaro circolante e dai depositi bancari e postali, con l’andamento dello S&P500.

Come si vede nel grafico sotto, la curva che ne risulta (in blu) è molto aderente al reale andamento dello S&P500 (in azzurro), ma la anticipa con un lasso di circa 8 mesi.:

Come si vede sulla destra del grafico, Tudor Jones aveva previsto un primo rialzo che avrebbe raggiunto il picco verso il 20 maggio. Proprio come è realmente accaduto.

In seguito, il modello di Tudor Jones prevede che ci sarà una progressiva discesa delle quotazioni per tutto il resto del 2020.

Questo perché, come abbiamo detto, secondo il suo modello, la nuova liquidità immessa nei mercati non riesce a produrre inflazione all’istante, ma ha bisogno di un intervallo di 8 mesi per farlo.

Quindi i quattromila miliardi di dollari appena stampati dalla Fed non hanno ancora prodotto il loro effetto inflattivo. Il rialzo di marzo-aprile è stato solo un effetto temporaneo, mentre la vera inflazione si paleserà fra circa 8 mesi.

E se nel frattempo, com’è probabile, la Fed stamperà ancora altro denaro che si aggiungerà a quella già straordinaria massa di 4 triliardi, l’impennata di prezzi che si produrrà nei mercati fra 8 mesi, cioè entro il 2021, sarà inimmaginabile (come si vede all’estrema destra del grafico)…

Tuttavia questa volta, diversamente dalle crisi del 2000 e del 2008, l’economia reale inizierà a far sentire il suo peso nelle borse.

Quando cio’ avverrà e con quali meccanismi?

Il meccanismo principale che inizierà a incidere sulle borse è la crisi del credito, che innescherà un’ondata di fallimenti nelle aziende.

Secondo l’agenzia di rating Standard and Poors, il numero di aziende che andranno in bancarotta per la fine dell’anno salirà al 10% del totale delle aziende quotate in borsa.

Ma secondo la Stansberry Research, questa stima è approssimata per difetto. Infatti la stretta relazione tra il numero di aziende declassate dalla stessa Standard and Poors (linea blu) e il tasso di aziende che vanno in bancarotta (linea nera nel grafico sotto) fa pensare a numeri molto piu’ drammatici:

Questo fattore inizierà a incidere negativamente anche nelle borse. E grazie alle serie storiche, possiamo anche prevedere in che misura e con quali tempi.

La tabella sotto mostra infatti tutte le crisi economiche, dal 1929 a oggi, in cui il tasso di default delle aziende ha superato il 10% (come prevediamo che farà anche adesso):

Possiamo anzitutto notare che dall’inizio dell’ondata di default (prima colonna a sinistra) al picco di questo fenomeno (seconda colonna) passano in media un paio d’anni.

Questo è in linea con la nostra previsione, secondo cui la massa monetaria immessa dalla Federal Reserve non mancherà di mostrare i suoi effetti positivi con un ritardo di circa 8 mesi, quindi intorno al 2021.

Questa prima stagione di profitti, anche molto elevati, nasconderà per diversi semestri la gravità della situazione. Ma alla fine, verso il 2022, seguirà il periodo nero, nel quale i default di molte aziende quotate in borsa inizieranno a pesare negativamente sui mercati.

Con quale intensità?

La quarta e la quinta colonna in tabella, mettono in relazione rispettivamente la percentuale del tasso di default e la gravità del declino sui mercati.

Non sembra esserci una relazione diretta tra la percentuale della quarta colonna e quella della quinta. Possiamo solo notare che i numeri della quinta colonna sono davvero molto alti, con ribassi che vanno dall’86% del 1929 al 20% degli anni ’80, con una media del 53%.

L’ultima riga della tabella, riguardante la crisi attuale, mostra nell’ultima colonna a destra il termine “Depression”, per indicare che questa volta, diversamente che nelle crisi del 1989, 1999 e 2008, il danno è avvenuto nell’economia reale, proprio come si verifico’ nel 1929.

Non è da escludere quindi che il 2020 preluderà a una autentica depressione economica in stile 1929, piuttosto che una semplice crisi recessiva.

Di conseguenza, la percentuale dell’86% nella quinta colonna – riguardante la crisi del ’29 – potrebbe darci un’idea approssimativa della possibile entità dei ribassi a cui potremmo assistere dal 2022 in poi.

Ma, anche se non arriveremo a questi ribassi estremi, mi sembra sia possibile, sulla base di tali statistiche, formulare il seguente schema da qui al 2022:

  • Secondo semestre del 2020: periodo ribassista-laterale.
  • Anno 2021: possibile aumento esponenziale delle quotazioni in molti asset, non solo i titoli di borsa, ma anche le criptovalute.
  • Anno 2022: inizio di una lunga fase di ribassi, la cui gravità dipenderà dall’entità del tasso di default delle aziende quotate in borsa.

Si tratta di uno schema molto approssimativo che andrebbe poi accompagnato da altre analisi piu’ puntuali che possano fare luce sugli sviluppi che avverranno nei singoli trimestri o semestri.

Per questo motivo, consiglio di seguire sempre, oltre a questo blog, anche la nostra newsletter gratuita, per ricevere le nostre analisi di lungo respiro, e il nostro canale telegram, per leggere le analisi giornaliere e le novità piu’ importanti pubblicate real time.

In questo modo, nella cornice molto generale che abbiamo fornito qui per i prossimi due anni, avrai una guida molto piu’ precisa per orientarti nelle tue decisioni di trading giornaliere, settimanali o mensili.

Il team di Strategie Economiche

 

Quanto è grave la crisi? Un grafico che conta piu’ di mille parole.

Nelle ultime 3 settimane, il Presidente della banca centrale americana, Jerome Powell, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni:

  • Gli Stati Uniti stanno affrontando il peggiore shock economico mai avvenuto nelle nostre vite, inclusa la crisi del 1929.
  • La recessione che ne consegue, si prolungherà fino alla fine del 2021.
  • I titoli di borsa resteranno vulnerabili fino al termine della recessione.

Dobbiamo ammettere che dichiarazioni del genere sono senza precedenti, in quanto negli ultimi 12 anni, cioè a partire dall’ultima crisi economica del 2008, i rappresentanti della Federal Reserve hanno sempre rilasciato dichiarazioni che sottostimavano o nascondevano eventuali criticità economiche.

Questo cambio a 180 gradi della strategia comunicativa della banca centrale ha quindi una forte rilevanza e indica essenzialmente due cose:

  • Questa crisi non si puo’ “nascondere” dietro i rialzi delle borse, perché avviene nell’economia reale e colpisce direttamente la popolazione.
  • La Federal Reserve, avendo deciso di fronteggiare la crisi con uno stimolo monetario senza precedenti, praticamente illimitato, deve dare una giustificazione adeguata a questo storico esperimento, nel caso avesse un esito disastroso.

Insomma, non solo per la prima volta dal 1929 abbiamo una crisi dell’economia reale non limitata al settore finanziario, ma stiamo per assistere anche a una risposta senza precedenti da parte del settore finanziario, che potrebbe portare alla sua autodistruzione.

Esiste un modo per misurare la gravità di questa crisi, dal punto di vista non solo economico, ma anche sociale, quindi in termini di perdite di posti di lavoro e di conformazione della società?

Per rispondere a questa domanda, basta fare un semplice confronto.

Dopo la crisi precedente del 2008, l’economia è riuscita a riprendersi al 96%. In altre parole, abbiamo avuto una perdita complessiva del 4%.

Il 4% puo’ sembrare un numero irrisorio, ma ha già dimostrato tutto il suo peso.

Infatti, questa economia ridimensionata del 4% in cui tutti abbiamo vissuto fino all’anno scorso, si è dimostrata essere del tutto precaria, continuamente bisognosa di stimoli da parte delle banche centrali. Stimoli che hanno avvantaggiato le grandi multinazionali, corrodendo la capacità di nascita di nuovi settori e nuove imprese e riducendo la famosa “classe media”.

Ora, se una riduzione del 4% ha già fatto tutto questo, cosa potrebbe fare una riduzione del 10%?

E’ questa infatti la previsione della maggioranza degli esperti: anche stavolta, come nel 2008, l’economia riuscirà a riprendersi, certo… Ma sarà un’economia al 90%…

In altre parole, stavolta ci toccherà vivere in un’economia ridimensionata del 10%, non piu’ del 4%!

Gli effetti di questo 10% sono già adesso facilmente intuibili. Basta vedere dove vanno a finire i soldi degli aiuti monetari delle banche centrali.

Questi soldi non sono pasti gratis, ma prestiti o altre forme di sostegno condizionato che solo le grandi aziende possono permettersi.

La tendenza a una sclerosi dell’economia, già iniziata con la crisi del 2008, verrà quindi accentuata.

Con le grandi aziende poco innovative garantite dalle banche centrali e le nuove aziende e le startup sempre piu’ penalizzate, aumenterà la perdita di posti di lavoro e verrà ridotta ulteriormente la “classe media”.

Questo grafico mostra bene la “sclerosi” dell’economia che è stata pienamente attuata fin dagli anni ’80, con una progressiva e inesorabile riduzione delle startup (linea blu) fino al 2015.

Il grafico dimostra anche che l’erosione della classe media (parallela al trend discendente delle startup) è stata ed è una conseguenza di questo trend, in quanto sono le startup (che poi diventano grandi aziende) a garantire un continuo aumento di posti di lavoro, mentre le multinazionali e le aziende garantite dallo stato non fanno che ridurre ogni anno i posti di lavoro per continuare a stare sul mercato (la nostra Alitalia è un esempio lampante).

Inoltre, se potessimo allungare il grafico fino al 2020, avremo anche un’impennata della linea rossa (il tasso di “mortalità” delle aziende), in quanto è del tutto ovvio che questa crisi, per la sua rilevanza nell’economia reale, sta causando la chiusura di molte attività.

Quindi, diversamente dalla crisi del 2008, questa volta la discesa della “linea blu”, essendo connessa alla salita della “linea rossa”, provocherà una accelerazione delle tendenze distruttive della crisi precedente.

Gli stimoli delle banche centrali, diretti a mantenere lo status quo nell’economia e a sostenere in perpetua “rianimazione sospesa” interi settori economici e servizi, causerà una trasfromazione sociale che si puo’ intuire, ma fino a un certo punto.

Possiamo dire che la classe media verrà ridotta ai minimi storici, che i bilanci statali non si reggeranno piu’ sui prelievi fiscali, ma dai soldi stampati dalle banche centrali, che aprire una nuova attività o un nuovo settore che non farà parte della cerchia ristretta degli aiuti statali sarà quasi impossibile, che la popolazione occupata sarà ormai una minoranza.

Ma non possiamo prevedere del tutto come cio’ si tradurrà nella nostra vita quotidiana.

Ci saranno nuove classi sociali che potranno mantenersi senza lavorare? Faremo la spesa in empori virtuali centralizzati? Useremo monete digitali fornite dalle banche centrali?

Quello che è certo è che le nostri abitudini di vita appaiono sempre meno compatibili con una società retta interamente dalle banche centrali. La società che sembra profilarsi in modo inevitabile nel dopo crisi.

Qualcosa di certo è destinato a cambiare, e di molto…

Quando torneremo a investire in borsa senza rischi?

In questo articolo ti dimostrero’ quale approccio ai mercati è stato vincente nella crisi del 2008. E su questa base storica trarro’ qualche insegnamento su come comportarci oggi.

Se la crisi del 2008 ci ha insegnato qualcosa, è che le borse si muovono piu’ velocemente dell’economia reale.

Cio’ vuol dire che i titoli di borsa sono i primi a crollare e i primi a riprendersi, rispetto all’economia reale.

Infatti, nel 2009 le borse toccarono il punto di minimo il 9 marzo, dopo aver percorso il peggior mercato orso dai tempi della Grande Depressione del ’39.

In quel momento, pensare di investire mentre il tasso di disoccupazione era già in caduta libera e continuo’ ad esserlo per altri otto mesi (fino a raggiungere a ottobre il dato peggiore mai visto dal 1982) sarebbe stata considerata una follia.

Eppure oggi, col senno di poi, sappiamo che il 9 marzo era stato toccato il punto di minimo della borsa USA, e che il mercato, proprio nello stesso periodo in cui il tasso di disoccupazione intraprese la sua lunga discesa, recupero’ il 55% delle sue perdite:

La stessa cosa sembra stia succedendo oggi.

Il mercato è crollato del 34% appena un mese dopo che il mondo si è reso conto della gravità della pandemia.

Al momento del crollo, il danno economico era appena agli inizi; quindi si puo’ dire che la caduta delle borse lo abbia anticipato.

Tuttavia, da allora, mentre il lockdown ha iniziato davvero a intaccare pesantemente l’economia, la borsa ha al contrario recuperato il 28% delle perdite, mostrando ancora una volta la sua completa disconnessione con l’economia reale.

Questa costante nella storia delle borse ci insegna l’unica cosa da NON fare, quando si vuole scegliere il momento giusto per investire durante una crisi:

Di fronte a una crisi, NON bisogna aspettare il recupero dell’economia reale per tornare a investire.

Se quindi l’economia reale non è un indicatore affidabile, allora su cosa possiamo basarci per decidere il momento di investire dopo o durante una crisi?

La disconnessione dei mercati dall’economia reale non dipende da qualche magica virtu’ delle borse. Ha invece una causa molto concreta, che è, ormai lo sappiamo bene, la capacità delle banche centrali di “salvare” le quotazioni dei titoli con interventi di politica monetaria.

In particolare, il mercato americano è stato sostenuto con molta efficacia dalla Federal Reserve, sia nella crisi del 2008 che all’inizio della crisi attuale.

Ma è ingenuo pensare che oggi gli effetti di questo stimolo monetario saranno una semplice fotocopia di quelli iniziati dalla Fed nel 2008-2009 e conclusi nel 2018.

Oggi infatti ci troviamo nella fase finale di questo esperimento. Fase nella quale la Federal Reserve ha raggiunto degli estremi importanti, sia nei tassi d’interesse, che nella massa monetaria messa in campo.

Ad esempio, alcuni ipotizzano che la distruzione dell’economia reale globale, essendo questa volta molto piu’ estesa che nel 2008, potrebbe interferire con le politiche monetarie innescando una inflazione.

Altri, come ad esempio la Deutsche Bank hanno notato che l’aumento degli acquisti di titoli di stato da parte della Fed (il famoso QE, in giallo nel grafico sotto), sta intaccando il normale rapporto tra i tassi d’interesse dei titoli di stato a breve e quelli a lungo termine (in blu nel grafico):

Questa distorsione, già avvenuta alla fine del 2019 e prossima a tornare in questi mesi, potrebbe creare importanti pause di ribasso durante la ripresa delle borse.

Quindi in questo caso, la risalita delle borse potrebbe non essere cosi’ compatta e lineare come quella avvenuta dal 2009 al 2019.

D’altra parte, questa volta ci sono fattori in gioco che potrebbero aprire opportunità in settori diversi, rispetto a quelli che furono avvantaggiati nel trend rialzista precedente.

In particolare, il comportamento differente dell’inflazione e delle politiche monetarie, abbinato ai danni avvenuti nell’economia reale, potrebbero rimettere in gioco i titoli di borsa legati all’oro e quelli legati ad alcuni settori industriali, mentre in passato, lo sappiamo, quasi solo l’high-tech e l’informatica erano risultati vincenti.

In conclusione, quindi, se è vero che le borse non vanno interpretate basandoci sull’andamento dell’economia reale, è anche vero che non possiamo fidarci degli stimoli monetari delle banche centrali come abbiamo fatto finora.

Noi di Strategie Economiche monitoriamo costantemente la situazione e abbiamo già rilevato moltissime situazioni completamente differenti rispetto a quelle che abbiamo visto nella crisi del 2008.

Nel nostro canale Telegram e nella nostra newsletter gratuita stiamo dando ai nostri lettori notizie che non sempre vengono riportate dai media e che evidenziano quanto sia molto piu’ complessa la situazione attuale, rispetto al passato.

Ad esempio, sappiamo ormai che la Federal Reserve è finora riuscita a stimolare i mercati piu’ con gli annunci mediatici che con un programma massiccio di riacquisti di obbligazioni societarie.

In pratica, il tanto strombazzato QE che anche in Italia alcuni invocano come soluzione, negli USA non è ancora realmente avvenuto, se non in minima parte.

Perché la Fed esita a portarlo avanti? Quali sono i rischi che si intravedono oggi, rispetto al passato?

E se la Fed, come ormai è evidente, questo QE prima o poi sarà costretto a farlo, costi quel che costi, cosa potrebbe succedere?

Non è semplice rispondere a queste domande, se non si è ben chiaro quali indicatori e quali scenari contano realmente. 

Finora, in Strategie Economiche siamo riusciti a prevedere molti eventi accaduti in questi mesi, proprio perché sappiamo quali dati bisogna monitorare. Per questo ultimamente abbiamo abbinato alla nostra tradizionale newsletter anche un canale Telegram.

Alcuni di questi dati cambiano ogni giorno e quindi, col nostro canale Telegram riusciamo ad avvisarti tempestivamente su queste variazioni, mentre nella nostra newsletter ti diamo informazioni piu’ meditate e approfondite.

L’importante è aderire il piu’ possibile all’andamento reale dei mercati. Senza questa visione chiara, investire durante la crisi diventa molto piu’ rischioso…

Il team di Strategie Economiche

Una BCE all’americana: sogno proibito o sciagura?

Facciamo un patto.

Prima di dire che la BCE dovrebbe imitare la Federal Reserve e comprare obbligazioni e titoli di stato a manetta per “salvare” l’economia europea (o meglio, quella italiana) leggi questo articolo.

Se dopo averlo letto sarai ancora della stessa opinione, amici come prima. Se invece cambierai idea, allora forse non avro’ impegato invano il mio tempo.

Molti infatti, a cominciare dai cosiddetti economisti di casa nostra, sia filogovernativi che “sovranisti”, non fanno neanche lo sforzo di leggersi i rapporti della Federal Reserve per capire se davvero questa banca centrale sta facendo quello che tutti si immaginano, cioè comprare tutti i titoli di borsa esistenti al mondo in modo illimitato e senza interruzioni.

Ti stupirà invece sapere che la Federal Reserve finora ha comprato certamente i titoli di stato americani, come ha sempre fatto, ma non ha speso neanche un centesimo per comprare obbligazioni private di aziende e società o Etf e fondi azionari, come invece aveva promesso di fare il 27 marzo.

In pratica, tutto il rialzo delle borse avvenuto da fine marzo fino ad oggi, che ha fatto recuperare quasi il 90% delle perdite nelle obbligazioni “investment grade” e il 50% delle perdite nelle obbligazioni “high yeld”, per non parlare del quasi totale recupero dei mercati azionari americani, si è basato su una “fake news” della Federal Reserve.

Come è avvenuto?

Per capirlo, dobbiamo anzitutto ricordare che i debiti delle aziende e società americane era già arrivato a fine 2019 a livelli record e che la Fed, nei suoi periodici Financial Stability Reports, aveva sempre affermato che, se fosse scoppiata una crisi, sarebbe certamente partita da questo settore dell’economia.

Quindi, giusto per chiarire: la crisi è sempre stata considerata dagli esperti una crisi del mercato obbligazionario, cioè dei debiti, soprattutto quelli delle aziende private.

Ora, poche settimane dopo quel fatidico 20 febbraio (quando la crisi su cui gli esperti avevano tanto scritto negli anni precedenti finalmente si presento’ all’attenzione del mondo), i debiti delle aziende furono effettivamente congelati, cioè scomparirono dal mercato.

Questo fatto evidenzio’ la gravità del rischio che tutti già conoscevano. Il rischio cioè che un gran numero di aziende americane non sarebbero state in grado di rifinanziare questi debiti, né avrebbero potuto chiedere altri prestiti per coprire le perdite, e che quindi sarebbero andate rapidamente in default per mancanza di fondi.

E’ a questo punto che entra in gioco il “miracolo” della Fed.

Il 15 marzo, la banca centrale americana stanzio’ i famosi 2,3 trilioni di dollari per comprare tutto quello che c’era da comprare, compresi i debiti di queste sciagurate aziende americane, mentre il 27 dello stesso mese, la Fed ando’ anche oltre, affermando che tali acquisti non si sarebbero mai piu’ fermati finché la crisi non sarebbe stata risolta.

Questa clamorosa notizia non si limito’ a scatenare i sogni proibiti degli Italiani nei confronti della BCE (che avrebbe potuto salvarci tutti allo stesso modo), ma effettivamente ha finito col “rimettere a posto tutto”, almeno in apparenza.

Come abbiamo detto, per tutte le settimane successive fino a oggi i mercati azionari e obbligazionari hanno davvero recuperato quasi tutte le perdite.

Il fatto pero’ è che questa nuova ondata di acquisti ha avuto un’origine del tutto diversa da quella che tutti si immaginano.

In realtà, la Fed non ha mai comprato tutti questi titoli quotati in borsa.

La Fed insomma, tra marzo e aprile, non ha “salvato” proprio nessuno…

Infatti il 1 maggio Jeffrey Gundlach, il maggior esperto di bond al mondo, in un twitter ci ha rivelato che il re è nudo, cioè che la Fed non ha mai comprato un centesimo dei debiti di quelle aziende:

Quattro giorni dopo, la Fed in questo report ammette candidamente che è proprio cosi’. Il Secondary Market Corporate Credit Facility (SMCCF), cioè l’istituto che avrebbe dovuto effettuare questi acquisti per conto della banca centrale (per statuto la Fed non puo’ comprare direttamente titoli del genere) in realtà non è ancora entrato in attività e lo farà agli inizi di questo mese…

Ma allora, chi ha comprato i debiti di tutte queste aziende che sono sul punto di fallire?

Sulla base della sola fiducia nei confronti della Fed e sulla speranza che la banca centrale si deciderà davvero a comprare questi titoli, le banche, i fondi obbligazionari, i fondi pensione e altri investitori istituzionali di mezzo mondo hanno ripreso a comprare questi bond per tutto aprile.

Sono stati loro, non la Fed, a effettuare il “salvataggio”. E lo hanno fatto cosi’ bene che queste aziende fallite si sono spinte fino al punto di emettere una quantità di nuove obbligazioni superiore a quella dell’anno precedente.

Se infatti per tutto il 2019 l’ammontare di “C&I loans” cioè debiti commerciali e industriali era rimasto stabilmente sui 2,4 trilioni, nel solo mese di aprile 2020 è salito a 3 trilioni, con un aumento del 25%.

Vale per tutti, l’esempio della Boeing, un’azienda con rating BBB- (una tacca sopra il livello “spazzatura”), salvata con 60 miliardi di fondi del governo dopo aver bruciato 43 miliardi solo per ricomprare le quote azionarie in borsa e far salire cosi’ i prezzi in modo artificiale, la scorsa settimana ha piazzato sul mercato nuove obbligazioni con scadenza a 40 anni.

E, indovina un po’?… la domanda di questi bond è esplosa fino a 70 miliardi!

Ora la Boeing ha altri 40 miliardi di debiti e tanto nuovo cash da bruciare per il riacquisto delle sue azioni in borsa e ritrovarsi di nuovo senza un centesimo fra 12 mesi.

Non ci vuole un genio per capire che questa follia dei mercati sta lasciando la Boeing e centinaia di altre aziende in una situazione ancora peggiore rispetto a quella che avevano prima della crisi.

In pratica, l’ammontare record di debiti di aziende fallite su cui tutti, compresa la Fed, avevano scritto fiumi di articoli e report per metterci in guardia nella prossima crisi, allo scoppiare della crisi è effettivamente uscito fuori dai mercati, ma poi è stato rapidamente recuperato dagli investitori istituzionali sulla base di una semplice “promessa” della banca centrale americana.

Il risultato è che le aziende che hanno emesso questi debiti sono ancora piu’ deboli e la bomba del debito pronta ad esplodere (quella di cui parlavano tutti nel 2019) è aumentata in sole cinque settimane.

La Federal Reserve ha solo promesso di fare quello che anche in Italia tutti pensano che abbia fatto. In realtà, anche se i 2,3 trilioni di dollari stanziati finora sono una cifra enorme, nemmeno un centesimo di questa somma è ancora stata usata a supporto delle aziende americane.

Ma allora, siamo proprio sicuri che la Fed avrà fondi sufficienti, nel momento in cui vorrà realmente iniziare questi acquisti obbligazionari?

Se 2,3 trilioni sono bastati appena per mantenere in piedi le obbligazioni statali americane, quale sarebbe la cifra necessaria, se la Fed volesse davvero estendere il salvataggio anche all’economia privata?

In realtà, nessuno lo sa, perché finora nessuna banca centrale ha mai dovuto salvare allo stesso tempo:

  • i debiti governativi, federali e locali
  • i debiti privati degli americani (carte di credito, mutui ecc.)
  • il sistema economico del dollaro (cioè tutta la bilancia commerciale in dollari di tutti gli stati del mondo), e
  • il sistema economico privato, cioè le aziende americane

Siamo dunque in un territorio inesplorato dove, a peggiorare le cose, i segnali di percorso (gli annunci della Fed) sono parzialmente truccati.

E a questo punto, sorge la legittima domanda: vogliamo davvero che la BCE inizi a far parte di quest’incubo?

Inoltre, realisticamente parlando, siamo poi cosi’ sicuri che la BCE abbia la forza di imitare la Fed?

Se nemmeno la Fed ha avuto il coraggio finora di “sparare il bazooka” (ha solo promesso di farlo), siamo cosi’ sicuri che la BCE abbia cosi’ tanti soldi a disposizione per fare quello che nemmeno la Fed osa fare?

Pensiamoci, prima di parlare di quello che non conosciamo…

Il team di Strategie Economiche

 

Le banche europee mostrano il vero volto della crisi

Il 21 aprile l’indice Stoxx 600, che copre l’andamento delle principali banche europee in borsa, aveva accellerato il suo ribasso, iniziato già dal 2008 e rinforzatosi a marzo, arrivando a perdere l’83% dal suo picco toccato nel lontano maggio 2007:

Il giorno successivo la BCE, nel tentativo di rispondere ai mercati, aveva annunciato di voler accettare anche obbligazioni spazzatura (corporate junk bond) come collaterale di prestiti alle banche. Ma la notizia non ha fermato l’indice che, dopo un momento di lateralità, giovedi scorso è sceso di un altro 4%.

Questa situazione ha creato false aspettative negli analisti, che si aspettavano ieri una ulteriore mossa della banca centrale, cioè l’annuncio che avrebbe iniziato a comprare direttamente queste obbligazioni, imitando la Federal Reserve americana.

Invece, questo annuncio non c’è stato, e l’indice ha perso un ulteriore 1% nella borsa di Londra, l’unica aperta il 1 maggio.

Come abbiamo detto in un articolo precedente, non dobbiamo necessariamente aspettarci che la BCE elabori un piano di salvataggio per le banche, neanche di fronte agli effetti della pandemia.

Diversamente dalla Federal Reserve, la BCE ha come scopo statutario l’equilibrio finanziario dell’area euro e il bilanciamento dei capitali fra gli stati membri. Le banche non sono il suo terreno d’azione (e, per la cronaca, neanche la Fed ha mai davvero acquistato direttamente quei famosi junk bond, pur avendo promesso di farlo).

Peggio ancora, le misure prese dalla BCE e dall’UE per fronteggiare la crisi, soprattutto per quanto riguarda i tassi d’interesse e l’allentamento delle restrizioni ai prestiti alle imprese, di fatto danneggiano le banche (è tutto spiegato già nel nostro articolo precedente).

Non stupisce quindi che le recentissime pubblicazioni degli utili trimestrali delle banche stiano fotografando alla perfezione la profondità della crisi e la sua pericolosità per il sistema bancario europeo.

Se guardiamo ad esempio alle due banche su cui abbiamo due posizioni short a leva in Strategie Portfolio, Deutsche Bank e Santander, gli utili trimestrali sono un esempio lampante:

Deutsche Bank ha letteralmente schoccato gli investitori, annunciando mercoledi una perdita di 43 milioni di euro e un outlook tenebroso, costringendo il CEO Christian Sewing a fare una dichiarazione ai media nel tentativo di riportare un minimo di ottimismo (che non ha convinto i mercati).

Santander invece, che è la seconda banca europea per valore di mercato dopo BNP Paribas, è calata dell’82% nei profitti trimestrali ed ora perde in borsa il 49% da febbraio.

Fanno buona compagnia alle prime due:

Société Generale, che perde 326 milioni di profitti e ha dichiarato che gli accantonamenti necessari a coprire i suoi prestiti deteriorati potrebbero arrivare a 5 miliardi;

BBVA, la seconda grande banca spagnola, che ha pubblicato il peggior rapporto trimestrale della sua storia, con una perdita di 1,8 miliardi;

HSBC, la prima banca europea per asset, con un calo di profitti annualizzati del 48%.

E non è detto che l’avanzare della crisi, ora appena agli inizi, non possa provocare alla lunga addirittura un default bancario in Europa, facendo andare alle stelle le nostre posizioni short…

Il team di Strategie Portfolio

>